Della Londra che nei tardi anni Settanta barattava lo swinging per il burning, Julian Temple è stato cronista e narratore mitologico a tempi alterni. In un percorso inaugurato proprio sotto la “cattiva stella” dei Sex Pistols, dopo un primo cortometraggio che documentava l’esplosione del gruppo praticamente in diretta, il regista veniva arruolato per dirigere The Great Rock’n’Roll Swindle, titolo che avrebbe segnato il punto di non ritorno per la storia della band e, insieme, un testamento vergato soprattutto secondo le idee di Malcom Mc Laren, manager e “burattinaio” della band secondo chi lo accuserà in seguito. A diversi anni di distanza, il ritorno di Temple sui luoghi del delitto è orientato al fare chiarezza piuttosto che a ricamare la leggenda. The Filth and The Fury, del 1999, scrive daccapo un’altra storia dei Sex Pistols che, oltre a districare dinamiche e contraddizioni interne alla band attraverso interviste dirette ai protagonisti, allarga lo sguardo alle condizioni sociali e politiche dell’Inghilterra che diede i natali al punk. Una costante, quest’ultima, di tutti i lavori più maturi del regista inglese, ormai entrato in una fase di riflessione documentaristica a cui ancora si può ascrivere il lavoro biografico condotto sul leader dei Clash e pars construens del movimento settantasettino.
Nel tempo che non basterebbe a dare il one-two-three-four d’attacco, la formidabile sequenza inaugurale di The Future is Unwritten riassume l’intera umana vicenda del cantante: le stazioni radio del mondo trasmettono la notizia della scomparsa (nel dicembre 2002) e subito dopo la voce del diretto interessato, che nel titolo di “punk rock warlord” sceglie inconsapevolmente la sua epigrafe. Ancora la voce (e le immagini) del cantante mentre incide l’inno alla guerriglia bianca White Riot, ‘smentito’ subito dopo dai filmati super8 dove Joe e il fratello giocano alla guerra nei giardini dell’alta borghesia inglese. Da figlio di diplomatico e poi frequentatore di un college privato, il personaggio di Joe Strummer (al secolo John Graham Mellor) bene si presta a riassumere le contraddizioni che talvolta si nascondevano dietro l’integralismo dei punk: una sorta di Bob Dylan post-litteram, veloce a cambiare nome e abito quando i tempi e le situazioni lo richiedono, passato con disinvoltura dalle comuni hippy al nichilismo di piercing e creste colorate, collezionando nuove illuminazioni sulla via e sfrondando senza troppi complimenti le compagnie che non lo seguono nel percorso. Più che uomo d’azione e “Signore della Guerra”, il soggetto che si racconta via radio nel ritratto di Temple è uomo di pensiero, generoso umanista o, all’occorrenza, stratega ai limiti dell’opportunismo.
Oltre all’accorato ricordo umano, per cui si radunano attorno al falò vecchi amici, musicisti e star del cinema, nel film è tutta la scena musicale del punk a ricevere un compendio che le restituisce la giusta complessità, equidistante dagli intenti “militanti” della prima ora come da quelli agiografici tipici delle opere ex post. Strummer, volente o nolente, incarna uno spirito che per sopravvivere a se stesso ha dovuto deporre le armi dell’oltranzismo e correggere gli anatemi del No Future a una filosofia che vede un avvenire tutto da scrivere.
Titolo originale: Joe Strummer: The Future Is Unwritten; Regia: Julien Temple; Fotografia: Ben Cole; Montaggio: Niven Howie, Mark Reynolds, Tobias Zaldua; Produzione: Parallel Film Productions, FilmFour, Nitrate Films, Sony BMG Feature Films; Distribuzione: Ripley’s Film; Durata: 123 min.; Origine: Gran Bretagna/Irlanda, 2007
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