TFF 30/Londra per Torino PDF 
Monica Pentenero   

Julien Temple, londinese, e Enrica Colusso, italiana ma londinese d’adozione, hanno partecipato alla trentesima edizione del Torino Film Festival parlando della loro città in due documentari estremamente differenti tra loro, accomunati però dalla validità e dall’interesse che sollevano sui temi trattati. Temple, fedele al suo stile, ha messo insieme più di due ore di materiale d’archivio, fino ad arrivare all’ottimo risultato di London - The Modern Babylon, un sapiente collage corredato da una colonna sonora di evidente rilievo, descritto dal regista come una serie di "immagini generate dal caos e dal caso". Enrica Colusso ha scelto invece un altro tono per il suo Home Sweet Home, girandolo quasi completamente in prima persona, utilizzando anche la macchina a mano, in modo decisamente più intimistico: nell’ora e mezza costruita a partire dal materiale ricavato da quattro anni di ricerche vengono presentate interviste e testimonianze raccolte dalla regista, che si ritaglia qualche spazio per inserire alcune riflessioni personali che possano fungere da guida lungo il percorso. Soffermandosi un istante sui titoli dei due documentari è possibile farsi un’idea piuttosto precisa del perché tanta diversità tra due prodotti che vogliono rappresentare lo stesso soggetto: se Temple vuole mostrare come si sia arrivati all’idea di Londra quale moderna Babilonia partendo dalle prime immagini video disponibili della città, Colusso cerca invece di concentrarsi su un aspetto più circoscritto della stessa metropoli, ossia il progetto del rifacimento di uno dei quartieri popolari, nella zona in cui abita anche lei, concentrandosi sui problemi che ne conseguono, sulle necessità delle persone che vivono nel complesso attualmente esistente e sulle promesse di chi si occupa di rimodernare l’area. Nel primo caso, quindi, ad essere ritratta è la città nella sua totalità, nelle sue sfaccettature più multietniche e in una prospettiva diacronica, nel secondo invece è stata scelta una zona ben definita, quella del complesso di Heygate, a Elephant & Castle, in un arco di tempo molto più ristretto che va dal 2008 al 2012.

Come si comportano, più nel dettaglio, i due registi? Partiamo da London - The Modern Babylon, poiché offre un panorama più completo, permettendo anche un migliore inquadramento degli eventi al centro di Home Sweet Home. Immedesimandosi in un Big Brother che da una sala piena di monitor possa controllare la Londra passata e presente, Temple collega fra loro alcuni dei frammenti che compongono il suo documentario, come a voler concretizzare l’istanza che ha dato una connessione logica e un nuovo senso alle innumerevoli fonti che costituiscono quest’opera. Accanto a materiale d’archivio costituito da interviste, servizi giornalistici, speciali televisivi e via dicendo, spuntano alcuni personaggi che sembrano essere gli unici punti fermi nell’intenso fluire delle riprese, come degli isolotti nell’impetuosa corrente del Tamigi. Si tratta di gente comune, cittadini che parlano della Londra del loro passato e mostrano una certa preoccupazione per quella del presente: in particolare una donna ebrea del 1905 e un uomo nato nel 1925 nei sobborghi del porto, quando il commercio navale era di primaria importanza per l’economia cittadina e nazionale. A costituire però il vero corpo dell’opera sono alcuni nuclei storici e tematici, corrispondenti ai nodi problematici della storia di Londra e talvolta dell’intera Inghilterra, che vengono presentati in tutte le loro espressioni: la rabbia che sfocia nelle rivolte (con una panoramica che va dal Siege of Sydney Street del 1911 ai disordini del luglio 2011), i conflitti mondiali e le loro conseguenze, il razzismo nelle sue differenti forme, così come il post colonialismo, entrambi legati all’immigrazione, oltre all’enorme divario esistente fra ricchi e poveri. Attorno a quei punti fondamentali trovano posto eventi di non secondaria importanza, ma trattati con minore enfasi perché meno significativi per la costruzione di Babylondon: il terrorismo legato all’IRA e gli attentati del 7 luglio 2005, le rivendicazioni femminste, la casa con i suoi annessi e connessi, la chiusura dei Docks, le figure di Churchill e Margaret Thatcher, oltre ad alcuni accenni alla famiglia reale. La forza del documentario è anche legata alle scelte musicali del regista: la traccia principale che dà il ritmo all’intero lavoro è London Calling, The Clash; suggestivo anche l’abbinamento di alcune sequenze con versi di poeti del calibro di Allen Ginsberg, Michael Horovitz, ed Eliot, che impressiona più di tutti con il lapidario Unreal City.

