Potiche PDF 
Giulia Palmieri   

Esco dalla sala, le mani in tasca, il naso verso il buio della notte lionese, pronta a festeggiare l’8 dicembre con le sue luci sfavillanti. E penso: adesso che faccio? Come posso essere obiettiva su una pellicola che mi ha lasciata decisamente perplessa? La verità è che non è mia abitudine dare giudizi troppo soggettivi, ma qui non posso proprio farne a meno.

Potiche è una commedia francese che somiglia molto alle capigliature improbabili dei personaggi che le danno vita: laccata e stucchevole, materializza sullo schermo lo stereotipo della vita anni Settanta, tutta sorrisi e zampa di elefante. E come nello spot di ogni detersivo che si rispetti, Suzanne (Catherine Deneuve) è la moglie trofeo, sempre accondiscendente e devota, rigorosamente segregata in cucina, condannata ad occuparsi del binomio casa/famiglia, sospesa in una dimensione medio-borghese che le impedisce di comprendere ciò che realmente succede al di là del proprio meraviglioso pratino all’inglese. Nel frattempo Robert Pujol (Fabrice Luchini), marito fedifrago e maschilista, gioca a fare il direttore di un’azienda che produce ombrelli, ma si fa sequestrare dai propri operai in sciopero, non essendo dotato del dono della diplomazia. Soltanto allora, la bella statuina Suzanne si scopre detentrice di un’inedita capacità imprenditoriale che le stravolgerà definitivamente la vita, nel bene come nel male.

Presentato alla 67a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia e selezionato per il Toronto Film Festival, l’ultimo lavoro di Ozon ha convinto la critica per il suo umorismo puntuale e la destrezza degli interpreti. Catherine Deneuve pare divertirsi molto sulla scena e riesce a rendere caricaturale il suo ruolo, conservando una certa maestria nella gestione dell’ingenuità del personaggio. Suzanne è una donna fastidiosamente naïf che non rinuncia alla propria femminilità, nemmeno quando arriva il momento di “mettersi i pantaloni”. Ed è proprio questo essere donna che si addice alla Deneuve, capace di ottenere tutto ciò che vuole, potere compreso, grazie alla sola forza della delicatezza. L’immenso, di nome e di fatto, Depardieu l’aiuta poi a dipingere uno scenario che si preannuncia pop fin dai titoli di testa, cangianti nel loro carattere superfly, in pieno stile Charlie’s Angels. Il ruolo del sindacalista innamorato gli si addice al punto che l’intesa tra i due appare reale, soprattutto da un punto di vista sentimentale. L’interpretazione migliore resta però quella di Fabrice Luchini, che attraverso la modulazione dei toni e dei gesti riesce a ridicolizzare il personaggio di Pujol fino a renderlo un mostro d’altri tempi (mica tanto). Altra nota di merito a Karin Viard, la naturalmente sexy segretaria che stranamente ha un cervello e si schiera dalla parte di Suzanne quando l’orgoglio femminista comincia a bussare alla porta.

Se vi è piaciuto l’Ozon di 8 donne e un mistero questo film non vi disturberà affatto. Lo sfondo confetto, animato da una fotografia calda, a colori molto vividi (in prevalenza rosso e arancio) è lo specchio di un’epoca che lo spettatore osserva come guarderebbe un animale in uno zoo. Non vi è profondità di trama, né di temi, perché lo scopo del regista è palesemente un altro: la risata. Perché prendersela allora? Forse perché l’idea di sondare i luoghi dell’emozione attraverso i corpi di due anime non più giovani poteva davvero essere uno spunto interessante, non sfruttabile soltanto a livello di sceneggiatura, ma soprattutto a livello di contenuti. E lo stesso si potrebbe dire della lotta operaia che per Ozon resta un pretesto, un mezzo attraverso il quale arrivare a raccontare altro, mentre avrebbe potuto fornire ben più che un pugno di capelloni strabici e urlanti. Infine, l’emancipazione della donna: Suzanne non lotta, non combatte, né per sé, né per le altre appartenenti alla categoria. Si ritrova immischiata in qualcosa di più grande di lei, qualcosa che forse non ha nemmeno l’intelligenza di capire. Il fatto che il film si concluda con una canzone stile “volemose bbene” rende forse meglio l’idea di ciò che intendo dire.

Forse l’errore è stato trasporre sul grande schermo una pièce teatrale, quella di Pierre Barillet e Jean-Pierre Grédy, o mescolare insieme troppi generi, troppi spunti narrativi, troppi personaggi. O più semplicemente l’errore non esiste e quanto avete appena letto è solo il parere di qualcuno che ha perso il gusto di ridere davanti a commedie noiose che si prendono gioco dello spettatore, considerandolo troppo stupido per osare di più.

TITOLO ORIGINALE: Potiche; REGIA: François Ozon; SCENEGGIATURA: François Ozon; FOTOGRAFIA: Yorick Le Saux; MONTAGGIO: Laure Gardette; MUSICA: Philippe Rombi; PRODUZIONE: Francia; ANNO: 2010; DURATA: 103 min.

 


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