Sottodiciotto Film Festival/Il cinema da camera di Mike Leigh PDF 
Tiziano Colombi   

Prefazione
Sottodiciotto Film Festival e Museo Nazionale del Cinema, con la collaborazione della Cineteca di Bologna, hanno dedicato al regista di Salford un'inedita retrospettiva, ripercorrendo alcune delle tappe più significative di una filmografia corposa, ricca di riconoscimenti e premi prestigiosi. Nato nel 1943, Mike Leigh ha alle spalle una carriera ormai quarantennale, eppure, almeno da noi, la sua figura e la sua opera non hanno mai goduto di grande notorietà, a differenza invece di un altro regista inglese, quanto mai idolatrato, come Ken Loach. All’epica proletaria dell’autore di Terra e libertà Leigh contrappone un cinema “matematico” ed essenziale, soprattutto da un punto di vista squisitamente estetico. Arrivato al cinema dopo una lunga e fortunata carriera teatrale, peraltro mai interrotta, Leigh sembra conservare i quadri formali del palcoscenico, la sua regia asciutta indaga i personaggi, li costringe in spazi ristretti, claustrofobici, inchiodandoli alla ferocia del reale. I curatori della retrospettiva, per l'occasione, danno alle stampe una bella monografia edita dalle Edizioni Cineforum, curata da Stefano Boni e Massimo Quaglia, con l’intento di cominciare a colmare un vuoto bibliografico (in lingua italiana) davvero inspiegabile. Il testo contiene, tra gli altri, saggi di Gofferdo Fofi, Gianni Volpi e Adriano Piccardi. 

Momenti tristi - Bleak Moments (1971)
Quando gira Bleak Moments Leigh ha ventotto anni. Il film è tratto da un suo allestimento teatrale e il tema centrale è l’incomunicabilità. Dramma piccolo borghese, è essenzialmente una pellicola di interni. Sylvia, la protagonista, è costretta a una vita "minima", spesa tra il lavoro di segretaria e il tempo da dedicare alla cura di Hilda, giovane disfunzionale. Quasi un saggio di sociologia microinterazionista, Bleak Moments indaga attraverso i piccoli gesti quotidiani l’abisso di solitudine che lega i protagonisti. Difficile scambiare poche parole, impossibile il contatto fisico. Peter, il co-protagonista, cerca di cavarsi d’impaccio citando McLuhan, ma le sue poche e confuse nozioni non gli saranno d’aiuto. Per dirla con le parole di Adriano Piccardi “momenti neri, i primi anni Settanta, per l’istituzione familiare”. Dopo il suo esordio, Leigh dovrà attendere diciassette anni prima di tornare a dirigere un lungometraggio.

Meantime (1983)
Film per la televisione, storia di una famiglia cialtrona dell’East side londinese. Compaiono due futuri mostri sacri del cinema, Tim Roth e Gary Oldman. Per chi quegli anni ha potuto solo leggerli tra le righe delle cronache del tempo o su qualche vecchio numero di Rolling Stone, il riferimento letterario potrebbe essere il romanzo Human Punk di un londinese doc come John King. Scomparsa la Swinging London e la psichedelia alimentata a forza di Lsd, è ora il tempo degli skinhead. La Thatcher è primo ministro, e si sta mangiando lo stato sociale. Joe Strummer e i Clash portano in giro il loro album più controverso, Combat Rock. In periferia si sopravvive con il sussidio. Disoccupazione e “No Future”.

The Short & Curlies (1987)
Il cortometraggio è successivo alle riprese di Four Days in July, film sulla questione nord irlandese girato da Mike Leigh per la BBC. Storia d’amore tragicomica tra una ragazzo e una ragazza che comunicano usando esclusivamente battute. Si ride amaramente, come spesso accade con le opere del regista.

Belle speranze - High Hopes (1988)
“Mi metterò giacca e cravatta quando fucileranno la famiglia reale”, dice il protagonista maschile Cyril, che, visto sfumare l’ideologico sogno di una società socialista, continua imperterrito a fare visita alla tomba di Carlo Marx, nel cimitero di Highgate. Ritratto di tre coppie assai differenti, immagini grottesche della mutazione dei tempi. Post-sessantottini e arrampicatori sociali. Maschere di un futuro che aspetta la storica caduta del Muro di Berlino e la nuova mappa della geografia e del pensiero occidentale. Così l’autore riassume le incertezze di quegli anni: “Se mi avessero detto, nel 1988, che i laburisti avrebbero vinto le elezioni soltanto nel 1997, ne sarei rimasto terrorizzato. Ma ancora più terrorizzato se avessi saputo che cosa avrebbero fatto”. Per stare ai riferimenti letterari, qualcosa di simile lo si può rintracciare ne La famiglia Winshaw di Jonathan Coe.

Dolce e la vita - Life is Sweet (1990)
Primo film prodotto dalla Thin Made Film, la società fondata da Mike Leigh e Simon Channing Williams. Continua la riflessione del regista sul thatcherismo e sul dramma della disoccupazione. Questa volta però i personaggi della storia decidono di rimboccarsi le maniche e provare a mettere fuori la testa. Centrale, come sempre, il tema dei rapporti familiari.

