Il deserto rosso : il deserto di Giuliana PDF 
di Martino Baldi   

Il deserto rosso, una coproduzione italo-francese del 1964, è il nono lungometraggio di Michelangelo Antonioni (1). Nella filmografia del regista segue L'Eclisse e precede Blow Up, alla distanza di due anni da ciascuno (2). Come i tre film precedenti e gran parte dei successivi, è frutto della collaborazione con Tonino Guerra in fase di sceneggiatura. È la prima opera a colori di Antonioni. Vinse il Leone d'Oro alla Mostra di Venezia.
Ambientato in una Ravenna dalla forte connotazione industriale e portuale, Il deserto rosso (d'ora in poi abbreviato DR) racconta il tentativo di Giuliana di trovare una via d'uscita dalla nevrosi e dall'isolamento. La donna intravede un possibile aiuto in Corrado, collega del marito ingegnere Ugo, ma è solo una vana illusione e un isolato squallido rapporto erotico tra i due segna la fine della loro fugace apparente intesa.

Giuliana e le altre: una tetralogia?

Al centro del film è il personaggio di Giuliana, ennesima incarnazione di un mito personale antonioniano, quello della donna come essere più sensibile di una generalizzante della società dei consumi. Giuliana (interpretata da Monica Vitti) costituisce in questo senso un gruppo omogeneo con gli analoghi personaggi femminili dei tre film precedenti: indiscutibilmente Lidia (Jeanne Moreau) in La notte (1961) e Vittoria (Monica Vitti) in L'eclisse (1962), Anna (Lea Massari) e non Claudia (Monica Vitti) in L'avventura (1959), se è vero, come credo, che il nuovo soggetto che si va delineando in questi film è quello di una donna autonoma e positiva, non più proiezione delle illusioni e delusioni del maschio; una donna che soprattutto guarda, sente, comprende, e agisce di conseguenza su se stessa e sulle cose. Guardare, sentire, comprendere ed agire: non una di meno sono le capacità del nuovo "eroe" antonioniano.

Non sono dunque d'accordo con Tinazzi quando sostiene che "alla fine [dell'Avventura] Claudia è Anna, con una consapevolezza in più" (3). Claudia "riesce" là dove Anna "ha fallito": si integra nel mondo di Sandro. Percepisce l'inautenticità dei suoi sentimenti, ma alla fine accetta la situazione. Non comprende a fondo e soprattutto non agisce di conseguenza. Al contrario di Anna, è ancora un satellite di Sandro. La sua spensieratezza iniziale è incrinata da preoccupazioni e angosce accidentali. Il suo principale rovello è il senso di colpa per essersi sostituita all'amica e averla dimenticata in così poco tempo, tanto da temerne la ricomparsa. Come le dice Sandro, il suo è soltanto "il solito disagio; poi ti passa" (4); non ha mai quella coscienza profonda che rende necessaria la rottura, anzi può ancora affermare in piena ingenuità "Se tu mi dici "Claudia, ti amo", io ti credo". Claudia è soltanto all'inizio di un processo di identificazione in Anna (5); è Anna ma in un suo stadio meno "evoluto", quando riusciva ancora ad accettare Sandro.

Lo stesso, fatte le debite proporzioni, può dirsi dei personaggi di Lidia e Valentina in La notte. È Lidia la protagonista di un'ormai esplicitata tendenza al decentramento del personaggio maschile. È nel confronto con la moglie, e non con Valentina, che si manifesta l'inesorabile decadenza dello spessore sentimentale, morale e quindi umano dell'intellettuale Giovanni Pontano. Anche qui Valentina (come precedentemente Claudia) presagisce soltanto, per una sensibilità che certo non le manca, ciò di cui ormai Lidia ha piena consapevolezza. È Lidia a emanciparsi da questo tristissimo "uomo nuovo", mentre Valentina rinuncia a un tentativo d'amore forse soltanto perché, come dice a Giovanni, "io non distruggo i focolari domestici. Almeno in questo sono saggia" (e invece è solo ingenua). Nel suo mondo c'è ancora un esiguo spazio per tentare un dialogo con Pontano, per testare un'affinità a parole rifiutata ma nello stesso tempo manifestata (un esempio è quello delle velleità letterarie espresse e subito negate).

