Nel neologismo del titolo è già espressa tutta l'urgenza comunicativa - incapace di manifestarsi se non in poesia - tipica di Giuseppe Bertolucci. Cosedadire, senza prendere fiato. E Bertolucci ne aveva molte, come ha dimostrato attraversando il Novecento con parole e immagini, sempre confrontandosi con l'onore e l'onere di un padre poeta e di un fratello maggiore cineasta di fama mondiale. Oggi questa raccolta di ricordi e riflessioni, edita nell'estate 2011, assume quel valore di culto probabilmente rifuggito dall'autore in fase di redazione, ma inevitabile dopo la sua scomparsa. Al di là del voler rendere omaggio, operazione che l'intellettuale non avrebbe gradito nell'immediato, si tratta una lettura significativa per inquadrare il secondo Novecento italiano e mettere a fuoco alcuni snodi di un dibattito culturale che ci auguriamo possa trovare nuova linfa in queste pagine.
Innanzitutto, dalla lettura del testo, che ripropone una raccolta di interventi dell'autore proferiti in occasione di seminari, presentazioni e convegni, si intuisce il carattere del Bertolucci pubblico, ironico e quasi schivo, ma al contempo estremamente coinvolto nel clima culturale del proprio tempo. Preoccupato e curioso, sempre alla ricerca di nuove domande, oltre che di risposte. Egli stesso arriva ad affermare di credere nella scrittura preparatoria dei testi dei discorsi da tenere in occasioni pubbliche come "esercizio virtuoso e socialmente utile", nel senso che può aiutare a limitare le divagazioni dell'improvvisazione e la possibilità di diffondere "inutili sciocchezze". Il cinema, non sempre unico protagonista della poetica di Bertolucci, s'insinua in ogni riflessione: l'immagine, il montaggio, il doppiaggio, l'influenza culturale della settima arte... tutto l'universo dell'autore è permeato di esperienze di visione. A partire dai ricordi di intellettuali e artisti come Zavattini e Soldati, che conobbe fin da bambino insieme al padre Attilio, passando per l'epifania di Roberto Benigni, che iniziò la propria carriera proprio collaborando con il nostro. A Pasolini, poi, dedica una sezione del libro dal titolo ammiccante (e cinefilo) "l'uomo che sapeva troppo", definendolo, nonostante siano trascorsi ormai più di trent'anni dalla sua morte, "il nostro interlocutore più giovane, più intelligente e più disperato". C'è spazio anche per Fellini, Caproni, Enzo Ungari e Alberto Farassino, raccontati da Bertolucci attraverso una meravigliosa soggettività, che ne illumina le opere con la perizia di un direttore della fotografia capace di svelare i dettagli più preziosi e segreti di un panorama.
Le memorie di Giuseppe Bertolucci rappresentano una miniera di riflessioni preziose, che nulla hanno da invidiare alla sua produzione d'artista. L'aspetto più interessante di questo approccio all'autobiografia resta legato all'indole di Bertolucci: è l'intreccio tra scrittura utile (nel presente) e diaristica dell'esperienza, che, riletta in raccolta, sembra concepita con la progettualità di proferire un unico grande discorso sul proprio tempo. Si tratta in fondo davvero di un'autobiografia di un intellettuale che si è sempre interrogato sui diversi linguaggi e ha trovato, infine, il filo conduttore che unisce poesia, letteratura e cinema: si tratta (del dolce rumore) della vita.
Titolo: Cosedadire; Autore: Giuseppe Bertolucci; Editore: Bombiani (Collana Overlook); Anno: 2011; Pagine: 216; Prezzo: 17,00€
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