Le storie sono asce di guerra da disseppellire - Wu Ming
Patricio Guzmán apre il suo documentario sulla storia del presidente cileno Salvador Allende con il particolare di una mano che, stringendo a fatica una grossa pietra, cerca di scalfire la dura superficie di un muro. Da quel muro riemergono, confusi, una serie di graffiti: sono i murales attraverso cui il popolo cileno sostenne la candidatura di Allende alla presidenza. I mezzi di informazione e la stampa erano in mano alla destra, l'ultimo spazio rimasto per la controinformazione erano le strade. Guzmán racconta la Storia e per farlo usa la sua storia e quella di quanti, in quegli anni, sostennero o fecero parte di Unidad Popular. La narrazione è intima, il punto di partenza del racconto è l'io, che tuttavia non rimane isolato ma diviene condiviso, solidale. Guzmán filma la biografia di Allende, ma non può fare a meno di raccontare la voce di un sentimento popolare, di una speranza che, quasi involontariamente, sfocia nella didattica, nella controinformazione. Disseppellendo la Storia attraverso testimonianze dirette e immagini di repertorio la regia dell'autore assume involontariamente connotati rivoluzionari: "il passato non passa" è il commento che introduce lo spettatore nella narrazione.
Perchè se la storia è sempre storia dei vincitori, l'eresia è la storia degli sconfitti - Enrico Palandri
Il film riduce brillantemente la formula che caratterizzò il cinema di un maestro del genere documentario, il francese Chris Marker: alla ricerca storica si affianca l'approccio personale che rifugge da strutture neotelevisive e giornalistiche. Guzmán non confeziona un documento antipropagandistico, rimane lontano dalla messa in scena di un regista come Michael Moore, non si teorizza nulla, non esistono controtesi da sostenere: questa è verità fattuale e per tanto eretica. Allende non era un rivoluzionario, non era un martire e per tutta la sua vita ha tentato di far comprendere al suo popolo che non era neppure un illuso: in tal senso è emblematico il frammento nel quale ci viene mostrato il presidente cileno mentre tiene il suo discorso davanti ai rappresentanti delle Nazioni Unite, nel quale attacca senza mezzi termini le ingerenze delle multinazionali nordamericane nel tentativo di sviluppo dell'America Latina.
Raccontare è resistere - Guimaraes Rosa
850.000 euro di investimento e otto mesi di lavorazione, tanto è costato resistere. L'intero racconto è sostenuto da un numero considerevole di documenti filmati dell'epoca, da molti discorsi del presidente cileno, i quali riescono perfettamente nell'intento di illustrare, senza ricorrere a mediazioni, il pensiero politico, e non solo, di Allende. Le immagini dell'incontro con Fidel Castro danno la misura della multiforme personalità di un uomo sinceramente legato ai movimenti rivoluzionari, che tuttavia aveva scelto per sé e per il suo popolo la via della democratizzazione pacifica. Il Cile doveva divenire un paese retto da una politica socialista, ma questo scopo non sarebbe stato raggiunto con la guerriglia. Il prezzo che pagherà sarà tremendo e l'esposizione al pericolo molto alta. Rovente e affilata come una lama è la sequenza che mostra la morte in diretta di un operatore argentino mentre filma i primi focolai del movimento golpista.
L'intelligenza non è poi così importante nell'esercizio del potere e, spesso, addirittura non serve - Henry Kissinger
Naturalmente tutte le storie, come le monete, hanno due facce: nel caso della vicenda di Salvador Allende si tratta degli Stati Uniti d'America, dei suoi esponenti politici, di chi in quella storia ebbe un ruolo altrettanto fondamentale. Guzmán sceglie, anche qui, di far parlare chi di quel periodo fu testimone, in questo caso si tratta dell'ex ambasciatore statunitense in Cile, Edward Kerry. La formula dell'intervista riduce lo spazio della composizione filmica, lega la volontà registica, ma rimane, quando non è tediosa e veicolata, impareggiabile documento del reale.
Il passato non passa - Patricio Guzmán
Può un documentario commuovere per ragioni che non siano solo e prettamente contenutistiche? È in grado come la fiction di creare un'immagine, una sequenza capace di colpire per la sua profondità fotografica e per la sua forza drammaturgica? La risposta è sì. Guzmán affida tutto questo ad un fermo immagine, quello del palazzo della Moneda in fiamme. La staticità di quella terribile immagine costringe lo spettatore di fronte alla Storia, lo inchioda davanti ai brandelli insanguinati della speranza e della volontà di cambiamento e avalla, in maniera definitiva, le parole di un altro importante regista di documentari, Thierry Garrel: "il documentario non è una macchina per vedere, è una macchina per pensare, sia per chi lo fa sia per chi lo vede".
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