Summer of ‘62: l’amarcord di Joe Dante tra L’ultimo spettacolo e Stand By Me PDF 
Gianmarco Zanrè   

Raccontando del tempo trascorso con gli amici d’infanzia, Richard Dreyfuss, narratore e protagonista di Stand By Me, definiva quei compagni e quei giorni come i migliori della sua vita, tracciando una malinconica eppure gioiosa linea fra il passato e il futuro, la giovinezza e la maturità, l’avventura spericolata e l’equilibrio dell’insegnamento. Joe Dante, classe 1946 e autore di cult fra i quali spiccano Gremlins e Salto nel buio, celebra allo stesso modo e con una pellicola leggera e piena di tenerezza un’epoca ormai trascorsa e lontana, senza scordarsi nulla di ciò che la caratterizzò, passando dalla finzione della fiction ai timori – esasperati dagli adulti e dalla società e vissuti con molto più coraggio dai giovani – che la Storia poteva riservare in quel periodo.

Matinée, con un occhio al cinema e uno agli Stati Uniti dei Kennedy, ripercorre l’adolescenza del regista grazie alle vicende di Gene e Stan, curiosi tanto delle evoluzioni del loro Paese quanto dell'ultimo film dell’orrore firmato Lawrence Woosley (un ottimo John Goodman), novello Alfred Hitchcock cui Dante concede anche una battuta perfetta per smitizzare il suo stesso personaggio e rendere il tutto ancora più rispettoso grazie all’uso sapiente dell’ironia. Così, mentre Stan scopre che le avventure più grandi sono quelle legate alle ragazze – ottimamente caratterizzato l’ex fidanzato di Sherry –, Gene esorcizza tutti i timori legati all’assenza del padre, marine inviato a Cuba per fronteggiare la crisi missilistica (splendido l’incubo in cui il ragazzo scopre l’atomica che esplode aprendo la porta di casa), grazie alla meraviglia della settima arte e al legame che instaura con Woosley, capace di trasmettergli tutto l’entusiasmo che solo un narratore può avere e rivelargli quanto sia importante per il cinema l’aspetto orrorifico.

E proprio in riferimento al terrore da sala, il regista rivela quasi paternamente a Gene quanto sia importante non coprirsi gli occhi, andando incontro ad ogni paura affinché, una volta usciti dalla sala, ci si possa rassicurare del fatto che il nostro vecchio mondo è sempre lì, e passato l’incubo, risulta essere più bello da vivere. A questa linea si allaccia la riflessione che lega il già citato incubo di Gene e il panico al termine della proiezione alla risoluzione della crisi missilistica, e il momento in cui lo stesso Gene e Sandra si ritrovano intrappolati nel rifugio antiatomico del petulante direttore del cinema, con il timore e l’eccitazione di essere rimasti soli e avere il compito – piacevole per entrambi – di ripopolare il pianeta. Una pellicola che rievoca ricordi cari al regista e alla sua generazione con grande leggerezza e senza alcuna pretenziosa autorialità, mantenendo il formato leggero e scorrevole del film per ragazzi, e capace di omaggiare e trasmettere tutta la passione per il senso di meraviglia che solo il cinema può suscitare, anticipando clamorosamente le attuali innovazioni tecnologiche – dal formato bluray al 3d nei cinema, di cui il suo ultimo lavoro, The Hole, ne è esempio fra i più evidenti – e utilizzando l’entusiasmo e la capacità di illusionista di Woosley, che oltre ad Hitchcock porta con sé un bagaglio che rimanda a Welles e alla sua visione “larger than life” della settima arte. Non a caso Gene afferma che il regista “non sembra affatto un adulto”, concedendogli un complimento che, nell’industria del fantastico e dello stupore, è uno dei più importanti ed apprezzati che un regista, appunto, potrebbe ricevere.

L’idea di concentrarsi su uno spaccato che pare un mosaico di episodi apparentemente slegati e privi di particolare importanza riesce inoltre a rendere ancora più fluido ed immediato il racconto, che si concede momenti di calma per poi regalare ispirazione e bocche aperte agli spettatori: il racconto del mammut che prende forma su un muro di mattoni – peraltro ripreso in tempi recenti nel primo capitolo de L’era glaciale – riporta l’origine del cinema addirittura ai tempi delle pitture rupestri, quando gli schermi erano pareti di caverne, il proiettore un pennello ricavato dal pelo di animale, il regista una scimmia somigliante all’uomo e il pubblico altre scimmie capaci di stupirsi, spaventarsi e coltivare nel cuore l’esperienza più incredibile della loro vita. Del resto, anche Kubrick dettò una lezione simile. Altri tempi, stessa meraviglia. Da gustare ad occhi aperti, perché il mondo, fuori, risulti ancora più bello dopo il brivido. E chissà, per imparare qualcosa, o ricordare, un giorno, quanto erano belli, quei giorni lontani. I più belli della nostra vita.

TITOLO ORIGINALE: Matinée; REGIA: Joe Dante; SCENEGGIATURA: Charles S. Haas; FOTOGRAFIA: John Hora; MONTAGGIO: Marshall Harvey; MUSICA: Burt Bacharach, Henry Mancini, Jerry Goldsmith; PRODUZIONE: USA; ANNO: 1993; DURATA: 90 min.

 


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