Flight PDF 
Edoardo Peretti   

Dopo un decennio trascorso a sperimentare i nuovi orizzonti offerti dalle tecniche di animazione (la motion capture), con risultati altalenanti anche se sempre in qualche modo interessanti, Robert Zemeckis torna a un tipo di cinema 'live' ripartendo da dove era rimasto: da un disastro aereo. Se in Cast Away Tom Hanks combatteva nell'isola deserta contro la solitudine e contro le forze della natura, in Flight Denzel Washington combatte contro la sua coscienza, il suo passato, i suoi errori e le sue ambiguità. E contro la volubilità di una società divisa tra l'ossessione dell'eroe e l'ossessione del colpevole. William Whitaker è un pilota d'aereo a cui il codice etico della professione sembra non interessare particolarmente. La notte prima di un volo, infatti, non rinuncia alle tentazioni dell'alcool e della cocaina. Allo stesso modo, durante il tragitto, non esita ad allungare il succo d'arancia con tre bottigliette di vodka. Un'improvvisa avaria del velivolo causa però l'incontrollabilità del mezzo e la sua caduta verticale: lo schianto letale sarebbe stato inevitabile se alcune coraggiose manovre del pilota non avessero evitato la distruzione del mezzo, garantito un atterraggio d'emergenza e salvato la vita alla maggior parte dei passeggeri. Considerato un eroe, le cose iniziano a cambiare quando si viene a sapere della sua dipendenza e del fatto che pilotava ubriaco, elemento che potrebbe far cadere sulle sue spalle le colpe dell'incidente. Nel marasma dell'inchiesta conseguente, Whitaker deve fare i conti, oltre che con la morbosità dei media e dell'opinione pubblica, con i suoi fantasmi passati e presenti.

Flight racconta di un alcolizzato un po' cocainomane che diventa un eroe suo malgrado, il cui atto di eroismo, invece che essere risolutivo, costituisce in un certo senso l'inizio della fine. Inizialmente sembra che l'incidente possa mettere sulla buona strada il protagonista, il quale, grato per la vita risparmiata e ricco di buoni propositi, si sbarazza di tutti gli alcolici, salvo poi ricadere quasi subito nel vizio, appena scopre di essere indagato e di rischiare la galera. A differenza di tanto cinema mainstream, in Flight non viene proposto un convenzionale e didascalico processo di auto-consapevolezza: il protagonista rimane fino alla fine un alcolizzato e un bugiardo, mostrandosi quasi orgoglioso di esserlo. Continua a rifiutare di avere un problema, reso sempre più arrogante dalla rabbia che il merito di avere salvato vite umane non gli venga riconosciuto. Tutto questo fino alla fulminante catarsi finale, un unico istante in cui l'intero peso della vicenda e di tutte le bugie dette a sè stesso e agli altri diventa improvvisamente insopportabile. Ci troviamo di fronte a un personaggio ambiguo, descritto da sceneggiatore e regista in modo ambiguo. Ed è proprio in questa ambiguità di fondo che possiamo trovare, tra le righe, la chiave di lettura più 'politica' ed identitaria del film. Come dimostrano, per esempio, in un altro tipo di cinema, le sfacettature con cui viene descritto, pur rimanendo saldamente nell'ambito della mitologia della nazione, l'operato del Lincoln di Spielberg, o ancora di più la grande riflessione proposta dalla Bigelow in Zero Dark Thirty, gli Stati Uniti appena usciti dal decennio post-11 settembre sembrano non avere più bisogno di essere rappresentati da 'eroi' tutti d'un pezzo. Terminato il decennio della paura, della chiusura, e dell'identità smarrita, concluso l'inizio secolo attraversato dalle guerre in Medio Oriente e dalle torture che hanno messo in crisi una certa auto-rappresentazione del popolo americano, dalla crisi economica e dalla nuova proposta identitaria fornita da Obama, la nazione sembra ora richiedere degli eroi più complessi, ambigui, meno idealizzati e monodimensionali, il cui lato più oscuro e meno conciliante non rimanga nascosto. 

Il William Whitaker di Flight può essere considerato un esempio calzante ed emblematico di questa tendenza, con i suoi lati oscuri chiaramente esposti, almeno quanto i suoi meriti. L'ambiguità di fondo non è da leggere in senso negativo, ma come elemento fondamentale dell'autorappresentazione di una nazione che, appena finito di leccarsi le ferite, ha una diversa e più problematica idea di sè. Volendo allargare la riflessione, possiamo dire che il cinema dell'era obamiana pare un cinema chiaramente consapevole e combattuto, dove il bianco e nero della tavolozza non sono nettamente separati, ma uniti da una scala di sfumature. Non mancano inoltre tematiche ricorrenti nel cinema americano quali la concezione religiosa tipica di una certa parte del paese - ed è interessante notare come i numerosi riferimenti a Dio sparsi lungo tutta la narrazione costituiscano alla fine una sorta di specchio della coscienza del protagonista - o la ricerca ossessiva da parte dei media di eroi e colpevoli. Tutto questo è sostenuto dal grande talento narrativo e dal grande 'mestiere' (virgolette d'obbligo perché mestiere può sembrare riduttivo) di Zemeckis, capace di tenere sempre alta l'attenzione, elementi di certo risaputi e che probabilmente è ormai superfluo sottolineare.

 


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