Federico Bondi e il suo Mar Nero PDF 
Anna Barison   

Incontriamo a Roma il regista fiorentino Federico Bondi (nessuna parentela col Ministro!), che presenta alla stampa Mar Nero, opera prima di grande attualità che esplora l’amicizia “impossibile” tra un’anziana donna e la sua badante romena. Film che ha avuto molti riconoscimenti nei festival internazionali, dando nuovo impulso al tema della vecchiaia e dell’incontro con il diverso.

Questo film è stato scritto insieme a Ugo Chiti, partendo però da una tua esperienza personale. Perché hai scelto di raccontare questa storia?
È vero, Mar Nero è legato ai fatti della mia biografia. Angela era la badante di mia nonna. Era una ragazza senza esperienza, che si trovava a stare 24 ore su 24 con un’anziana dal carattere non facile, duro a volte. Però è riuscita a trasformarla giorno per giorno. Angela è stata come una professionista della pazienza, dell’ascolto, infondeva vivacità, parlava e raccontava, e come entrava in casa mia nonna non aveva più bisogno di accendere la tv, dando un senso agli ultimi mesi della sua vita. Io sono consapevole della profondità straordinaria e della partecipazione emotiva di queste due donne, ecco perché ho voluto riproporre questo rapporto speciale.

Le due attrici protagoniste sono Dorotheea Petre e Ilaria Occhini. Ci puoi parlare dei personaggi che interpretano e di come le hai scelte?
Ilaria Occhini è un’attrice di lunga carriera teatrale, che ha lavorato con Visconti, Gassman e Ronconi. Lei è di Firenze, come me, e infatti ha il classico carattere fiorentino, dice tutto quello che pensa come un fiume in piena. Ha fatto un provino strepitoso che me l'ha fatta preferire ad altre attrici più vernacolari, più adatte alla commedia. Inoltre tra le bellissime degli anni Sessanta è una delle poche a essere invecchiata naturalmente e ha accettato con lucidità ed entusiasmo di mettersi in gioco con la mancanza di freni inibitori che è tipica della vecchiaia. La Petre, invece, è un giovane astro nascente della cinematografia romena, che è giunta in Italia per la prima volta senza parlare la nostra lingua. Da qui un senso di spaesamento, accentuato dalla diversità linguistica, che le ha permesso di aderire perfettamente alla mia idea di “Angela”.

In questo film, oltre all’Italia, di riflesso si osserva anche la Romania. La seconda parte del film, infatti, è girato in un piccolo centro alle foci del Danubio. In questo periodo storico gli italiani si sono dovuti confrontare spesso con questo popolo: tu che cosa ne pensi, in rapporto al tuo film, della “questione romena”?
Abbiamo girato la seconda parte del film in Romania con una troupe del posto, e devo dire che con loro “noi italiani” ci siamo trovati benissimo sia da un punto di vista lavorativo che umano. Io volevo raccontare solamente la vicenda di un sodalizio senza addentrarmi in questioni sociologiche; tuttavia, in questo film, la politica sta sullo sfondo perché raccontando questa storia non potevo esimermi da quello che mi circondava. La Romania è un paese pieno di contraddizioni, e io mi chiedevo perché nonostante fosse entrata in Europa, in alcune zone manca ancora l’elettricità, e come nella città dove abbiamo girato si gira ancora con il carretto, mentre in altre magari si gira con il suv. Mi piaceva sancire questo passaggio in un momento difficile di Angela, disperata perché il marito è scomparso.

Come spesso accade nella nostra società, anche nel tuo film assistiamo allo sfaldamento della tradizionale famiglia italiana, che dimentica o tratta superficialmente i bisogni degli anziani e delle persone più deboli…
Non volevo criticare la famiglia italiana, il film non è un saggio socio-politico, ma è vero che le persone anziane tendono a essere relegate ai margini perché la società sembra non trovare uno spazio per loro. Proprio da qui parte il film: dalla solitudine e dall’emarginazione che fanno innescare la complicità tra le due donne: Gemma, infatti, è vedova e Angela è lontana da suo marito. A partire dalla complementarità dei loro bisogni, il loro rapporto, talvolta drammatico, offre un’opportunità di riscatto e di svolta per entrambe.

Un’ultima domanda legata ad una curiosità: la scelta del titolo. Come mai hai deciso di chiamarlo Mar Nero?
Il titolo ce lo siamo portati dietro durante tutte le fasi di lavorazione del film, ed eravamo indecisi se cambiarlo o meno, visto che nel 2005 Roberta Torre aveva diretto un film dal titolo molto simile: Mare Nero. A me piacerebbe che lo spettatore si interrogasse su questa scelta, non lo vorrei spiegare per lasciare “un mistero” che ogni futuro spettatore sarà invitato a risolvere.

 


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