Lussuria - Seduzione e tradimento PDF 
Mario Bucci   

ImageIl mito di Ang Lee arriva in gondola direttamente dal Lido di Venezia, dove negli ultimi tre anni il regista asiatico ha vinto per ben due volte: prima con il grande successo, sia di critica che di pubblico, de I segreti di Brokeback Mountain (2005), e poi proprio con Lussuria – Seduzione e tradimento (tratto da un racconto di Eileen Chang), in questi giorni finalmente nelle sale.

1942. Shanghai. Un’affascinante giovane donna entra in un locale e fa una telefonata. Dall’altra parte del telefono un gruppo di giovani ex studenti si arma, pronto a compiere un’azione delittuosa. Siamo nella Cina colta impreparata durante la Seconda Guerra Mondiale, nella Shanghai occupata dalle forze nipponiche, in un paese dunque che vive un difficile periodo di ambiguità politica e sociale. Questa affascinante donna ha un nome, Wang Jazhi, e ha anche un passato. Quattro anni prima, ancora studentessa, si è avvicinata al teatro, anticamera artistica della Resistenza cinese contro l’invasione imperialista, e insieme alla sua compagnia, composta da coetanei, ha scelto un obiettivo da eliminare in nome della Liberazione: il collaborazionista signor Yee. Per far questo, la giovane attrice di teatro deve interpretare un personaggio che non le appartiene, con il quale con il passare del tempo ha un rapporto sempre più conflittuale. Dall’altro lato, il signor Yee, l’uomo destinato ad entrare nella sua vita.

Ang Lee, pulendo molto il proprio linguaggio, e tornando alle radici del genere (si tratta in fondo, di una spy story), porta sullo schermo un lavoro intenso che ha il suo punto di forza non tanto nel plot - quasi un classico, come si è detto -, quanto nel profondo conflitto che si crea tra due corpi, due cuori martoriati dalla clandestinità, tormentati dalla resistenza che si devono opporre l’un l’altro. Questo rapporto, represso e profondo - che esplode perché tenuto a freno per lungo tempo - non è isolato, ma si isola gradualmente all’interno di un percorso politico che racconta, forse senza troppo approfondire, la difficile condizione del paese (il consumismo, il contrabbando, il teatro politico al servizio del popolo, la pratica della resistenza, l’omicidio, il collaborazionismo, il tradimento del proprio paese) e la sufficienza sotto la quale questa condizione passa inosservata (le lunghe partite di mahjong, la scelta accurata della seta per gli abiti). Nel grande caos che uno stato di guerra può creare, quindi, due corpi si incontrano con l’obiettivo di eliminarsi, perché non possono esprimersi alla luce del sole. Ang Lee segue allora il corpo di Jazhi, segue le sue emozioni che crescono man mano che Yee le si avvicina, la strattona, la possiede. In questo ambiente sistematicamente caotico (il risultato di un montaggio antinarrativo, tipico del noir dei primi anni Cinquanta) il loro violento incontrarsi, la loro vorace passione, l’incontenibile voglia di possedersi, rapisce il pubblico, che soffre assieme a Jahzi dell’impossibilità che tutto ciò avvenga in maniera normale. Vittime e carnefici, pubblico e personaggi, sentimento e ragione (di stato), questa relazione s’impossessa della sala, facendo trattenere il respiro fino alla consegna dell’anello. Poi, è un mondo che crolla (e un dolly che scopre il baratro). Molto intensi i due attori, Tony Leung e Tang Wei, quest’ultima in grado di rapire ad ogni sguardo, essere vittima e al tempo stesso (incapace) carnefice. Una coppia esplosiva tenuta a freno, che quando riesce a rimanere sola può raggiungere finalmente il proprio “impero dei sensi”.

Questo progressivo coinvolgimento si deve anche alla fotografia di Rodrigo Prieto, che risalta questa differenza tra esterno e interno, tra apparenza e crudele verità, con una luce e una macchina da presa più “vera”, quasi corporea. Perché il corpo è una cosa crudele a volte, perché sa illudere d’amore e nascondere affinità assolutamente fisiche, e purtroppo innegabili. Il largo uso di primi piani non si trasforma in un manierismo melodrammatico, perché Ang Lee ha girato un film “europeo” diverso da molti suoi lavori precedenti, in quello che sembra sempre di più un percorso trasversale ai generi. Qui il primo piano è al servizio dello sguardo, della ricerca, ma soprattutto del possesso: guardare è possedere, come accade a letto tra i due amanti, dove il signor Yee ha paura di cadere nel profondo degli occhi di Jahzi, che a loro volta si perdono nel desiderio. Jahzi soffre con il proprio corpo, paga un’attrazione sempre maggiore, mette al corrente i propri compagni di questo percorso che il suo corpo suo malgrado le impone. E dall’altro lato c’è un uomo potente che non può più fare a meno di lei. Il sadomasochismo spesso è melodrammatico, e in questo lavoro di Ang Lee il melodramma è alla base della tormentata, fisica storia d’amore che racconta.

Per chi, tratto in inganno, si aspetta due ore di carne e fuoco, meglio lasciar perdere, perché qui si parla d’amore: incontrollabile, fisico, isolato, miserabile e potente.


TITOLO ORIGINALE: Se jie; REGIA: Ang Lee; SCENEGGIATURA: Wang Hui-Ling, James Schamus; FOTOGRAFIA: Rodrigo Prieto; MONTAGGIO: Tim Squyres; MUSICA: Alexandre Desplat; PRODUZIONE: Cina/USA/Taiwan/Hong Kong; ANNO: 2007; DURATA: 157 min.

 


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