Presentato alla Mostra del Cinema di Cannes 2002 e prodotto, secondo la consuetudine degli ultimi anni, da Paulo Branco, Il principio dell'incertezza è l'ultimo lungometraggio del maestro portoghese Manoel De Oliveira. Affiancato da interpreti sensibili e dall'italiano - ma sarebbe più esatto definirlo apolide - direttore della fotografia Renato Berta (abituale collaboratore dell'israeliano Amos Gitai), il regista narra la storia di due coppie destinate a incrociarsi nonostante le pulsioni reali che le governano.
Giunto a 94 anni, De Oliveira ha ancora molte cose da dire. In questo caso il lusitano pone l'accento sulla conflittualità nascente dai legami interpersonali e dalla relazioni sociali. La storia alterna la commedia, sempre in punta di piedi e sardonica, al dramma, meno coinvolgente, fino alla progressiva deflagrazione e decimazione del nucleo originario.
Si tratta, purtroppo, di un passo indietro rispetto al precedente Ritorno a casa: l'ultima fatica è meno avara di dialoghi e più ricca di arzigogoli, cosa che invece di giovare alla lineare evoluzione del film contribuisce a renderlo più ostico. La sceneggiatura mette in bocca, a ragazzi, ragionamenti distanti dall'età che hanno, complica i rapporti e fa talvolta suonare come falsi gli accadimenti. Forse questo era proprio l'obiettivo di De Oliveira, ma tale condotta porta, in alcuni casi, a deconcentrare lo spettatore, che impegna più tempo a capire il significato di alcuni passaggi che non a gustarsi la resa plastica - sempre ineccepibile - delle scene e l'eleganza espositiva del maestro.
Quest'ultimo, col progredire dell'età, ha ulteriormente asciugato il proprio stile, fin quasi a raggiungere una posizione della macchina da presa inerte come quella di Ozu (i movimenti, se presenti, sono quasi sempre esterni rispetto alla macchina da presa, come per il treno), oppure - citato esplicitamente tramite la figura di Giovanna d'Arco - il sommo Dreyer.
Gli ammiratori del regista portoghese ritroveranno gli stilemi classici del suo cinema, ma gli altri non potranno non notare uno scostamento dalla bella prova antecedente - succitata - con Michel Piccoli. Lo sguardo ironico, la saggezza descrittiva, la direzione degli attori, il gusto di far parlare oggetti e luoghi, tutte le virtù dell'autore vengono riproposte intatte, ma manca, probabilmente, l'accessibilità e la voglia di farsi capire sino in fondo.
I dialoghi non sempre sono graffianti e il reiterato filosofeggiare degli interpreti spezza l'avvolgente progetto del filmmaker portoghese. Gli avvenimenti sono come ovattati e talora il motteggio si avvolge su se stesso sino a tralasciare lo scopo del film: il castigare ridendo mores. Sembra talora di udire gli echi del grottesco cinismo sociale di Friedrich Dürrenmatt, ma non sempre la chiarezza espositiva accompagna la resa della messa in scena.
In sostanza: col passare del tempo il cinema di De Oliveira si sta essiccando ma non raggrinzendo, conserva una vitalità innegabile e caratteristica ma, riguardo a Il principio dell'incertezza, va notato un ermetismo latente, a tratti persino d'ostacolo. Come per Ritorno a casa, la matrice teatrale domina, ma non è supportata dalla medesima freschezza. Rimane comunque la piacevole sensazione di aver assistito a uno spettacolo fuori dal comune e raffinatamente intelligente.
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