Là-bas PDF 
Pietro Sannino   

C’è un filo invisibile che collega Là-bas di Guido Lombardi a Pummarò di Michele Placido. Un filo che si è dissolto nel tempo per poi ricondensarsi quella notte del 18 settembre del 2008, quando un commando di killer della camorra uccise sei immigrati africani in una sartoria a Castelvolturno. L’impatto emotivo che ebbe allora l’opera prima di Placido da regista, dove si narravano le vicende del giovane ghanese raccoglitore di pomodori (Kwaku, un laureato), fu significativo, ma nel tempo è rimasto un qualcosa di fine a se stesso, come se il fenomeno del caporalato tra gli immigrati africani fosse esistito soltanto in quella pellicola, e le loro fatiche per sperare in un futuro migliore sarebbero state, prima o poi, ricompensate dall’evolversi dei tempi. No, non è stato così, nessuna ricompensa: le istituzioni nulla hanno fatto per combattere i fenomeni di schiavitù che esistevano allora e che ancora oggi pervadono il mondo del lavoro nel nostro stivale.

Il film di Lombardi, per riagganciarsi a quanto già raccontato, inizia mostrando il protagonista Kader Alassane (che interpreta Youssouf, scultore nigeriano) mentre vende fazzoletti ai semafori in compagnia di Germain, un altro ragazzo immigrato. A portare in Italia Youssouf, la promessa di un avvenire migliore da parte dello zio Moses, che nelle sue lettere ai parenti lontani descriveva il benessere raggiunto nel Belpaese. Sulla scorta della corrispondenza del fortunato parente, il giovane si stupisce che il suo compagno di marciapiede faccia il lavoro di ambulante da ben sei anni. Germain, sentendosi schernito, lo disillude da subito “Tuo zio ti ha detto che è pieno di soldi? Non credergli, qui in Italia per noi non c’è niente”. Niente di legale, si potrebbe aggiungere: infatti Moses ha fatto i soldi con la droga, spacciando per conto del casalesi, e si fa grande col nipote, prospettandogli un ritorno in Nigeria “non come schiavi, ma come re”. Il tutto in una cornice di sfruttamento della prostituzione, minacce di morte e spedizioni punitive verso gli immigrati africani più remissivi, quelli che si spezzano la schiena a lavorare nei campi del casertano e che vivono in venti nello stesso appartamento. Uno di loro, gambizzato dai camorristi per uno sgarro e per questo inetto persino a stare ai semafori, sussurra a denti stretti “Dio è bianco…”. Youssouf è un artista, e con la sua sensibilità si sforza di vedere la poesia dove c’è la disperazione, con taccuino e matita sempre pronti a ritrarre ora “il gangster”, ora “il sogno”, ora “la puttana”, come Suad, africana incontrata per caso al supermercato, che di notte si prostituisce sulla domiziana. Sarà la sua ossessione, il suo triste punto di rottura, ciò che spezza i suoi sogni riportandolo in quella realtà tutta campana di miseria e criminalità. Sullo sfondo del litorale casertano, con un mare che c’è ma non si vede, perché intorno tutto sembra più meschino dei sobborghi delle capitali africane, quelle dalle quali provengono gli “angeli bastardi” di questo film.

La Castelvolturno delle ville abbandonate che diventano rifugi, dei roghi di copertoni che illuminano marciapiedi popolati da donne che vendono il proprio corpo al fine di racimolare quel tanto che basta per poter scampare alle botte dei loro magnaccia. Guido Lombardi, che per anni ha seguito la vita degli africani a Napoli, ha tratto ispirazione dalla sua esperienza personale per un asciutto collage di situazioni che si riallacciano alla quotidianità di quella porzione di immigrati che hanno voluto spezzare le proprie catene affidandosi a una pistola e a una busta di polvere bianca. Per farlo, decide di affidarsi ad un'ambientazione e una fotografia del tutto esenti da qualsiasi tentativo di indorare la pillola, romanzando lo stretto necessario. In fondo al torbido barile di questa storia infame, il massacro dei sei immigrati nella sartoria “Ob ob Exotic fashions”, trucidati dagli scissionisti senza alcuna pietà: poveracci che si trovavano al money transfer di fianco a spedire soldi alle famiglie, tutti estranei alle attività illecite dei connazionali, eppure vittime di ciò da cui si sono tenuti lontani. A loro è dedicato questo film. Parafrasando Germain, in Italia non c’è niente, forse neanche la speranza: se le persone che guardavano in sala con me questo film sono gli stessi che vent’anni fa hanno visto Pummarò e che se ne sono dimenticati la sera stessa una volta usciti dal cinema, che altro dire …

Titolo originale: Là-bas; Regia: Guido Lombardi; Sceneggiatura: Guido Lombardi; Fotografia: Francesca Amitrano; Montaggio: Annalisa Forgione, Beppe Leonetti; Scenografia: Maica Rotondo; Costumi: Francesca Balzano; Musiche: Giordano Corapi; Produzione: Eskimo, Figli del Bronx Produzioni, Minerva Pictures; Distribuzione: Istituto Luce - Cinecittà; Durata: 100 min.; Origine: Italia, 2011

 
 


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