Ruggine PDF 
Viviana Eramo   

L’adattamento per il grande schermo del romanzo Ruggine di Stefano Massaron è l’occasione per Daniele Gaglianone di tornare a raccontare, ancora una volta, le ossessioni che permeano la sua filmografia. L’infanzia e l’adolescenza violate, la violenza subita e perpetrata, l’idea di una periferia insieme vitale e agonizzante sono da sempre le ispirazioni inseguite dal regista, con uno stile asciutto e votato ad un certo rigore. Gaglianone ancora una volta ricerca una complessità contenutistica che evita di ridurre comportamenti e azioni al disegno superficiale di un “atteggiamento generazionale”, che spesso il cinema nostrano cerca invano di raccontare. C’è in Ruggine, come negli altri film del regista, il tentativo di restituire la problematicità del rapporto tra uomo e ambiente, alla luce non tanto e non solo di una lettura deterministica, quanto piuttosto nell’analisi profonda del contatto tra gli uomini e il contesto in cui si ritrovano, per caso o per destino. In quest’ultimo film, il concetto è affrontato in maniera piuttosto esplicita, mostrando gli effetti più o meno diretti delle esperienze infantili sulla vita adulta dei tre protagonisti.

Per mezzo di un uso del montaggio piuttosto didascalico, pur se evidentemente evocativo, Ruggine ricompone il passato e il presente di tre personaggi (Solarino, Mastandrea, Accorsi), ora adulti, compagni di giochi durante l’infanzia, sullo sfondo della periferia di una non meglio identificata località. In realtà, le due anime del film convivono piuttosto malamente, non tanto e non solo per un montaggio poco coraggioso, ma soprattutto perché la “parte adulta” appare più frettolosa, appena abbozzata, contraltare poco completo di un’infanzia raccontata più efficacemente. Gaglianone conferma dunque il suo talento nell’inseguire bambini e ragazzini alle prese con i propri simili in un ambiente ostile eppure familiare. Come fosse una torre medievale, i bimbi ruotano intorno a quello che sembrerebbe un vecchio deposito abbandonato e ne fanno il proprio luogo di ritrovo. In uno scenario che, lontanamente, sembra ricordare paesaggi pasoliniani, il “castello” è prima parco giochi e poi improvvisamente scenario allucinato in cui avviene l’irreparabile perdita dell’innocenza. Lungo il percorso di (de)formazione, il film ha il suo maggior pregio nel riprodurre nella micro-comunità tutti i difetti, i ruoli e i pericoli dell’universo adulto, rappresentato da famiglie assenti e personaggi pericolosi (un Filippo Timi forse fin troppo sopra le righe). In questo senso, come da tradizione, i bambini sono lo specchio dei modelli che la società adulta gli propone e sono a loro volta le fondamenta degli uomini che saranno. Ecco allora che nell’epoca felice dei giochi, la mdp esegue movimenti fluidi per diventare nervosa in un’età adulta solo apparentemente risolta e che, invece, nasconde i conti aperti di un passato ricco di violenza subita e perpetrata.

In questo, il film – prodotto dalla fruttuosa accoppiata Arcopinto-Procacci, con la collaborazione di Rai Cinema – dimostra non solo coraggio, ma anche un certo rigore, coadiuvato da un’ottima fotografia e da una colonna sonora efficace. Lontano dall’essere un film perfetto, Ruggine supera la prova difficilissima di raccontare una storia di pedofilia, di alienazione e di orrore, che può sembrare così lontana dalla vita quotidiana di tutti noi e che invece, chissà, finiremo per ritrovare una sera, nell’asettico vagone di un metrò.

TITOLO ORIGINALE: Ruggine; REGIA: Daniele Gaglianone; SCENEGGIATURA: Daniele Gaglianone, Giaime Alonge, Alessandro Scippa; FOTOGRAFIA: Gherardo Gossi; MONTAGGIO: Enrico Giovannone; MUSICA: Evandro Fornasier, Walter Magri, Massimo Miride; PRODUZIONE: Italia; ANNO: 2010; DURATA: 109 min.

 


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