Tra i luoghi più comuni sui film di animazione c’è quello di relegarli a priori in un sottogenere, per di più minore, un qualcosa di frivolo e distante dalla vera cinematografia e che dunque non può neanche, per questo, fregiarsi del titolo di film. A giudicare dall’ultima stagione cinematografica, il mito sembra sfatato. Quest’ultima ha infatti sfornato una serie interminabile di prodotti d’animazione di enorme qualità artistica, come Valzer con Bashir, Coraline e la porta magica, Madagascar, Ponyo e la scogliera, tanto per fare qualche esempio, che hanno dato prova del fatto che l’animazione non è affatto un genere minore, ma solo uno dei tanti mezzi espressivi, peraltro potentissimo, offerti dalla macchina del cinema, la quale ormai può avvalersi di tecnologie digitali sempre più avanzate. È infatti in questi casi, ovvero quando l’animazione è una precisa scelta estetica, che il clichè di cui sopra viene ampiamente smentito.
Ma cosa succede quando ciò non avviene? Quando cioè l’animazione non si mette a servizio di una precisa scelta artistica ma è solo un pretesto per ingraziarsi il pubblico, in particolare quello più giovane, e, dunque, di sbancare al botteghino? Succede che inevitabilmente il prodotto perde la sua validità artistica, si svuota, diventa seriale, e lo stereotipo sui cartoni animati (come vengono volgarmente chiamati) di cui si è detto trova piena ragione d’essere. Non che vi sia nulla di male nello sperare di fare grandi incassi, ma non è certo questo ciò che fa di un film un buon film. E questo è, purtroppo, il caso dell’ultimo episodio de L’era glaciale, sottotitolato L’alba dei dinosauri. Il film, terzo di una serie iniziata nel 2002 con L’era glaciale e continuata nel 2006 con L’era glaciale-Il disgelo, è realizzato interamente in 3D e continua a raccontare dello sgangherato gruppo di mammiferi preistorici, ma con alcune novità: Mannie ed Ellie, i due mammut, stanno per diventare genitori; Diego, la tigre dai denti a sciabola, sente di non avere più la tempra di una volta; Sid, il bradipo imbranato, vuole provare l’esperienza della maternità. In più, a condire la già saporita combriccola, vi sono Buck e Scrattina (Scratte nell’originale): il primo è un furetto impazzito per esser rimasto troppo tempo in una zona sotterranea ed inesplorata; la seconda è una scoiattolina volante della quale Scrat s’innamora e con la quale si contende, spesso rimettendoci, la sua famosa ghianda, dando vita a divertenti (anche se non troppo) interludi.
Dunque, è superfluo dirlo, la storia è tenera e carina, i personaggi sono costruiti ad arte e realizzati in modo da attirarsi la simpatia di chiunque, i disegni sono belli, il 3D fa il suo, il film è divertente, gli sketch sono riusciti e si ride spesso, ma il film non c’è. Non funziona, o perlomeno, funziona poco. Durante la visione non mancano i momenti di vuoto e di piatto, che vengono riempiti, non sempre con successo, dai siparietti di Scrat e Scrattina. La noia si fa sentire e si ha la sensazione che si vada avanti per inerzia con una comicità forzata, si ha quella brutta sensazione che dice che probabilmente quest’episodio era meglio se non fosse mai stato realizzato. Probabilmente i realizzatori avevano previsto tutto ciò, ma avranno anche pensato che tutto sommato ne sarebbe valsa la pena e che, tanto, avrebbero comunque sbancato al botteghino.
TITOLO ORIGINALE: Ice Age: Dawn of the Dinosaurs; REGIA: Carlos Saldanha, Mike Thurmeier; SCENEGGIATURA: Peter Ackerman, Michael Berg, Yoni Brenner, Mike Reiss; MUSICA: John Powell; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2009; DURATA: 94 min.
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