L'amore nascosto PDF 
Flaminia Attanasio   

L’amore nascosto, l’ultima fatica cinematografica del nostro Alessandro Capone, già autore di un episodio della commedia Feisbum - Il film, dell’horror Streghe e dello spettacolo teatrale divenuto poi film Uomini sull’orlo di una crisi di nervi, ha un pregio sopra tutti: trattare più profondamente il tema scomodo e sufficientemente strumentalizzato da gran parte dei media della maternità indesiderata. Questa, in quanto non necessariamente causa di uno stupro ma proprio perché subita e vissuta come una violenza, un obbligo dettato da regole sociali e morali e non, al contrario, una possibile e voluta realizzazione. Capone, tuttavia, non si è limitato alla sola enunciazione del disagio, ma ha voluto anche gettare il suo sguardo sulle conseguenze di un rapporto madre/figlio improntato sull’indifferenza e sul gelo delle emozioni.

La vicenda narrata è infatti quella di Danielle Girard (Isabelle Huppert), quarantasettenne ricoverata in una clinica psichiatrica per essersi trincerata, dopo il terzo tentativo di suicidio, dietro un muro di silenzio e d’indolenza inviolabili. Attraverso il rapporto con la dottoressa Nielsen (Greta Scacchi), la sua psichiatra, Danielle riesce ad eviscerare il suo disagio profondo, legato al rifiuto e alla mancanza di sentimenti per sua figlia Sophie (Mélanie Laurent), la quale, pur rimanendo una figlia traumatizzata e piena di rabbia, è a sua volta mamma. Si può insomma dire a pieno titolo che L’amore nascosto è un prodotto dagli intenti più che pregevoli e che in nuce possiede un coraggio che gli dà certamente lustro. E in effetti è vero, ma qualcosa nella pellicola non va. A dispetto di tutti i buoni propositi all’origine del film, e della presenza di una star internazionale del calibro di Isabelle Huppert, la pellicola non funziona e finisce per cadere nel piattume adimensionale. Qui probabilmente il problema non sta tanto nel cosa si racconta, che comunque non è affatto un elemento secondario nel processo filmico di creazione delle immagini, bensì nel come lo si racconta e, soprattutto, visto che si tratta di cinema, di come lo si rappresenta mediante, appunto, le immagini. In L’amour caché mancano gli accenti, i toni forti di chiaroscuro, non tanto nella fotografia, quanto nella recitazione delle protagoniste e nell’andamento del racconto, essenziali invece in una storia drammatica come questa, e, inoltre, di immediata fruizione da parte dello spettatore. Complici delle interpreti tiepide (in particolare Isabelle Huppert), c’è invece un’unica patina grigia che ammanta tutta la pellicola nel segno della monotonia e del monocolore. Senza distinzione né di situazioni né di toni. Come se il prodotto nella sua interezza fosse avvolto (o travolto) da un banco di nebbia, il quale non costituisce affatto una scelta estetica ben precisa da parte dell’autore, bensì un limite, concretizzazione di un’incapacità di far vedere le cose sia in profondità, sia con senso di profondità, di far vedere i colori, i tagli di luce e le ombre. Ma niente. Tutto è piatto e suona come una monodia stonata. Mancano le esplosioni di emozioni, o anche, al limite, una catarsi, peccato mortale per un’opera cinematografica che, così com’era stata concepita, nasceva come un dramma, se non una tragedia a tinte molto forti. E tutto ciò, inutile dirlo, è un grande limite. Soprattutto per il fatto che L’amour cachè vanta in sé una trasformazione: passa dal dramma alla tragedia, o perlomeno queste erano le intenzioni: il film inizia proponendosi (malamente) come un dramma esistenziale in chiave familiare rigorosamente narrato dal punto di vista femminile per poi divenire tragedia. Il carattere tragico della storia in questione non è dato solo dall’epilogo, ma dal fatto che la storia segua più o meno l’excursus classico della tragedia, ovvero che inizia bene e finisce male, sebbene qui si inizi male e si finisca peggio, e non di certo per la complessità dei personaggi.

L’ultima opera su celluloide del nostro Capone, dunque, si propone molto male sia come dramma che come tragedia, soprattutto perché manca quella complessità, spesso anche contraddittoria, che il cineasta ha tentato di sviare introducendo stilemi di altri generi (emblematica a riguardo è la scena che rappresenta Isabelle Huppert di spalle che scrive freneticamente buttando man mano i fogli per terra), qui vuoti e fini a se stessi. E, per parafrasare, non c’è quella sensazione, quello stato emotivo che gli anglosassoni chiamano thrill, che preannuncia che qualcosa sta per accadere. Anticamera della tragedia? Forse. In ogni caso mancano sia l’uno che l’altro, non c’è né thrill né tragedia e il risultato è un film assolutamente piatto che ha il sapore amaro dell’occasione mancata, nonostante gli ingredienti per un buon film ci fossero tutti.

TITOLO ORIGINALE: L’amour caché; REGIA: Alessandro Capone; SCENEGGIATURA: Alessandro Capone, Luca D’Alisera; FOTOGRAFIA: Luciano Tovoli; MONTAGGIO: Roberto Perpignani; MUSICA: Riccardo Fassi, Lawrence “Butch” Morris; PRODUZIONE: Belgio, Italia, Lussemburgo; ANNO: 2007; DURATA: 92 min.

 


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