Il passaggio a Home Sweet Home richiede un notevole salto, ma è possibile rintracciare alcuni punti comuni, presi in considerazione da entrambe le produzioni, quali il divario fra persone abbienti e persone indigenti, il razzismo, l’immigrazione, le conseguenze dell’era thatcheriana e i problemi legati all’abitazione, fulcro del documentario di Enrica Colusso. Le immagini d’apertura sono quelle delle rivolte dell’estate 2011, già viste nel caso precedente, poi viene presentato l’oggetto su cui si concentreranno le ricerche della regista: Heygate Estate, complesso di case popolari nella zona a sud del Tamigi, che fornisce un valido esempio di brutalismo architettonico, costruito all’inizio degli anni Settanta e - agli occhi di molti - una sorta di ghetto. Per testimoniare quello che sta accadendo agli abitanti del complesso, i quali sono a mano a mano “invitati” a lasciare le loro case - che presto verranno distrutte per far spazio a un nuovo quartiere avveniristico basato sulla mescolanza di classi proprietarie e affittuarie che dovrebbe portare ad una significativa riqualificazione dell’area -, la regista interpella inquilini, membri del comitato di quartiere e responsabili del progetto che hanno sì previsto di costruire nuovi appartamenti per le persone costrette ad abbandonare i loro, ma che al momento non stanno mantenendo le promesse fatte, così che gli affittuari sfrattati sono costretti a trovarsi una nuova casa senza le agevolazioni né gli aiuti concessi fino a quel momento. Nell’arco dei quattro anni in cui ha lavorato a questo progetto, Colusso ha registrato numerose interviste e seguito di persona alcune “tavole rotonde” sull’argomento. E, per completare il suo lavoro, ha utilizzato anche immagini televisive - mostrate direttamente mettendo in campo il televisore, il computer o il tablet che le trasmette -, guidando lo spettatore in un tour del labirinto costituito dal complesso di Heygate e in alcuni spostamenti in treno che rivelano uno dei sobborghi meno turistici della città. La regista è inoltre presente allo sgombero imposto a Barry, un uomo che abita in un appartamento dell’Heygate Estate da trent’anni e al trasloco di Helen, l’inquilina che fornisce la testimonianza principale. Qui la musica è poco utilizzata, scelta principalmente come sottofondo per alcuni momenti descrittivi, come la neve che scende su Heygate; è invece chiaro il senso di Little Boxes, canzone satirica scritta nel 1962, ispirata da una città californiana ma che si adatta perfettamente alle idee cui fa riferimento un filmato propagandistico inserito in Home Sweet Home, con cui viene promossa in Inghilterra la costruzione di case prefabbricate, pubblicizzando la casa come un qualsiasi altro prodotto da acquistare.

Un’ulteriore significativa scelta che accomuna il documentario di Temple e quello di Colusso è la presenza dei bambini. In The Modern Babylon sono inserite sequenze che mostrano bimbi vivere in condizioni di estrema povertà, spicca poi un particolare riferimento alla decisione di mandare i bambini nelle campagne per cercare di allontanarli dai bombardamenti subiti dalla capitale durante la Seconda Guerra Mondiale. In Home Sweet Home un gruppo di ragazzini che abitano ad Heygate sono protagonisti di un momento di gioco dopo una nevicata, la regista li segue da vicino e sembra voler sottolineare la loro capacità di essere felici anche in una condizione non del tutto soddisfacente e in un luogo che sta per essere completamente raso al suolo perché giudicato anacronistico. In conclusione è proprio Home Sweet Home a suggerire la chiave di lettura migliore per comprendere una delle più importanti metropoli del mondo, racchiudendo il significato di entrambe le produzioni : "È come se Londra contenesse tutti i mondi possibili".

 


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