Lord of War PDF 
di Paolo Fossati   

Lord of War non è un biopic, ma un identikit in movimento. Yuri Orlov (Nicolas Cage), il protagonista del film scritto e messo in scena da Andrew Niccol, racchiude in sé le caratteristiche di almeno cinque trafficanti d'armi realmente giunti agli onori della cronaca negli ultimi anni: nella finzione le loro imprese vengono condensate, trasformandosi in capitoli di una simulata "agiografia" di un Signore della Guerra per eccellenza. L'abilità dello sceneggiatore/regista nel presentare un personaggio scomodo come quello di un trafficante d'armi senza giudicarlo dona al racconto varie sfaccettature: la leggiadria avventurosa da action movie si alterna con gli intrighi da spy story, senza dimenticare il contrappunto dato dalle vicende familiari che mettono a nudo il lato umano del protagonista. Si lascia così allo spettatore libertà di giudizio, attraverso le sfumature, e, al contempo, si evita il pamphlet gratuito, preferendo denunciare un intero sistema piuttosto che alcune sue specifiche pedine. Si addita un modello di ordine mondiale, basato sulla prevaricazione, attraverso la rappresentazione di un manipolo di conniventi con la logica dominante. Niccol mostra il gelido distacco di Yuri, ma anche l'intima ansia di segretezza che lo spinge ad allestire la base dei suoi traffici all'interno di un container (dove nasconde le prove delle sue diverse identità), vera "camera oscura" nella cui penombra si sviluppa la sua anima, invisibile altrove.

Orlov, eleggendosi al ruolo di divinità presuntuosa e superba, spoglia il mito di Marte di ogni aspetto d'audacia e lo riduce a mera speculazione. Nessun ideale, a suo parere, compete con le leggi di mercato. Si convince che le guerre siano fenomeni umani da osservare senza possibilità di placare i conflitti. Peggio, sostituisce all'indifferenza il business. Fornisce armi a chiunque sia disposto a pagarlo, convinto di non interferire con le sorti dell'umanità e di svolgere soltanto un lavoro che farebbero comunque altri, arricchendosi al suo posto. Il disgelo al termine della Guerra Fredda è un'occasione d'oro per smistare immensi arsenali sovietici, distribuendo armamenti - soprattutto nel continente africano - con la maestria di un curatore fallimentare (si dice che solo dall'Ucraina, terra d'origine della famiglia di Orlov, siano state sottratte armi per un valore che supera i trentadue miliardi di dollari). Il regista ha dichiarato: "Quasi tutti i fatti del film hanno un precedente reale. Elicotteri militari venduti come mezzi di soccorso, trafficanti di armi che cambiano il nome e le registrazioni delle loro navi in alto mare, un noto criminale liberato dal carcere negli Stati Uniti in circostanze misteriose, i fatti sul saccheggio delle attrezzature militari sovietiche dopo il collasso dell'U.R.S.S., sono tutti veri". Le difficoltà nel reperire finanziamenti per il film negli Usa, che proprio nello stesso periodo si preparavano all'attacco all'Iraq, hanno obbligato la produzione a rivolgersi altrove, interpellando investitori stranieri.

Andrew Niccol, che firma la terza regia dopo Gattaca (1997) e S1m0ne (2002) continua ad indagare il rapporto dell'uomo con le dinamiche di potere e controllo della società, già declinati secondo diversi paradigmi anche nella stesura delle sceneggiature per The Truman Show (Peter Weir, 1998) e The Terminal (Steven Spielberg, 2004), affrontando questa volta la rappresentazione della violenza della guerra. L'abituale ossessione tecnologica lascia spazio in Lord of War ad un interesse per qualcosa di più rudimentale e meccanico, come le armi da fuoco, ma lo scopo dell'osservazione sistematica di Niccol rimane, comunque, quella di sondare l'uso della coercizione come vizio umano per costituire, regolare e mantenere gli equilibri sociali. Il pregio di essere più radicato nella realtà contemporanea rispetto alle precedenti storie toglie purtroppo a Lord of War un'enfasi che nei precedenti film incantava, complice il fascino della premonizione e la "rassicurante" consapevolezza di essere al cospetto di incubi appartenenti alla fantascienza, seppure mai troppo lontana. Il ribaltamento di prospettiva inquieta. La storia recente, raccontata da Niccol, non riesce a liberarsi da una sorta di patina di lucidità tipica dello sguardo asettico di chi è abituato a narrare il futuro: il racconto in Lord of War ammicca talvolta a toni spettacolari che possono risultare eccessivi agli occhi dei primi estimatori del regista neozelandese, ma anche avvicinare un pubblico amante di un certo cinema mainstream, coinvolgendolo con l'arma dell'action per condurlo al cospetto di temi sociali, politici e morali.

Una nota rilevante dal punto di vista stilistico va riservata alla sequenza che apre il film e che, ospitando i titoli di testa, anticipa una chiave di lettura del racconto. Lo spettatore è obbligato a seguire in soggettiva la "vita" di una pallottola, dalla produzione in serie alla distribuzione al consumatore fino al (tragico) utilizzo. Proiettili, dunque, come tavolette Wonka confezionate dalla fabbrica di cioccolato rivisitata da Tim Burton? Se l'accostamento possibile tra i due incipit è puramente estetico, risulta sintomatico, però, l'interesse per la produzione in serie dichiarato da due maestri del cinema. Non è il fascino per l'industria a dettare l'esigenza di realizzare sequenze di questo tipo (che peraltro necessitano di effetti speciali costosi), ma la volontà di mostrare i grandi movimenti nascosti dietro ai più piccoli prodotti che appartengono alla quotidianità (eh sì, anche le pallottole!). Si svelano i processi produttivi, non perché siano misteriosi o poco noti, ma perché hanno smesso di affascinare, di incuriosire e, nel caso dei proiettili, di inquietare. É la produzione il primo luogo dove si gioca il vero dissiparsi delle responsabilità: se può sembrare inverosimile il distacco dalla situazione ostentato dal trafficante d'armi, che vende il prodotto finito, meno incredibile è l'indifferenza asettica del produttore.

La scelta estetica dal forte valore simbolico affidata alle prime scene del film è confermata dalla locandina, che mostra l'immagine del volto del trafficante formarsi attraverso l'accostamento di migliaia di proiettili. Non si tratta di un'opera surrealista, né di un volto dipinto dall'Arcimboldo ammassando ortaggi. Sono pallottole, ognuna equivale (potenzialmente) ad una vita stroncata. E se il dipinto fosse stato realizzato così per essere - come per Dorian Gray - il vero specchio della coscienza del trafficante? Sanguinerebbe ogni volta che uno dei proiettili che hanno fatto la fortuna del mercante di guerra ferisce o uccide.

 


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