In fondo cosa c’è di strano nel voler interrompere una routine che si crede dannosa? Jack Skeletron, signore del regno di Halloween, non ci pensa due volte a tentare di migliorare la sua posizione, solo che le cose non vanno decisamente come se le aspettava. Tim Burton, ideatore ma non regista di questo capolavoro anni novanta (la regia è affidata all’amico Henry Selick), sceglie il regno delle feste come ambientazione di una singolare parabola che ha per protagonista il re delle zucche. Afflitto dalla sua stessa vocazione, destinato a festeggiare sempre e solamente il tetro Halloween, Jack un giorno capitombola accidentalmente nel coloratissimo mondo del Natale con le sue luci ed i suoi buffi abitanti. Nauseato da una routine che non riesce a scrollarsi di dosso e altresì accecato dalle novità del Natale, Jack tenta di far sua la festa antipodica il giorno di Ognissanti; ma il troppo entusiasmo, unito alla leggerezza di gesti affrettati, rischia di compromettere il Natale. Nel freddo clima di un paese del quale non ci è dato conoscere le coordinate spazio-temporali, Tim Burton butta molte “castagne” sul fuoco e ciò che ne deriva è una scoppiettante avventura che non si pone limiti nell’esplorazione dell’animo umano. Burton non ha timore alcuno nel collocare individui al di fuori del loro ambiente ideale, come uno scrupoloso scienziato analizza e annota minuziosamente qualunque conseguenza del suo “esperimento”, costruendo un cinema che ha nelle proprie fondamenta quelle che possiamo tranquillamente definire “contrapposizioni”; l’Halloween contrapposto al Natale, uno scheletro che tenta di usurpare il posto di Babbo Natale, il sogno contro l’incubo… .
Gli ingredienti sono selezionati con cura e mescolati ancor più meticolosamente, come l’alone dark di cui il film è impregnato; il composto porta la firma indelebile di questo autore che narra di un “mucchietto d’ossa” che ha smarrito lo scopo della sua esistenza e perduto la felicità, felicità che scoprirà poi risiedere nientemeno che nella quotidianità da lui abbandonata in favore di una chimera. Un tragitto non banale quello che c’invita a percorrere il regista statunitense, logico e compiuto nonostante il ritorno al punto di partenza, dove nel mezzo si rivela il sentimento cardine dell’intera vicenda: l’amore per una ragazza coetanea che lentamente si fa strada nel cuore del protagonista fino a colmarlo. Realizzato con la tecnica dello “stop-motion” il film è visivamente splendido e nel suo impianto, combaciante a tutti gli effetti con quello di un musical, convergono tutti i pregi e difetti del caso; la musica diventa parte integrante del film e apparato trainante delle vicende che si susseguono in un vero e proprio caleidoscopio di emozioni sottoforma di canzoni. La partitura musicale è data in consegna ad un Danny Elfman nell’ennesimo stato di grazia e ad un Renato Zero che con il suo cantato e un’interpretazione davvero in simbiosi con l’indole tormentata del protagonista, rinvigorisce ulteriormente la pellicola nella versione italiana. Questa collaudata “formula” (e oltremodo abusata nei film Disney) si fa determinante al fine della fruizione del film, che per molti sarà delizioso come per alcuni noioso. Nonostante ciò, innegabile è il personalissimo lavoro svolto dal qui “solo” ideatore e produttore Burton che, paradossalmente, è con questa regia “fantasma” che ci consegna forse il suo film più particolare e che meglio riassume quel mondo fantastico che il regista da sempre brama di condividere con spettatori di ogni età.
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