The Killer Inside Me PDF 
Fabio Fulfaro   

Già, penso sia tutto, a meno che la nostra razza non abbia un’altra chance in quell’Altro Posto. La nostra razza. Noi gente. Tutti noi che abbiamo cominciato la partita con una stecca storta, che volevamo così tanto e abbiamo avuto così poco, che avevamo intenzioni tanto buone e abbiamo fatto tanto male. Tutti quanti noi … Tutti noi. Tutti noi.

Difficile parlare di The Killer Inside Me di Michael Winterbotom senza guardare all’importante matrice letteraria da cui è tratto il film, ovvero il libro omonimo di Jim Thompson, uscito nel 1952 e già ridotto in forma cinematografica nel 1976 in una anonima regia di Burt Kennedy. Eppure un’opera filmica dovrebbe acquisire una propria autonomia, indipendentemente dal testo che l'ha fondata e ispirata. La storia è nota: Lou Ford, un vice sceriffo nel Texas dei primi anni Cinquanta, nasconde dentro di sé una certa attitudine psicopatica che lo porta a massacrare senza un perché quelle malcapitate che hanno la sfortuna di incrociare il suo cammino. All’origine vi sono abusi sessuali subiti durante l'infanzia e una figura materna alquanto torbida. Quando Kubrick lesse per la prima volta il libro di Jim Thompson ebbe una vera e propria folgorazione e chiamò lo scrittore a sceneggiare Rapina a mano armata e Orizzonti di gloria. Sulla scia di Viale del tramonto (1950), Jim Thompson fa parlare dall’oltretomba, in prima persona, il protagonista psicopatico, scandagliando la sua mente criminale e creando un'atmosfera malata e disturbante che getta una luce cinica sulle prospettive e sulle speranze dell’umanità. L’apparente normalità dell’America puritana e conservatrice dei primi anni Cinquanta cova al suo interno il Patrick Bateman di American Psycho o l’Alex di Arancia Meccanica. Altro che Revolutionary Road.

Winterbottom, a conti fatti, non tradisce il testo di Thompson, però opera delle importanti cesure e semplificazioni: oscura il contorno sociologico, dimentica volutamente gli aspetti politici, non scava dentro il flusso di coscienza del personaggio principale (interpretato splendidamente da Casey Affleck, particolarmente abile nel modulare il timbro della voce), rende i personaggi femminili (Jessica Alba e Kate Hudson) veri e propri punching ball sui quali sfogare un serie impressionante di colpi ripresi con la stessa insistenza con cui Mel Gibson inquadra la schiena di Cristo percossa dalle frustate nel controverso La Passione. La visione dell’universo donna farebbe rizzare i capelli a femministe e post-femministe: governanti molestatrici, madri ritratte in foto pornografiche, prostitute e fidanzate che amano lo spanking e altre delizie sadomasochistiche. Il tutto nella lussuriosa confezione di una fotografia patinata che tende a far risaltare i colori più cupi.

Il regista inglese, dopo un inizio intrigante, con i titoli di testa che promettono un western postmoderno, si impantana in quadri bozzettistici, in dialoghi imbarazzanti, in primi piani inutili, e monta le scene di violenza non risparmiando nulla allo spettatore, che viene colto di sorpresa dalla serie impressionante di calci e pugni, di sangue ed altri fluidi corporei. L’opposto accade con i flashback: invece di essere rivelatori sono confusi e sfilacciati, in controtendenza rispetto all’“estetica del brutto” che viene sollecitata nei vari pestaggi e omicidi. La musica lirica fa da sottofondo alla crescita esponenziale della follia umana: riconosciamo nel finale Una Furtiva Lagrima dall’Elisir D’Amore di Gaetano Donizetti, e forse la chiave di tutta questa violenza che scoppia improvvisa è un bisogno d'amore inappagato, un peccato mortale primordiale che ha ucciso ogni speranza. L’odio verso queste donne è in realtà la summa di un sentimento mai corrisposto che fonda le sue radici nell’infanzia e nell’adolescenza. È un peccato, tuttavia, che The Killer Inside Me prenda la strada della deriva estetica e si dibatta costantemente tra  film di genere e  film d’autore, senza riuscire ad operare una scelta etica definitiva. Queste contraddizioni fanno collassare su sé stesso un film che, di base, ha comunque un fascino innegabile, derivato proprio dal contrasto tra l’apparente placida esistenza dei protagonisti e l’orrore di una violenza a-finalistica che inonda lo schermo a schizzi e squarci. Suggerendo che alla base del grande sogno americano degli anni Cinquanta vi sia il germe dell'autodistruzione (modello Il Petroliere di Paul Thomas Anderson o Non è un paese per vecchi dei fratelli Coen).

Il limite di Winterbottom (che proviene da un altro tipo di cinema: Benvenuti a Sarajevo, The Road To Guantanamo, Nine Songs) è l'approccio a un genere non suo con l’occhio rivolto agli eccessi di realtà dei fratelli Coen o di Tarantino. Ma l’uso di contaminazioni postmoderne copiate in carta carbone rende il film granitico e allo stesso tempo intimamente dissociato. E la mancanza di ironia porta lo spettatore ad analizzare un semplice dato di fatto, senza portarlo ad una maggiore consapevolezza del senso dell’universo rappresentato, ma solleticandone piuttosto l’aspetto vojeuristico. Come voler fare indossare una minigonna di pelle nera borchiata su un tailleur da sera anni Cinquanta senza avere coscienza dell’operazione che si sta compiendo, strizzando l’occhio allo spettatore e, nel frattempo, prendendosi maledettamente sul serio.

TITOLO ORIGINALE: The Killer Inside Me; REGIA: Michael Winterbottom; SCENEGGIATURA: John Curran, Michael Winterbottom; FOTOGRAFIA: Marcel Zyskind; MONTAGGIO: Mags Arnold; MUSICA: Melissa Parmenter; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2010; DURATA: 120 min.

 


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