Alexander PDF 
di Tommaso Caroni   

"L'eccesso è la rovina dell'uomo". Questa frase rivolta da Aristotele ad un giovane Alessandro Magno racchiude in sé tutte le contraddizioni stilistiche del biopic sul condottiero macedone e sul suo regista Oliver Stone. Alexander, infatti, è un altro importante tassello in grado di evidenziare come nel mosaico cinematografico del regista americano l'estremizzazione del tutto sia la linea guida perseguita con maggior coerenza. Morbosamente legato al progetto, frettolosamente preparato per contrastare la concorrenza dello squadrone De Laurentiis-Luhrmann-Di Caprio, il regista ha costruito un'opera molto complessa sia nello svolgimento della trama sia nelle tematiche affrontate.

La storia si sviluppa su due piani narrativi, il primo vede protagonista Tolomeo raccontare ad alcuni allievi la vita e le imprese di Alessandro, nel secondo vengono invece mostrate le diverse fasi esistenziali (istruzione, maturazione, gloria e morte) del grande condottiero. I numerosi flashback, sebbene supportati da utili coordinate temporali in sovrimpressione, rendono la pellicola molto "pesante" nella sua non linearità, e come capitato già in passato per opere pretenziose come The Doors e Nixon, gli intrighi del potere, il regista finisce per perdersi nel film stesso, in conflitto tra razionalità stilistica e desiderio d'onnipotenza autoriale. La storia ripercorre tutti i momenti fondamentali della vita di Alessandro, illustrando in modo coerente, ma spesso prolisso, i primi anni di vita del condottiero, vissuti conflittualmente tra l'amore a tratti incestuoso con la madre Olimpiade e le incomprensioni con il padre Filippo. La narrazione si sposta poi sulle imprese belliche di Alessandro, passando dalla vittoria contro l'esercito persiano, raccontata attraverso la monumentale battaglia di Gaugamela, fino alla lunga marcia di conquista in Asia, dove il giovane condottiero dà prova di tutto il suo talento nello spronare e condurre il suo esercito. Nella parte finale vengono mostrati gli ultimi giorni di vita di Alessandro a Babilonia e le discussioni tra i suoi luogotenenti per la successione al comando dell'impero.

Seppur realista nella ricostruzione delle battaglie e nel raccontare il sincero amore omosessuale di Alessandro per Efestione, nonché il sogno tutto alessandrino di unificazione del mondo intero, Stone tuttavia non riesce mai ad "isolare", nelle maglie della narrazione, dei climax narrativi veri e propri, rendendo piatta e poco avvincente la storia. Tecnicamente l'opera accosta momenti di grande valore artistico a pecche imperdonabili, circoscritte soprattutto ad alcune soluzioni scenografiche. La grande attenzione fotografica del regista esplode in tutta la sua evidenza nella sequenza della battaglia in India, dove le influenze psichedeliche, già apprezzate in un film come Assassini nati, sono riproposte con efficacia per mostrare la perdita di controllo del protagonista, che in un cielo rosso pastello vede quasi frantumarsi il suo sogno conquistatore. Non manca inoltre l'omaggio, già presente in Nixon e in Ogni maledetta domenica, ad Orson Welles e al suo mai troppo osannato Quarto potere, il cui celebre prologo, con la caduta della boccia di vetro dalla mano morente di Kane (simbolo di un passato felice), rivive nella scena del trapasso di Alessandro, quando in punto di morte lascia cadere dalla sua mano l'anello donatogli da Efestione, compagno nella sua breve e intensa vita.

I difetti scenografici sono invece evidenti soprattutto nelle sequenze ambientate ad Alessandria d'Egitto, malamente ricostruita, nella lunga fase di post-produzione, attraverso la tecnologia digitale. La pessima resa ha un valore ancora più importante visto che l'antica città è teatro sia del prologo che dell'epilogo del film. Le sequenze che vedono protagonista il narratore della storia, Tolomeo, se all'inizio non compromettono la buona riuscita del film, nel finale invece ne sanciscono la rovina. Il lungo monologo con il quale si chiude la pellicola, complesso nel linguaggio e prolisso nel susseguirsi di elogi e approfondimenti, uccide la tensione scenica e fa perdere ogni interesse per un film che sembrava già aver detto tutto (se non troppo) dopo 120 minuti (158 quelli totali).

È proprio attraverso questo monologo finale, tuttavia, che Oliver Stone appone la sua personale firma sull'opera, sottolineando ancora una volta la sua volontà di non voler sacrificare il proprio stile, indipendentemente dalla produzione che lo supporta. Il regista americano voleva fortemente questo lungo monologo, così come aveva fortemente voluto l'arringa finale del procuratore legale Garrison in JKF, sequenze che rischiano di compromettere la fluidità e il valore finale di un film, ma pur sempre coerenti con la sua idea di cinema, il cui scopo, oltre che sorprendere ed emozionare, è quello di insegnare.

 


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