Nosferatu, ovvero l'immagine che succhia il testo PDF 
Gabriele Angelo Perrone   

Nosferatu, il vampiro, il non-morto, può essere inteso come un personaggio chiave nella rilettura di concetti eterni legati al rapporto cinema e letteratura; adattamento, riduzione, trasposizione, fedeltà (ecc.), sono concetti sfuggenti tanto quanto il mito, la leggenda, la storia, il folklore che caratterizzano il mostro dai canini appuntiti. Così come egli avidamente si serve di “colli delicati”, il cinema, altrettanto, ne strapazza l’immaginario, costruendo una galleria interminabile di sequenze capaci di ingrandire ulteriormente la figura leggendaria. Rimanendo però saldamente ancorati al testo di Bram Stoker, Dracula, è possibile ridurre l’analisi dell’adattamento cinematografico a quelle tre pellicole che tuttora sono ritenute i maggiori risultati sul tema del vampiro: Nosferatu, eine Symphonie des Grauens di Friedrich Wilhelm Murnau (Nosferatu il vampiro – 1922), Nosferatu: Phantom der Nacht di Werner Herzog (Nosferatu: Il principe della notte – 1978) e Bram Stoker's Dracula di Francis Ford Coppola (Dracula di Bram Stoker – 1992). L’adattamento può essere inteso in diverso modo: ad esempio secondo una natura segnica verbale/visiva, secondo strategie discorsive.

Natura segnica verbale/visiva. Varianti delle versioni del Dracula
Per ovvie ragioni i Nosferatu di Murnau ed Herzog sono inscindibili di fronte ad un’analisi, in quanto il secondo è un remake del primo, che è liberamente ispirato al testo di Stoker. A causa della mancanza dell’acquisizione dei diritti di autore (infine ugualmente violati), Murnau è costretto a mutare ambientazione e nomi dei personaggi, infatti, se nel testo scritto dalla Transilvania si arriva in Inghilterra, nel testo filmico, lo spostamento avviene tra la Transilvania e la Germania, quest’ultima, ricollecandoci a Kracauer, terra di rappresentazione tiranni. In entrambi i film la coppia protagonista della vicenda è già sposata, solo che in Herzog oltre ad essere ripresi i nomi originali, vengono invertiti quelli delle due figure femminili (Mina e Lucy). Per quanto riguarda invece la figura dello scienziato A. Van Helsing, in Herzog è costruito come simbolo incorruttibile dell’illuminismo, il quale solo davanti alla morte/sacrifico di Lucy accetta ciò che egli stesso definisce superstizioni. In Murnau Van Helsing sparisce per lasciare posto a due personaggi, il primo non ha nome e gestisce il manicomio dove viene improvvisamente ricoverato Knock/Renfield, il secondo ha invece un ruolo marginale, il professor Bulwer, che vediamo impartire lezioni sul rapporto tra la natura e la natura umana, mostrando una pianta carnivora che definisce il vegetale vampiro della natura. Tale affermazione dimostra come sia questo il personaggio da legare al Van Helsing del romanzo, in quanto preservano le stesse caratteristiche: scienziati e occultisti. In fine Murnau decide di rappresentare la storia come una ricostruzione visiva del testo di Stoker, che muta in un diario scritto (come il libro) da un immaginario storico tedesco, Johann Cavallius, che descrive la ricostruzione delle causa che portarono a Brema l’epidemia della peste (quest’ultimo riferimento è assente nel remake di Herzog). Attorno alla versione di Coppola è invece evidente una maggiore aderenza alla struttura narrativa di Stoker (nonostante la storia d’amore), oltre alla presenza di quasi tutti i personaggi del racconto (in Coppola il pazzo Renfield si confonde con il signor Hawkins, così come in Murnau Knock rappresenta sia Hawkins che Renfield, mentre in Herzog Renfield è sia Knock, sia Hawkins).

Destino/Necessità – Vita/Morte – Amore/Morte – Vittima/Carnefice
In questi temi si racchiude la personalità, la natura scritta del personaggio narrativo di Dracula in Bram Stoker. Un mostro del quale non si conoscono le origini, destinato a perdurare nel tempo (“Dracula l’inestinto” leggono Ellen e Lucy in The book of the Vampire), in un continuo stato di non morte/non vita nel quale ogni desiderio è dimenticato, e dove permane assillante una incolmabile sete di sangue. Costretto al destino che gli è toccato, è carnefice in quanto necessita di sangue per continuare a perdurare in questo stato di transizione che lo caratterizza, ma allo stesso tempo vittima della sorte verso la quale prova una grande sofferenza (“esiste qualcosa peggio della morte, è il non morire”). Murnau comprende bene il personaggio descritto da Stoker, tanto da realizzare un’indimenticabile “viaggio nel subconscio e nella fascinazione della paura, della morte, dell’occulto, del negato, del rimorso” (1). Con Coppola invece, assistiamo ad una parabola dell’umanizzazione del mostro, dove la dicotomia bene/male si sfalda (tutti possono essere sia buoni sia cattivi) favorendo la definizione di una figura non solo spaventosa, orribile, ma anche affascinante, sensuale e nuovamente innamorata. Non è un caso, quindi, che in Coppola il Conte Dracula abbandona il pesante trucco da rettile per assumere una figura da affabile uomo dannato che ritrova l’amore perduto nel suo passato, reincarnato nei secoli successivi. Inoltre, abbandona anche i vestiti neri (“nerovestito da capo a piedi, senza una sola macchia di colore in tutta la persona”) per indossare una tunica rossa (il colore del sangue, simbolo della sua dannazione, ma anche della passione), ma rimanendo fedele a se stesso per il resto delle caratteristiche che lo contraddistinguono da sempre. Sulla dicotomia amore/morte in Murnau (e naturalmente in Herzog anche se in diverso modo), è evidenziata l’ambigua attrazione che il Conte Dracula prova verso Lucy, dettata non da un piacere fisico ma da un’attrazione verso del “sangue puro”: amore/morte riguarda quindi sempre il personaggio umano, in questo caso Ellen e Lucy che si sacrificano per amore verso il marito. E’ Coppola il regista che su questo punto si discosta maggiormente non solo dai due film precedenti, ma anche dal testo scritto; se Stoker scrive del “battesimo del vampiro” che subisce Mina, come una vendetta verso chi lo perseguitava nel tentativo di annientarlo, il regista lo presenta come atto quasi finale di amore, quasi culmine del corteggiamento a Mina, punto cruciale nella parabola di umanizzazione che Coppola ci propone mostrando questo nuovo Dracula.

