TOFIFE 2005/Omaggio a Lodge Kerrigan PDF 
di G.F.   

L'omaggio a Lodge Kerrigan si è svolto nell'ambito della consueta rassegna "Americana" del XXIII Torino Film Festival. Kerrigan è un regista aspro che risponde al criterio truffautiano dell'unicità continuativa della creazione filmica. Le sue opere sono molto simili tra loro: un'angoscia esistenziale caratterizza (e imprigiona) tutti i suoi personaggi, i quali, nonostante si dibattano febbrilmente, si mostrano impossibilitati a superare tutte le paure e gli impedimenti che li ossessionano.

Paternità frustrate (Clean, Shaven; Keane) o ricercate come snodo decisivo per lasciarsi un difficile passato alle spalle (Claire Dolan) rappresentano la materia viva e magmatica attraverso cui si delineano le vicende narrate, sempre claustrofobiche e ossessive, attraversate da una luce livida che illumina per rendere più evidente la tragedia esistenziale messa in scena, ma che, al contempo e inevitabilmente, non riscalda, bloccata com'è nel suo gelo senza speranza. Winter - paradossalmente - è il nome del protagonista di Clean, Shaven (1993), allucinatorio personaggio alla ricerca di un contatto affettivo con la figlia sottrattagli dal gioco perverso degli affidamenti prima e da un mortale equivoco poi, ma non meno invernali sono la Claire Dolan del film omonimo (1998), prostituta intrappolata nel suo aracnideo sistema di protezione, e il William Keane di Keane (2004), figura scissa tra il recupero del passato e un consequenziale problematico presente.

Altrettanto soffocante è la scelta di rappresentazione di Kerrigan, fisso, ossessivo, quasi coercitivo nel ritagliare quadri sui suoi personaggi mentre finge di rispettarne gli angusti limiti di un universo confinato intorno ai propri indimenticati traumi. Intrappolati in piani mobili dall'esiguo conforto e condannati ad un'eterna e mai doma coazione a ripetere, i personaggi di Kerrigan sono il nucleo da cui si irradia una narrazione condotta attraverso dettagli stranianti, particolari disturbanti, giustapposizione di brevi sequenze dal taglio quotidianamente minimalista. La messa in scena si concentra sull'intimo orrore che ogni uomo porta con e dentro di sé, servendosi di artifici che nella loro fredda e catatonica replica suggeriscono la crisi e l'impossibilità di una salvezza che porti requie e normalità: nella sua ricerca di rendere la paranoia oltre modo evidente, Clean, Shaven si trasforma addirittura in un film modellato quasi esclusivamente sul sonoro e sui suoi effetti di reiterazione annichilente, mentre Keane basa il suo risultato sulla dipendenza dal tempo e sulle opprimenti ricorrenze cronologiche.

Un regista non semplice, epidermicamente ripetitivo, ma un autentico cantore di quelle grandi angosce che fanno dell'esistenza un inferno a misura d'uomo.

 


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