Segreti e bugie - Secrets & Lies (1996)
Pellicola che consacra il regista inglese, dandogli finalmente il meritato riconoscimento internazionale. Palma d’Oro al Festival di Cannes, Nastro d’Argento e Goya per il miglior film europeo. Un ben tornato a una pellicola nota e celebrata da molta parte della critica. “Segreti e bugie sta a Voglia di tenerezza come Full Metal Jacket a Rambo”, Morando Morandini. “Tra psicologismo minimalista e ambizione sociologica, il film racconta una vicenda di amore e odio all’interno di un clan, dove la voce del sangue si fa strada fra invidie e dissapori; e trionfa, come in un teorema sulla salvezza, la scelta di Marianne che oppone ai troppi segreti e bugie la sua sete di verità”, Tullio Kezich sul Corriere della Sera. “Con la stessa passione di Ken Loach, ma con un sorriso più disteso, Leigh osserva gli uomini e le donne quotidiani, quelli che per lo più il cinema ignora o, peggio, falsifica. Lo si chiamerebbe realismo, questo modo di guardare, se non fosse per quel poco o tanto di presunzione programmatica che l"'ismo" implica”, Roberto Escobar su Il Sole 24 Ore.

Ragazze - Career Girl (1997)
Film di donne e di ricordi. Due vecchie amiche, ex compagne di studi e coinquiline, si ritrovano a Londra e rievocano, con un pizzico di nostalgia, gli anni dell’università. Leigh lascia spazio a una leggerezza non usuale per il suo cinema. Costruisce l’azione con una serie di flashback incastrati con il presente. Girato in cinque settimane, Ragazze è un tassello colorato e tenero, pieno di musica e di un pensiero lieve su un tema importante come l’amicizia.

Tutto o niente - All or Nothing (2002)
Mestiere, normale amministrazione. Leigh distilla i suoi ingredienti più noti. Con perizia da chef consumato si mette ai fornelli e prepara un piatto veloce e ben riuscito. Il regista parla di un ritorno alle radici dopo la “deviazione” di Topsy – Turvy (Oscar nel 2000 per i migliori costumi e il miglior trucco), “affronta temi fondamentali come la famiglia, le responsabilità, la comunicazione e l’incomunicabilità. Si parla di amore, di passioni e di dover arrivare alla fine del mese con pochi soldi a disposizione”.

Il segreto di Vera Drake - Vera Drake (2004)

Leone d’Oro al Festival di Venezia, condivide la scena con un altro grande film presentato in concorso quello stesso anno, Mare dentro di Alejandro Amenabar. Aborto ed eutanasia, due temi profondamente dibattuti sulla scena pubblica e politica di un paese, come il nostro, spesso incline a maree reazionarie. Leigh ricostruisce con attenzione maniacale il paesaggio di una Londra post-bellica fiaccata dallo sforzo di ricostruire una nazione che ha dovuto rinunciare al suo impero e ora lascia la guida del mondo agli Stati Uniti. In uno scenario metropolitano dominato da una fotografia fatta di colori scuri, vicoli logori e un umanità stanca si muove laboriosa la piccola signora Drake, madre, moglie e donna di cuore. Vera avanza inarrestabile, volontà monolitica che l’avvicina alla figura di una missionaria, non c’è spazio per riflettere, il mondo è un palazzo in rovina da ricostruire, le giovani quasi-madri abbandonate dai loro uomini hanno bisogno di aiuto. La regia atea dell’autore segue la  protagonista fino alla cella nella quale la legge la costringerà per due lunghi anni. A casa la famiglia l’attende, ma la sensazione è quella di un destino ineludibile.

La felicità porta fortuna - Happy Go Lucky (2008)
Se Vera Drake era programmaticamente ingenua, Polly, la maestra colorata dell’ultimo film di Mike Leigh (al momento sta lavorando al montaggio di un’altra pellicola, la cui uscita è prevista per il 2010), è ostinatamente ottimista. Lo spazio dell’azione è come di consueto metropolitano, ma questa volta la periferia lascia il campo al quartiere alternativo di Londra, Camden Town. Polly ha costruito un argine contro le tempeste della vita, un muro di felicità da tenere in piedi a tutti i costi, contro le frustrazioni, l’accidia del suo istruttore di guida, le violenze domestiche subite da uno dei suoi alunni. Punto di vista riduttivo si dirà. Possibile. Di sicuro c’è che non sono in molti a provare a guardare le umane vicende con spirito positivo. Leigh è diventato ottimista? Difficile dirlo. Anche questa volta, però, sceglie la strada meno battuta, in un mondo che come dice lui stesso è diventato un casino qualcuno dovrà pur pensare al futuro. Se in Vera Drake erano le contingenze il fulcro della storia qui domina la speranza: Polly è un personaggio "ponte", prende per mano lo spettatore e lo accompagna sull’altra sponda, lontano dal buio.

Postfazione
Cinema di sigarette accese, fumate stipati nel salotto di qualche casa vittoriana dell’hinterland mentre il bollitore del the si scalda sul fuoco. Mike Leigh ha costruito una filmografia fatta di quadri metropolitani, ha illuminato uno spazio ristretto della società, quello piccolo borghese, lasciando ad altri il compito di occupare le pareti del resto della galleria del mondo. Le commedie multietniche come East is East, i romanzi dei nuovi inglesi, figli di immigrati, come Hanif Kureishi (Il Budda delle periferie), Malkani Gautam (Londonstani) e Monica Ali (Brik Lane) raccontano di altri quartieri e di altri tempi. Sul comodino di Leigh lo spazio continua a essere occupato dalle pagine di Michael Curtin.

 


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