La breve e drammatica finestra che lungo gli anni Novanta ha portato l’est europa agli onori delle cronache (anche quelle cinematografiche) è a far conoscere i nomi di qualche autore ma non a definirne i contorni. Ma, se una “commedia balcanica” esistesse, sarebbe per molti versi vicina alla sensibilità umoristica che viene riconosciuta agli ebrei, temprata com’è dalle grandi tragedie che hanno fatto la storia di un popolo.
Parlare di commedia per un film come La polveriera di Goran Paskaljevic potrà sembrare fuori luogo, visto la quantità di umane miserie che vi si dipanano. Amici che si confidano rancori e vecchi tradimenti, taxisti che regolano i conti con i propri passeggeri, fuggitivi che fanno saltare in aria compartimenti di treno e giovani irrequieti che dirottano gli autobus: la sceneggiatura scorre un episodio via l’altro, talvolta senza intreccio, altre invece in un accanito susseguirsi di sventure che ha un che di grottesco. E’ precisamente qui che si rivelano i toni comici della narrazione, già a partire dalla prima sequenza: il carattere del giovane vitellone, tanto distratto a inseguire una ragazza con la propria auto da andare a sbattere contro quella di un malcapitato, naturalmente sprovvisto di patente e assicurazione. Il ragazzo fugge e viene inseguito, nello schema che sarebbe proprio di un registro brillante se non fosse per il crescendo inquietante di violenza da parte del “sinistrato”, che rivendica dietro alla sua macchina una vita di sacrifici. Al contrario di ciò che succede nella commedia che celebra l’Italia post-bellica, i consumi non sono sintomi del benessere ma gli unici appigli possibili di una nazione che il dopoguerra non lo intravede nemmeno all’orizzonte.
In tutti gli episodi, il meccanismo funziona per accumulo, secondo un umorismo pirandelliano che da situazioni di ordinaria - e diroccata - quotidianità deflagrano in un’esplosione di violenza eccessiva e gratuita. Basta nulla, in quella “polveriera” che sono i Balcani di fine secolo per accendere la miccia e far scattare la caccia al capro espiatorio di turno: un ragazzo si arrampica in cima ad una rete per sfuggire ai suoi persecutori, e a braccia allargate grida che la colpa non è sua. Il gravame di una responsabilità, che è di tutti e di nessuno insieme, è l’altro leitmotiv che percorre la riflessione di Paskaljevic che, lungi dal firmare un commentario esplicitamente politico, sa che è sulla flebilità dei confini - tra guerra e pace, amicizia e inimicizia , conterranei e avversari - che si regge il gioco pericoloso della Commedia Balcanica.
Titolo originale: Bure baruta; Regia: Goran Paskaljevic; Sceneggiatura: Dejean Dukovski, Goran Paskaljevic, Filip David, Zoran Andric; Fotografia: Milan Spasic; Montaggio: Petar Putnikovic; Scenografia: Milenko Jeremic; Costumi: Suna Ciftci, Zora Mojsilovic; Musiche: Zoran Simjanovic; Produzione: Canal (II), Eurimages, Gradski Kina, MACT Productions, Mine Film, Ministère de la Culture, Stefi S.A., Ticket Productions, Vans; Distribuzione: Medusa Film; Durata: 102 min.; Origine: Francia/Grecia/Macedonia/Turchia/Jugoslavia, 1998
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