L'innocenza del peccato PDF 
Fabio Fulfaro   

ImageIl grande testamento cinematografico di Alfred Hitchcock si è sviluppato in numerosi filoni e rivoli che hanno attraversato il cinema moderno e postmoderno. Brian De Palma ne ha approfittato per portare avanti il suo discorso sulla morte del genere noir e per destrutturare la narrazione cinematografica in frammenti di pura finzione, accettando l’impossibilità di rappresentare il reale. Woody Allen negli ultimi film ha utilizzato la trama gialla per portare avanti le sue amare riflessioni filosofiche sui delitti senza castigo e la mancanza di una morale. Claude Chabrol è invece tra quei registi che ha utilizzato il racconto polar (una fusione tra poliziesco e noir) per rimandare a qualcos’altro, affrontare il delitto per vivisezionare la natura umana, parlare di omicidio per fare luce sulle ipocrisie della borghesia e sull’ambiguità dei suoi comportamenti. Oscar Wilde diceva che non si dovrebbe mai commettere un delitto, perché è un argomento che non si può affrontare in un dopo cena con gli amici. Chabrol, invece, pensa al delitto come ad uno dei pochi momenti di verità, una cartina di tornasole capace di far emergere le più profonde contraddizioni dell’animo umano, senza giudicarle.

Kant affermava che c’è un mondo che appare ma non è, e un mondo che è ma non appare. Questa dicotomia filosofica tra realtà e apparenza è il primum movens del quarantottesimo film del settantottenne Claude Chabrol, letteralmente La ragazza tagliata in due, tradotto per oscuri motivi in L’innocenza del peccato. La storia è già stata raccontata in un altro film, L’altalena di velluto rosso di Richard Fleischer, ed è ispirata a un fatto di cronaca che si verificò a New York agli inizi del Novecento. Il tutto è trasportato a Lione ai giorni nostri, con il classico triangolo perverso: lei, Gabrielle, la "meteorina" TV alla ricerca del vero amore da chiamare per nome (come la Turandot pucciniana che apre il film nel rosso pompeiano del melodramma) e di una figura paterna rassicurante, lui, Charles Denis, vecchio scrittore annoiato (novello De Sade che ha bisogno di perversioni varie per eccitarsi) che coinvolge l’ingenua Gabrielle nell’abisso dei sensi, l’altro, l’aristocratico Paul Gaudens (con evidenti turbe della personalità causate da complessi di colpa di origine infantile) che cerca di strappare Gabrielle dal vortice dell’horror vacui (per precipitarla però in un altro). Di innocente qui non c’è nessuno. Tutti mentono o fanno finta di assomigliare a qualcun altro, come in un gioco di prestigio che rivela un’unica inossidabile verità: la bugia e la mistificazione sono armi dell’umano che tenta di imitare il divino. In un mondo senza più alcuna parvenza di spiritualità e trascendenza l’inganno (sessuale, sentimentale, televisivo, magico) nasconde un bisogno di evadere dalla triste inconsistenza di vite senza senso e di una società alla deriva. Per Chabrol la società francese (ma il concetto può essere allargato ad altre società) sembra oscillare tra parassitismo e decadenza, e proprio le due figure maschili (il dandy psicopatico e lo scrittore annoiato) sembrano incarnare questi due aspetti non certo lusinghieri. Il mondo della televisione, con i suoi falsi sorrisi e le sue false lacrime, diviene lo specchio di questo quadro deforme.

Il tema che emerge dunque, ad una prima visione del film, è quello dell’illusione della realtà e il perenne gioco di prestigio operato dalle parole (scritte e non). Su questo tema si innesta in maniera complementare quello del rapporto conflittuale padre-figlio. Padri assenti, padri ingombranti, falsi padri. La giovane Gabrielle, privata della figura paterna, si lascia irretire dalla vacuità del mondo dello scrittore perché cerca un punto di riferimento per poter entrare nel mondo degli adulti, questo misterioso e affascinante mondo di segreti e cose indicibili. Lo scrittore approfitta dell’inesperienza della giovane per evadere dalla noia di un matrimonio senza sussulti, ma in fondo sta sperimentando la sua vanità e l’illusione di una giovinezza perduta. Per un momento prova a proteggere la ragazza, cerca di respingerla dopo il primo incontro, ma alla fine prevale la malattia distruttiva dell'abiezione sessuale che genera un circolo vizioso dal raggio infinito, una dipendenza psicologica e fisica che annienta ogni futura possibilità di innamoramento di Gabrielle. Il nulla la rende bella, ma il nulla la umilia e la isola dal mondo circostante, da quella società di gente adulta e rispettata che riesce a fingere dappertutto, a letto come alle feste di beneficenza, in un’aula di tribunale come davanti all’altare. Il giovanotto aristocratico prova ad assumersi il ruolo di salvatore della pulzella traviata, ma tutti i suoi gesti e tic nervosi (siamo fermi alla fase orale dell’onicofagia) nascondono la necessità di rimuovere il peccato originale dell’infanzia, con l’uccisione metaforica della figura castrante paterna ("io ho ucciso la bestia"), una sorta di mostro irraggiungibile con cui è impossibile confrontarsi.

