Davide Ferrario PDF 
di Tiziano Colombi   

Come sei arrivato a realizzare Dopo mezzanotte?

E' stato verso la fine del 2002. Non giravo un lungometraggio dal 1999, in parte perchè mi sono occupato di documentari, in parte perchè nessuno era interessato a finanziare i film che volevo fare – e d'alta parte a me non interessavano i film che mi venivano proposti. Sono sempre stato un filmaker indipendente, ma non ho mai pensato che questo significasse non avere rapporti con il sistema. Però la situazione produttiva italiana si è molto standardizzata ed è sempre più difficile fare un film "diverso". Dove "diverso" non significa impopolare, anzi...Ma è ormai un fatto che c'è una rigidità strutturale del sistema a pensare film che non quadrino con certi schemi produttivi. Venivo da un rapporto con la Miramax. Loro avevano comprato una mia storia e per due anni l'abbiamo sviluppata, sceneggiatura e sopralluoghi compresi. Il progetto è poi finito su uno scaffale, ma almeno mi erano rimasti i dollari del compenso. E, visto che nulla si muoveva, ho pensato che potevo finanziarmi io stesso un film a basso costo. Le idee non mi mancavano, ma la maggior parte era fuori budget. Finché non ho cominciato a pensare alla Mole.

Questo significa che la storia è solo una conseguenza della location?

Be', come dice il film stesso, "forse sono i luoghi che raccontano le storie meglio dei personaggi". La verità è che innanzitutto avevo bisogno di fare cinema, di sentirmi vivo sul set. Non è un caso che Dopo mezzanotte sia un film sul cinema quanto sull'amore...e poi mi piaceva l'idea di lavorare con una piccola troupe motivata, mi piaceva girare a Torino, una città che amo e dove la Film Commissione è molto attiva. Volevo fare un film semplice e lieve. E volevo anche lavorare con attori giovani e poco noti. Insomma, è affascinante lavorare con la Miramax o con la Medusa (come poi mi è capitato subito dopo), ma ogni tanto uno ha bisogno di ritornare alle radici.

Hai parlato di cast sconosciuto. Ma Giorgio Pasotti non è propriamente una scoperta...

Naturalmente. Ma è anche vero che il ruolo di Martino è lontanissimo da qualsiasi cosa abbia mai interpretato. All'inizio non avevo pensato a Giorgio, poi l'idea mi ha colpito all'improvviso. Ed era quella giusta. Sono molto orgoglioso, poi, di aver dato una chance a Francesca Inaudi e a Fabio Troiano. Sono due attori bravissimi ma, come spesso capita in Italia, sottoutilizzati perché non corrispondono a un "tipo". Trovo che il trio principale funzioni benissimo, ispiri una grande simpatia e fiducia. E non dimentico Francesca Picozza, il "quarto lato" del triangolo.

Parlavi della Mole...

Sì, è un posto fantastico. Mi era capitato già di girarci una scena di Tutti giù per terra, quando era ancora in ristrutturazione. Così avevo conosciuto la Mole non aperta al pubblico, quella delle scale a spirale, dei cunicoli e dei terrazzi che si aprono sulla vertigine del vuoto. Poi l'apertura del Museo del Cinema ha dato al luogo un carattere ancora più forte e più surreale. Ho cominciato a pensare a come poteva sentirsi un giovanotto appassionato di cinema che si trovasse a fare il custode notturno di un posto del genere...

Martino, però, non è propriamente un cinefilo...

Infatti. Credo che il personaggio di Martino sia in parte autobiografico. Io stesso non mi sento un cinefilo. Ho spesso ripetuto che si parla troppo degli autori e poco dei film. Ecco, credo di condividere con Martino questa grande passione per il cinema come "cosa", come strumento per riprendere e proiettare la realtà. E non è un caso che Dopo mezzanotte sia ispirato e citi Buster Keaton, il comico meno sentimentale e più "materialista" della storia del cinema.

Dopo mezzanotte è certamente un film sul cinema, ma non solo quello…

No, infatti. E comunque si tratta di un aspetto trattato senza intellettualismo. La storia del film è incentrata principalmente sull'amore. In effetti, è difficile fare un film che non parli d'amore. Per amore non intendo solo la classica relazione uomo-donna. Penso all'amore come lo intendeva Fassbinder: il bisogno di appartenere a qualcuno o a qualcosa – un ideale, una fede, un posto.

C'è un salto molto evidente tra Guardami e Dopo mezzanotte...

Sì, certo – come c'era tra Guardami e Figli di Annibale o Tutti giù per terra. Non mi è mai interessato quel tipo di coerenza, quella di chi fa sempre lo stesso film, ma il fatto che Dopo mezzanotte sia una commedia deve molto a una certa situazione morale in cui mi sono trovato. Nel tempo trascorso da Guardami, ho fatto documentari su Pasolini, sulla Bosnia, sul G8 di Genova. Per tre anni ho organizzato un seminario audiovisivo con i detenuti di San Vittore. Ho lavorato con Marco Paolini, prima in teatro e poi dirigendo la serie di monologhi di Report. Insomma, raccontare una storia lieve, ancorché non leggera, era un bisogno inconfessato ma fortissimo. Volevo un film che fosse piacevole da fare e da vedere. E comunque, pagavo io...

Quanto è stata importante la scelta dell'alta definizione?

Fondamentale. Dante Cecchin (che poi ha fatto la fotografia del film) mi aveva contattato un paio di anni fa. Vista la mia carriera, pensava che fossi il tipo giusto per provare quel tipo di tecnologia. Quando ho cominciato a pensare a Dopo mezzanotte gli ho chiesto di venire a fare un test alla Mole con una macchina HD (elettronica ad alta definizione). Il test fu sensazionale. L'HD ti permette di lavorare con pochissima luce e con un risultato sorprendente. Come regista-produttore, era la risposta che cercavo. Siamo riusciti a girare un film che visivamente è bellissimo in sole 4 settimane.

Credi che il cinema digitale sia il futuro?

Sì e no. La mia è stata una bellissima esperienza, ma il mezzo ha ancora dei limiti: devi avere la storia e il progetto giusto, non è che tutti i film siano fatti per il digitale. D'altra parte non credo alla "teologia del digitale" di Dogma – anche perché sono i primi a contraddirla. E' tutto molto più fluido di così. Semmai mi piace ricordare la dichiarazione di Antoine Lumière citata nel film: "Il cinema è un'invenzione senza futuro". E' una splendida ironia. Il cinema è più libero di quanto chiunque possa immaginare, ieri e oggi.

Nuovi progetti?

Uscirà a settembre: Se devo essere sincera, con Luciana Littizzetto, Dino Abbrescia e Neri Marcorè. E poi spero di poter realizzare Body art, il romanzo, di cui Don DeLillo mi ha ceduto i diritti. L'ho incontrato personalmente e sono onorato che abbia avuto fiducia nella mia proposta. Sarebbe il primo romanzo di DeLillo a essere portato sullo schermo: sto preparandomi a scrivere la sceneggiatura.

 


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