Sin City PDF 
di Marco Capriata   

Sin City costituisce una decalcomania, come enuncia il titolo autoreferenziale, presentante tutti i difetti tipici della commistione di linguaggi divergenti, quali il fumetto e il cinema. L'idea per quanto interessante porta inevitabilmente in sé dei limiti narrativi e rappresentativi che la tecnologia non può cancellare, ma che nella sua duplicazione forzata ed esibita sembra voler esibire, tentando di restituire quelle sensazioni tattili e visive date dal supporto d'origine, e che solo i titoli di testa, con la loro celebrazione delle pagine di Miller, sembrano lontanamente rievocare, immergendoci nella poetica del suo autore.

Rodriguez è a suo modo un regista elaboratore di opere enunciatrici di una visione colorata, debordante e fracassona e per questo definibile fumettistica (Desperado, C'era una volta in Messico) che trova nella serie Spy Kids parte degli elementi originari del serioso Sin City, in cui l'autore stesso unisce le due anime del proprio stile registico, dando vita ad un prodotto ibrido che non convince nella sua trasposizione per immagini delle graphic novel di Frank Miller. Quest'ultimo, coautore del film, ha permesso al regista di ricalcare i tratti e i chiaroscuri delle proprie tavole disegnate, dando evidenza a quei colori che paiono voler restituire una precisa connotazione ad alcuni personaggi o oggetti degli stessi, ma l'effetto visivo appare stucchevole e lezioso come la voce fuori campo, che nel suo sedicente intento ironico nei confronti dell'hard boiled risulta ridondante e involontariamente ridicola per il suo mancato esito schernitore. Persino la figura di Bruce Willis, eroe graffiante della saga Die Hard, si ritrova a dover rivestire i panni seriosi di un poliziotto incorruttibile ma malato, che si addossa tutta la tragicità ed il romanticismo tipici dei perdenti, ed in questo contesto appare mirata la scelta di Mickey Rourke, quale altro sconfitto per eccellenza anche nella vita reale, calato nel personaggio di Marv, gigante buono e malinconico, incapace di ricevere amore, che fa capolino nella locandina del film, quale figura solitaria e minuta rispetto alla prevalenza degli altri protagonisti della storia. Entrambi con le loro vicende tragiche rivestono i ruoli ideali di quegli individui esemplari di una letteratura di serie B, in cui si ritrovano tutti gli stereotipi del genere e anche qualche concessione estemporanea, in cui è avvertibile l'inane lotta contro i poteri forti, prevaricatori sull'umanità degradata di Sin City.

Storie che si incrociano e si sfiorano tra loro, quelle dei protagonisti di questa città del peccato, dove il trait d'union pare essere la figura misteriosa e senza nome di Josh Hartnett, che ci introduce in questo mondo grigio, a tratti espressionista, di cui si percepisce la finzionalità, per quanto col passare del tempo l'effetto di straniamento paia venir meno, seppur alla fine sia una certa supponenza delle storie e dei personaggi a divenire elemento logorante di un film che vuole riprodurre pedissequamente un linguaggio ed una grafica in grado di affascinare solo se fruiti come fumetto cartaceo.

Rodriguez, infatti, non riesce sempre e come vorrebbe ad instillare nei suoi personaggi quello humour nero che ogni tanto pare far capolino nei dialoghi tra Rafferty (Benicio Del Toro) e Dwight (Clive Owen), lasciando una sensazione di compiacimento nella rappresentazione di una violenza apparentemente stilizzata, nella quale la legnosità delle facce dei protagonisti maschili non è data solo dalle "maschere" da loro indossate, ma persino da un'inespressività inevitabile degli attori stessi, tanto da elevare le protagoniste femminili a motori assoluti della vicenda, con i loro corpi e i loro sentimenti smodati, affidando loro il compito di aprire e chiudere le porte del mondo sordido e oscuro di Sin City.

 


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