Il tono melodrammatico (qui è la Turandot di Puccini, come lo era stato il Don Giovanni di Mozart nel film Il buio nella mente) è un'altra falsa pista di Chabrol, che sembra guardare mosse e atteggiamenti dei suoi personaggi come dal vetro di un acquario. Il rosso dell’inizio, il rosso del vestito e dei drappeggi, della macchina sportiva, non diventa mai il rosso del sangue. Non viene mostrato un gemito, un accoppiamento, una solo goccia di sangue. Forse questi personaggi lo hanno perso tutto per strada e adesso sono aridi, smunti, anemici. Non interessano le motivazioni, né le distinzioni morali sul bene e sul male, né le implicazioni socioculturali (qualche critico ha parlato di lotta di classe, in realtà gli inganni e le menzogne sono evidentemente trasversali e appartengono ai tre mondi considerati). Questi tre personaggi hanno davvero dei seri problemi ad interagire con la realtà, sono tutti incompiuti, tagliati a metà. Per manifesta fragilità caratteriale ed inconscio complesso di inferiorità, Paul conduce una finta crociata dell’onesto contro il baro, e Gabrielle diventa il suo strumento di vendetta. Il vero e proprio trionfo della menzogna è un amore falsamente corrisposto: per tutto il film si rincorrono i "ti amo" i "non riesco a vivere senza di te" e "credo di essere innamorato", ma sono quasi sempre delle frasi false che sembrano uscire da un fotoromanzo. Gabrielle, inizialmente "pura come la neve", è costretta a imparare l’arte della mistificazione e della bugia per sopravvivere ad un amore a senso unico che ha finito la sua corsa contro il cinismo e la disillusione del mondo degli adulti. Bisognerebbe essere protetti dai propri desideri, imparare a memoria il nome del "proprio amore" e non rivelarlo a nessuno: al contrario, si rischia di sentire la mancanza di tutti e ogni storia che finisce richiama sempre la separazione primordiale del primo sfortunato amore. Personaggi in fuga da loro stessi, profondamente infelici perché non si sono mai accettati, incapaci di provare dei veri sentimenti. In questa totale aridità l’amore diventa una forma di abuso di potere. E la vita diventa una splendida incompiuta: con o senza di te, non si può vivere con o senza di te.

Il "tocco Chabrol" in questa opera rimane tuttavia un po’ appannato, forse perché ostacolato da una storia che inizia in maniera fluida per poi perdersi nella fragilità dei suoi personaggi (anche i tre attori principali sembrano risentirne) e in una certa stanchezza narrativa che emerge alla distanza. Rimane però la bellezza del finale, dove il miracolo della magia è l’ennesima manipolazione, l’estremo tentativo di mostrare agli altri un’immagine di sé tanto lontana dalla verità quanto è la forza necessaria per affermarla. Continuando a voler assomigliare a qualcun altro si è persa totalmente la propria identità, e alla fine lo stesso spettatore non sa più qual è l’immagine che più si avvicina al vero: dobbiamo credere alla lacrima o al sorriso della donna tagliata in due?

TITOLO ORIGINALE: La fille coupeé en deux; REGIA: Claude Chabrol; SCENEGGIATURA: Claude Chabrol, Cécile Maistre; FOTOGRAFIA: Eduardo Serra; MONTAGGIO: Monique Fardoulis; MUSICA: Matthieu Chabrol; PRODUZIONE: Francia/Germania; ANNO: 2007; DURATA: 115 min.

 


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