Il Milano Film Festival cresce presentando opere di registi nati per lo più negli anni Settanta. Una settima edizione in cui il livello medio dei film selezionati è decisamente buono, all'altezza dei più noti festival cinematografici italiani e non. Così tra i cortometraggi in cui doti registiche e qualità narrative appaiono conciliate al meglio, ecco il vincitore dell'Orso d'Oro 2002 a Berlino: At dawning del londinese Martin Jones, regista che ha preso parte per la prima volta a un festival cinematografico proprio qui a Milano nel 1998. Quarantacinque brevi film inseriti in un concorso carico di generi e stili: la giuria, quest'anno formata dalla redazione di "Duel", ha dovuto valutare e mettere a confronto opere di fiction, docu-fiction (come il sentito Dadà del brasiliano Eduardo Vaisman), animazione, videoarte, o ancora video le cui immagini sono strappate alla realtà con una semplicità davvero efficace (vedi La discussione di Francesco Villa, tra gli spunti filmici più interessanti e originali visti sul G8 di Genova del luglio 2001).

Tante immagini confezionate con cura, tante situazioni comiche, troppi messaggi didascalici e poche storie per il cinema scritte con impellenza, senza cercare a tutti i costi forzate e fastidiose stravaganze; spesso si ha la sensazione che il soggetto scelto sia una scusa per poter girare un film, e difficilmente ci si può consolare al pensiero che molti di questi registi sono all'opera prima, magari realizzata per diplomarsi in una scuola di cinema. La difficoltà ad articolare un racconto per immagini in pochi minuti è un limite del cortometraggio che anche cineasti quotati e affermati non sono riusciti a superare; non a caso una delle storie più intense viste al Milano Film Festival, quella di Hoy por ti, Mañana por mi del madrileno Fran Torres, viene raccontata in venticinque minuti, avvicinandosi a una durata filmica snobbata e probabilmente reputata dalle distribuzioni ancor meno adatta per il mercato, quella del mediometraggio.

Considerato che in questi ultimi anni tra gli autori affermatisi proprio realizzando un mediometraggio figura François Ozon con il notevole Regarde la mer (1997; 52'), sarebbe interessante vedere, in ambito fiction, dei giovani registi prendere rischi con racconti più articolati, naturalmente tentando di ovviare ai problemi di produzione, ma senza limitarsi a mostrare la padronanza della grammatica registica. Cineasti che hanno evitato l'autocensura, e quindi rischiato, si sono visti comunque anche al festival milanese, a cominciare dagli statunitensi Matt Smith (il suo The Provider è stato menzionato dalla giuria), e Alex Roper, autore di Revolutions Per Minute, il corto più simpaticamente irriverente della rassegna, e dal vincitore Thorgeir Gudmundsson che con il suo Memphis è riuscito a creare, grazie a una macchina da presa gestita da acuto scrutatore, un'atmosfera dominata da una calma poco convincente per lo spettatore, e resa inquietante dall'ambientazione: un edificio, presunto hotel, non troppo popolato e circondato da una distesa di neve (si percepisce qualche rimando a Shining).