La macchina da presa si schiude con un lento movimento sul relitto di una statua di Cristo, mentre la pioggia battente rende il paesaggio umido, fangoso e indefinito. È il 6 gennaio 1917, durante la prima guerra mondiale. Cinque soldati francesi vengono condannati per automutilazione e condotti sul fronte della Somme. Una voce narrante femminile trasporta lo spettatore negli eventi e riassume le vite in tempi di pace degli accusati: il falegname Bastoche (Jérôme Kircher), il saldatore Six-Soux (Denis Lavant), il contadino Benoît Notre-Dame (Clovis Cornillac), il corso Ange Bassignano (Dominique Bettenfeld) ed, infine, il quasi ventenne Manech (Gaspard Ulliel), il più giovane e ingenuo del gruppo, che ha lasciato l’adorata fidanzata nella campagna francese.
L’amata si chiama Mathilde e ha le sembianze di Audrey Tautou, scelta da Jean-Pierre Jeunet per portare sullo schermo la protagonista di Una lunga domenica di passioni nell’adattamento cinematografico del libro di Sébastien Japrisot. Mathilde sembra essere un’antenata di quella spensierata Amélie Poulain interpretata solo qualche anno prima dalla stessa attrice. Anche lei è una sognatrice, e costruisce intorno a sé un mondo personalissimo dominato da un fato che è possibile addomesticare con il pensiero e con formule tra il taumaturgico e l’infantile: se un evento accade entro e non oltre un numero di secondi stabilito da Mathilde, significa qualcosa di preciso, è un riconoscibile segno del destino. La giovane donna è tormentata dalla ricerca di Manech, mai più tornato dal fronte. Ma la rassegnazione non è un’opzione possibile per la protagonista, che assolda un investigatore privato per ritrovare il fidanzato, guidata da una speranza incrollabile. Il regista, per disegnare l’imponente affresco di Una lunga domenica di passioni, si avvale anche di numerosi personaggi ancillari, necessari a visualizzare il tempo del ricordo e della realtà vissuti da Mathilde. I personaggi femminili sono quelli più efficaci: Marion Cotillard interpreta Tina Lombardi, angelo vendicatore dal volto profondamente drammatico, e Jodie Foster è la contadina Elodie Gordes. Il suo personaggio è poco più di un cameo, ma riempie la scena con un’intensa prova attoriale.
Tuttavia, se lo scenario de Il favoloso mondo di Amélie era una Parigi perlopiù scanzonata e gradevolmente bohémien, qui lo sfondo sono la guerra e il senso di perdita e di svalutazione dell’essere umano che ogni conflitto armato inevitabilmente mette in scena. La ricerca di Mathilde assume i toni di un’epopea intima e travagliata, scandita dalle note delle musiche mirabilmente orchestrate dal lynchiano Angelo Badalamenti, sempre presente con un accompagnamento solido e ben calibrato sul ritmo della storia. Jeunet decostruisce la narrazione con flashback che presentano frammenti di vita passata, organizzando la storia su un doppio livello visivo. Così, la Bretagna vissuta da Mathilde è caratterizzata da una fotografia calda e le sequenze girate in interno sono curate nei minimi dettagli, affresco saturo di particolari al limite della leziosità e dell’ossessione. Le scene sul fronte, virate sui colori freddi, risultano invece più intense, con la realizzazione di veri e propri quadri materici lividi e opprimenti che rendono pienamente la vita inumana in trincea e il senso di logoramento vissuto nei corpi dei soldati durante la guerra d’usura. Il regista cerca dunque di equilibrare questi due mondi narrativi, anche se l’eloquenza visiva delle sequenze di guerra supera per efficacia quella delle sequenze bretoni. Il film, infatti, si trova costantemente in bilico tra il mélo (l’amore di Mathilde e la sua ricerca disperata) e il dramma (la guerra), anche se la sceneggiatura tende a valorizzare più l’aspetto romantico e sognante della vicenda, un romanticismo che s’incarna nel viso espressivo di Audrey Tautou, nei suoi occhi dove convivono dolore e speranza.
Jean-Pierre Jeunet, con questa pellicola, ha intensificato il proprio discorso poetico sul ricordo e sul fato, realizzando uno stravagante kolossal con innesti surreali. Il suo sguardo quasi barocco e l’universo visivo sulla soglia dell’eccesso sono prodotti da un occhio che resta sempre eccentrico ed aperto alle infinite possibilità del reale e del destino.
TITOLO ORIGINALE: Un long dimanche de fiançailles; REGIA: Jean-Pierre Jeunet; SCENEGGIATURA: Jean-Pierre Jeunet, Guillaume Laurant; FOTOGRAFIA: Bruno Delbonnel; MONTAGGIO: Hervé Schneid; MUSICA: Angelo Badalamenti; PRODUZIONE: Francia/USA; ANNO: 2004; DURATA: 133 min.
|