Terraferma PDF 
Elisa Mandelli   

Il quarto lungometraggio di Emanuele Crialese è interamente ambientato su un’isola il cui nome non ci viene, a ben vedere, mai detto. Eppure a questa vaghezza fa da contrappunto l’immediata riconoscibilità dell’ambientazione (è quasi automatica l’identificazione con Lampedusa, per quanto le riprese siano state effettuate nella poco distante Linosa) e l’apparente indeterminatezza geografica è come smentita dall’inconfondibile peculiarità del mondo rappresentato: dei luoghi, dei volti, del modo di esprimersi, ma soprattutto dei problemi. Insieme unica ed emblematica, la piccola isola pare realmente “ferma”, immobile, ma solo in quanto al centro di un fascio di tensioni che la irretiscono, stretta nelle maglie di una serie di contraddizioni da cui diventa sempre più impellente la necessità di uscire. Come impellente è il desiderio di fuga di Giulietta, giovane vedova che sogna una nuova vita per sé e per il figlio Filippo, appena adolescente e impegnato a fronteggiare, nella ricerca della propria strada, quegli stessi opposti valori che lacerano la sua terra. Da una parte il modello incarnato dal nonno, anziano ma ostinato a proseguire il proprio mestiere contro ogni convenienza economica e, sembra suggerirgli il figlio Nino, sociale. Con lui si perpetua la secolare tradizione della pesca, con le sue leggi a volte crudeli (è stato il mare a inghiottire il padre di Filippo) ma radicate in una pietas istintiva e incrollabile, per cui ogni essere umano è uguale e degno di essere soccorso di fronte alla minacciosa voracità delle onde. E sono proprio i pescatori i primi a confrontarsi con gli arrivi dei migrati in fuga dalle coste africane, così come a fronteggiare l’ottusità di forze dell’ordine piegate al rispetto di una legge (ben nota e vigente, ahimè, non solo nella finzione) tanto assurda quanto ineludibile. Moto contrario – e non solo nella direzione – è quello dei turisti che arrivano dal nord a godersi il sole, il mare e la devozione degli isolani, che dal loro benessere sperano di trarre sostentamento o profitto, quando non addirittura di indicare all’isola la sua reale vocazione, com’è impegnato a fare, nella sua roboante volgarità, lo zio di Filippo.

Nel tratteggiare i contorni di questi viziati vacanzieri, rigurgitati a fiotti dalle fauci dei traghetti, Crialese dà vita a figure caricaturali, superficiali e irritanti, che sanno tuttavia assumere, anche se solo per brevi istanti, un’umanità intensa e rivelatrice. Ne è emblema il momento dell’arrivo sulla spiaggia, tra sdraio e ombrelloni, degli immigrati sfiniti e sofferenti: nei bagnanti che li soccorrono senza esitare pare davvero di leggere autentica solidarietà, lontana da ipocrisie o curiosità morbose. Eppure basta l’arrivo delle forze dell’ordine a ristabilire gli equilibri, a separare due mondi che, per quanto facce di una stessa medaglia, non possono (non devono) incontrarsi. E tutto ricomincia come se niente fosse, con una naturalezza che ci pone di fronte tutte le contraddizioni di un atteggiamento cui noi stessi, forse, non siamo estranei: il problema li (ci) riguarda, purché sia per un attimo. Al crocevia tra tradizione e (pretesa) modernità, benessere e disperazione, Giulietta e Filippo diventano insieme catalizzatori e punti di fuga, raccolgono le contraddizioni e ne traggono la loro personale coerenza. Il loro cammino procede per tentativi ed errori, in bilico tra desiderio di stabilità e aspirazione al cambiamento, fino all’evento che li obbliga a prendere posizione: che fare di fronte a una donna che ha affrontato il mare nonostante la gravidanza e che ora chiede, con muta ostinazione, il loro aiuto? Quali forze possono sprigionarsi dall’incrocio tra i progetti di fuga, diversi ma intimamente affini, delle due donne, e l’inesausta quanto confusa ricerca interiore del giovane Filippo? Sarà mai ferma, stabile, la loro terra, o dovranno piuttosto imparare a sopportarne le scosse?

Come le vicende dei suoi personaggi, la pellicola diventa un campo di tensioni su cui si giocano in contemporanea diverse partite. Riflessioni di portata universale si affiancano a temi di più spiccata attualità socio-politica, e trovano la loro concretezza in una, anzi due, particolarissime storie di formazione. Un equilibrio solo in parte realizzato, in un film dove la ricchezza della materia scivola a tratti nella fretta, in approssimazioni di scrittura che l’altissimo livello della ricerca estetica e la fascinosa potenza visiva solo in parte riescono a compensare. Del resto quello di Crialese non è (solo) un film di denuncia, ma il tassello (forse un po’ meno riuscito dei precedenti) di una poetica personale e riconoscibile, del discorso coerente e consapevole di una filmografia che si è già data i propri topoi e, a dirla tutta, i propri vezzi.

TITOLO ORIGINALE: Terraferma; REGIA: Emanuele Crialese; SCENEGGIATURA: Emanuele Crialese, Vittorio Moroni; FOTOGRAFIA: Fabio Cianchetti; MONTAGGIO: Simona Paggi; MUSICA: Franco Piersanti; PRODUZIONE: Italia/Francia; ANNO: 2011; DURATA: 88 min.

 


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