Strategie discorsive. Temporalità del racconto: incipit/epilogo
Dopo i titoli di testa che introducono il Nosferatu di Murnau, appare una didascalia che segna l’inizio del film: è la testimonianza di un eminente storico su un fatto passato ricostruito attraverso un diario, che riappare lungo gli snodi cruciali della storia. E’ con questo espediente che Murnau dichiara apertamente il legame libero esistente tra film e romanzo, presentando una storia passata attraverso le testimonianze di chi ha vissuto ed è sopravvissuto alla vicenda. Herzog, invece, costruisce un diverso incipit, un “ballo” (simile è il successivo Il Gattoparve del ‘95 di Ciprì e Maresco) lungo le espressioni orribili di mummie di passati secoli, una sorta di avvertimento allo spettatore che gli orrori che colpiscono o causano gli uomini sono sempre attuali. Lo stesso non può essere detto dell’epilogo, suddivisibile in due parti: nella prima parte dell’epilogo dell’adattamento di Murnau vediamo Ellen mandare via il marito Hutter, questo per permette al vampiro di godere del proprio sangue con l’intento di trattenerlo fino al canto del gallo. L’entrata del vampiro, come sempre viene descritta, è anticipata dall’ombra che in questo caso introduce il vampiro prima lungo le scale e dopo anche lungo il corpo della donna, prima di addentare il collo, per soccombere alla fine ai primi raggi del sole che tramutano il corpo in fumo. Qui viene la seconda parte dell’epilogo, una breve inquadratura sul castello del defunto conte. Herzog tratta in modo simile l’epilogo, rimanendo quasi fedele a Murnau nella descrizione del sacrificio, ma aggiungendo la parte di Van Helsing che completa l’opera impalando il corpo immobile del conte. In questo contesto ritroviamo anche il personaggio del marito Jonathan Harker, ormai quasi vampiro, che riuscito a liberarsi dalla prigione (l’ostia consacrata e sgretolata ai suoi piedi) impostagli dalla moglie, va via a cavallo, ormai vampiro, lungo un paesaggio desertico. In una tipologia di inquadratura cara all’estetica del regista bavarese, vediamo il male spostarsi lungo un deserto sabbioso, luogo che indica per l’uomo disorientamento e paura. Nella versione di Coppola, incipit ed epilogo sono strettamente legate alla parabola di umanizzazione del Conte Dracula; ciò che è solo accennato nel romanzo, qui diventa concretezza storica, presentando Dracula come Vlad III, come personaggio storico realmente esistito che si autocondanna davanti l’altare del Cristo a causa della morte dell’amata moglie. L’epilogo si svolge nello stesso luogo qualche secolo dopo, dove morirà per mano della donna amata, alla quale lui non riusciva a regalare l’eternità della non vita/non morte, la quale però gli regalerà la liberazione dalla dannazione. L’ultima sequenza mostra Vlad III apparire sull’affresco della cappella dove muore nelle sembianze di un angelo, assieme alla sua amata, momento che chiarisce le intenzioni del regista: raccontare una sorta di storia di un angelo caduto. Gli incipit e gli epiloghi di questi tre film differiscono totalmente dal romanzo, ma sono però funzionali alla struttura che ogni regista ha pensato di mostrare.

Costruzione del punto di vista/sguardo
Tra la coppia Murnau/Herzog e Coppola il punto di vista attorno alla figura del Conte Dracula, muta in modo evidente; se in i tre casi il primo piano è frequente (evidente il ricorso ad un gioco di luci che divide in due il viso del vampiro, una parte più scura, una più chiara, come per voler rimarcare la sua doppia natura), così come il piano americano, la maggiore velocità nel compiere i movimenti del Dracula coppoliano, così come la maggiore movenza della stessa mdp, conferiscono al personaggio in questo secondo caso, un maggiore senso di irrealtà e quindi di non appartenenza al mondo dei vivi. Lo stesso vale per il ruolo svolto dalle ombre del conte, le quali hanno maggiore peso e maggiore vita propria in Coppola rispetto che in Murnau ed Herzog, dove sono più una cornice innaturale di un Dracula senza dubbio maggiormente fisico, soprattutto nell’interpretazione di Klaus Kinski. Nosferatu succhia così dal testo scritto da Bram Stoker, restituendo nell’immagine costruita attorno alla sua immortale leggenda, sequenze che sono il frutto di un fenomeno, quello dell’adattamento, composito, che scaturisce da più aspetti; rimanendo alla figura del regista bisogna almeno considerare il punto di vista da lettore e dopo, appunto, da autore cinematografico. Allo stesso modo questi due aspetti possono essere ulteriormente influenzati dal modo in cui viene interpretata la lettura del testo scritto a seconda del periodo in cui la si legge, e il bagaglio di immagini che ci appartiene.

Note
(1) Goffredo Fofi, I grandi registi della storia del cinema, Donzelli, Roma, 2008

 


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