Margin Call PDF 
Fabio Fulfaro   

Opera prima di Jeffrey Chandor, il cui padre ha lavorato per oltre trent'anni nella banca Merrill Lynch, carpendone segreti e nefandezze, Margin Call è una trasposizione cinematografica di un soggetto a forte componente teatrale che ha per tema principale le speculazioni e le acrobatiche operazioni finanziarie di Wall Street. Nello specifico, il tracollo della Lehman Brothers nel 2008, vero big bang della new depression. Tralasciando il melodramma superomista alla Oliver Stone (Wall Street atto primo e secondo), ed evitando l'approccio documentarista televisivo modello Too Big To Fail o Inside Job, Chandor sceglie il clima claustrofobico per evidenziare la mediocrita e l'avidità di piccoli uomini, confinati all'interno di ambienti saturi di dialoghi, di tensioni collettive e di tragedie personali.

L'immagine che apre il film è esemplificativa del contrasto intern0/esterno: seguiamo dall'alba al tramonto il brulicare degli operatori finanziari all'interno dei grattacieli di Wall Street mentre fuori si succedono luci, nuvole e ombre in un caleidoscopio accelerato. Questi uomini hanno tra le mani i destini economici di mezzo mondo, ma sembrano non essere coscienti della responsabilità morale delle loro decisioni. L'unico che sembra avere un residuo di perplessità è Sam (Kevin Spacey, in forma smagliante) che, schiacciato tra problemi personali (la ex moglie che gli chiede gli alimenti, l'amato cane morente di cancro) e scelte professionali (è lui che deve motivare e stimolare le operazioni speculative del suo gruppo di giovani brokers), diventerà consapevole della terribile solitudine di un uomo di fronte al cinismo freddo e calcolatore di tutti gli alti staff dirigenziali, pronti a staccare assegni corposi per comprarti l'anima. Sull'altare di una oligarchia post-capitalistica che tende a mantenere i benefici di pochi alle spalle dei sacrifici di tanti, questi squali in giacca e cravatta e sorriso preconfezionato sono pronti a immolare i risparmi di una vita di tanta gente inconsapevole (che si fida del proprio promotore finanziario, anche quando chiede una “margin call”, cioè una integrazione di investimento in contanti o titoli a copertura di eventuali perdite). Una sorta di rovesciamento della forma di democrazia con annesso alibi mentale tirato fuori per giustificare l'ingiustificabile: “molte persone vivono al di sopra delle loro possibilità proprio grazie a noi”. Che in realtà potrebbe essere ribaltato affermando che tre quarti del mondo vive in povertà per garantire gli optional e gli accessori de luxe per il rimanente quarto.

L'apertura del film, con il licenziamento “dolce” (looking ahead, suggerisce un opuscolo aggiungendo al danno la beffa) di una trentina di dipendenti rimossi all'istante dalle proprie attività, ricorda in parte i meccanismi di dimissioni coatte e pre-pensionamento in tempi di crisi in Up In The Air. Poi il film prende la direzione a imbuto di una tragedia shakesperiana col silenziatore, nel senso che in ventiquattro ore, senza versare una lacrima o una goccia di sangue e senza botti nè colpi di pistola, vediamo compiersi il tracollo di una delle più importanti società di Wall Street. Questo crollo pilotato, che determinerà un effetto a catena dirompente su tutti i mercati internazionali, è causato dalla decisione di un consiglio di amministrazione straordinario convocato alle quattro di notte e capitanato dal mefistofelico Jeremy Irons. Una banda di lestofanti senza scrupoli che, sulla base dell'analisi di un ex ingegnere aereospaziale che completa i calcoli di un ex costruttore di ponti (sic!), decide di mettere in vendita tutte le azioni della società, divenute ormai carta straccia per investimenti andati a male. Insomma, un po' come piazzare sul mercato ettolitri di latte scaduto facendolo passare per latte a lunga conservazione.

Tutti gli attori reggono benissimo questo gioco al massacro che ricorda il Carnage polanskiano: l'altezzosa alterigia di Demi Moore, il sorriso disilluso di Stanley Tucci (grandissima performance la sua, sia al momento del licenziamento sia nel monologo su come costruire un ponte possa far risparmiare milioni di dollari ai cittadini americani), la timida ambizione di Zachary Quinto, la glaciale determinazione di Simon Baker (guardate con quanta naturalezza si fa la barba), gli occhi assassini di Jeremy Irons, la paura trattenuta di Penn Bagdley (chiuso nel bagno a sfogare la sua angoscia), la fragile ferocia di Paul Bettany, la sottile disperazione di Kevin Spacey. Tutto contenuto nelle vesti della rispettabilità e del decoro, in una sorta di compostezza artefatta che rende grottesca l'interazione uomo-ambiente. Non si vede un grafico, non si mostrano numeri o dati. Si spiega tutto molto semplicemente, e ogni uomo ha il suo prezzo (homo sine pecunia, imago mortis). Non c'è un urlo, non c'è una protesta, non c'è un dubbio etico. Tutti ripetono “È l'unica cosa da fare”, come un ritornello imparato a memoria per alleviare il senso di colpa, tutti si autoconvincono che è l'unica possibilità di scelta. In realtà è l'unica via di fuga nel peggiore dei mondi possibili, quello che assassina e vampirizza il risparmio collettivo per prolungare l'agonia di vecchie cariatidi pronte a disfarsi in polvere alla luce del primo sole. Il moderno sistema finanziario sembra aver imboccato un tunnel senza via di uscita, perchè il tumore è esploso metastatizzando tutte le borse mondiali e la New Economy degli investitori d'assalto e dei maghi della finanza creativa non può che cominciare a scavarsi la fossa.

Titolo originale: Margin Call; Regia: J.C. Chandor; Sceneggiatura: J.C. Chandor; Fotografia: Frank G. DeMarco; Montaggio: Pete Beaudreau; Scenografia: John Paino; Costumi: Caroline Duncan; Musiche: Nathan Larson; Produzione: Before The Door Pictures, Benaroya Pictures, Washington Square Films, Margin Call, Sakonnet Capital Partners, Untitled Entertainment; Distribuzione: 01 Distribution/Rai Cinema; Durata: 107 min.; Origine: USA, 2011

 


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