Alì: gli effetti collaterali della celebrità... - Michael Mann PDF 
di Paolo Fossati   

"Campione, ...più tu diventi reale, più tutto diventa irreale". Queste - si dice - furono le parole che John Lennon pronunciò rivolgendosi a Muhammad Alì, il giorno in cui si conobbero. Quasi una profezia. Nel film di Michael Mann - che narra la vita del pugile senza dimenticare di contestualizzarla con cura a livello storico - la citazione s'insinua lieve in una conversazione tra Alì e la sua prima moglie, la sera del loro incontro, mascherandosi nel vortice di affermazioni suadenti che compongono un dialogo utile a mostrare l'innamoramento tra i due allo spettatore. L'effetto immediato di tali enunciazioni si manifesta nella scena successiva, che si svolge tra lenzuola sgualcite. La citazione di Lennon, tuttavia, è molto più che un asso nella manica da utilizzare per rendere brillante una sceneggiatura: attribuendole il giusto peso si scopre la sua funzione di pietra angolare dell'intero lungometraggio.

Il mondo che circonda il pugile, infatti, comincia a sgretolarsi, parallelamente alla sua crescita interiore. Divenuto campione del mondo dei pesi massimi, egli inizia un percorso interiore che lo porta a rifiutare il proprio nome "da schiavo" Cassius Clay, mutandolo in Muhammad Alì.
Nei complessi anni Sessanta, in cui s'intrecciano lotte razziali e guerra in Vietnam, la presa di coscienza civile delle masse passa, naturalmente, attraverso l'esempio di modelli di comportamento. Alì vuole essere il campione della gente, avverte l'importanza del proprio ruolo e capisce la responsabilità del podio conquistato che gli permette di osservare da un gradino più alto il mondo intorno a se' e, contemporaneamente, di esser visto. I suoi gesti hanno un effetto concreto sulla realtà, come i pugni che sferra sul ring. Non è l'unico ad essere cosciente della propria forza a livello comunicativo: sia i leader musulmani, sia il governo statunitense ne valutano le ipotetiche conseguenze e si muovono al fine di trarne vantaggi ed evitare di esserne penalizzati.

Preoccupato dell'esempio che il campione fornisce alla folla rivendicando i propri diritti, il governo mostra la propria forza chiamando il campione alle armi. Alì rifiuta di partire per il Vietnam, affermando di non avere alcun conto in sospeso con nemici così lontani, con fatti che reputa accadere in tv, mentre è molto impegnato a cercare di combattere contro chi, molto più vicino a lui, ancora non riconosce i diritti degli afroamericani. Rifiuta, poi, di scusarsi per le sue affermazioni e di svolgere un servizio militare da privilegiato, senza andare al fronte, offertogli come via d'uscita. Mann si concentra su quest'ardua fase della vita di Alì, pugile a cui viene sottratto il titolo mondiale senza salire sul ring, uomo privato dei propri diritti, che lotta in tribunale, senza scendere a compromessi, consapevole che ogni sua mossa ha effetti simbolici. Campione che comprende la responsabilità di essere un esempio per il prossimo.

Se il regista riesce a non cadere nel ritratto agiografico, pur narrando l'eroica resistenza di Alì alle avversità, è grazie al ritmo narrativo, lontano dalla retorica, e ad uno stile descrittivo che affida alla resa estetica dell'immagine il compito di comunicare la compartecipazione alle vicende. Il trascorrere del tempo è scandito dagli scenari, da ciò che accade sullo sfondo. Tutto viene mostrato senza distogliere lo sguardo dal pugile. I margini dell'inquadratura tremano lievemente per quella leggera instabilità della macchina da presa che consente a Mann di svelare la presenza di un osservatore, suggerendone al contempo una precarietà tipica di chi spia e motivando in questo modo lo spettatore a seguire con l'attenzione acuta di chi non sa quanto potrà apprendere, perché ha la sensazione che tutto possa terminare improvvisamente.

La vaga oscillazione del punto di vista ammicca allo stile documentaristico, quasi si volesse far dimenticare che si tratta di un biopic, ma la volontà che motiva questa scelta non è mistificatrice, bensì si alimenta nella passione per la materia narrata. Passione che si trasforma in compassione per il protagonista, desiderio di comprendere e condividere le vicende con lui: immedesimarsi nella sua figura. Alcune veloci inquadrature durante i combattimenti sul ring rivelano chiaramente questa aspirazione: ci sono riprese dal basso verso l'alto, il cui punto di vista è riconducibile al ventre del pugile. Come in un processo di progressivo avvicinamento allo sguardo del protagonista, assistendo alle scene che mostrano l'incontro di Alì con Terrel, si nota addirittura l'uso di una soggettiva che potremmo definire "apparente": quando Terrel finisce a tappeto, la m.d.p. segue la sua caduta con un veloce movimento che arriva a ribaltare la linea dell'asse orizzontale di novanta gradi. Non è, evidentemente, una soggettiva del pugile messo k.o., dato che egli è in campo, ma nemmeno di Alì, che lo ha colpito ed osserva, fuoricampo, l'avversario cadere. E' come se si trattasse di una soggettiva mentale di Alì, che comprende di aver sferrato il colpo vincente considerandone gli effetti. Allo spettatore di quell'inquadratura è dato modo di entrare per un attimo nei pensieri del campione Muhammad Alì, di partecipare alla sua leggenda.

 


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