Ancora più evidente (anche per l'assenza nel film di vere deuteragoniste) è la collocazione in questo gruppo di "eroine" di Vittoria, la protagonista di L'eclisse, film che mette in scena sin da subito la rottura e porta a termine il processo di decentramento del personaggio maschile. Se Anna, Lidia e Vittoria, ognuna a modo proprio, fuggono da una condizione che viene sentita come irrimediabile, Giuliana, la protagonista di DR, si colloca invece a un livello ulteriore, quello di chi non è riuscita a fuggire in tempo e ha ormai incarnato il dissidio, lo vive sulla propria pelle in termini di malattia.

Questo se vogliamo leggere i quattro film in senso, per così dire, orizzontale. È però interessante notare come emerga un'altra "linea fatale" se si getta uno sguardo trasversale ai personaggi impersonati da Monica Vitti. L'attrice è del resto l'unica interprete comune ai quattro film, aspetto che permette di considerarla il fil rouge di una potenziale tetralogia. In questo senso il sostituirsi nell'Avventura della spensierata Claudia ad Anna, personaggio già pienamente "nella crisi", è quasi un battesimo, il passaggio di un testimone che sarà trasmesso via via a Valentina nella Notte, Vittoria nell'Eclisse, Giuliana in DR, secondo una progressione, un vero itinerarium del "soggetto" in una crisi che da sentimentale si fa esistenziale, sociale e addirittura epocale. Ognuno di questi quattro personaggi, interpretati dalla Vitti, compie un passo avanti rispetto al precedente, scandendo di film in film quattro diversi livelli di consapevolezza: dall'inconscio antagonismo di Claudia rispetto ad Anna, alla complicità di Valentina con Lidia, alla presa di coscienza di Vittoria. Trovo dunque più giusto affermare, per riprendere la tesi di Tinazzi precedentemente discussa, che Claudia (ma meglio sarebbe dire: la Vitti) diventa Anna soltanto nell'Eclisse; soltanto sotto le spoglie di Vittoria acquisisce la piena coscienza e opera la rottura. Non è un caso se anch'essa "scompare" dal film, in un mistero non meno intenso di quello della sparizione di Anna, seppure espresso stavolta esclusivamente sul piano formale piuttosto che anche su quello del contenuto (penso naturalmente alla lunga straniante sequenza finale).

Giuliana poi, se vogliamo dirla con un paradosso che non vuol essere categorico ma certo è suggestivo, è Anna se questa non fosse scomparsa. Ed è interessante, per quanto si voglia considerarlo casuale, che al giornalista Zuría, autore di un articolo sulla scomparsa di Anna (parlo naturalmente dell'Avventura), giungano almeno due precise segnalazioni: la ragazza è stata vista "al porto che parlava con dei marinai stranieri" e in una farmacia di Troína, a comprare un calmante. La prima segnalazione anticipa esplicitamente la scena del dialogo di Giuliana col marinaio turco al porto di Ravenna, la seconda introduce il tema della sua "malattia".

Individuale, sociale, umano

Di film in film si fortifica insieme alla coscienza anche il disadattamento, la sfasatura rispetto al milieu, fino alla nevrosi di DR; ma non solo: ogni personaggio interpretato dalla Vitti compie un passo avanti anche qualitativo rispetto al predecessore. Il dissidio di Claudia è tutto individuale: prima lotta con il senso di colpa per aver tradito Anna, poi teme che lei torni per la paura di perdere Sandro, infine soffre per il tradimento subito. È un disagio all'inizio morale e alla fine semplicemente sentimentale. Il dissidio di Valentina è esplicitamente quello tra la sua sensibilità e la sua condizione di ricca borghese, rampolla di una famiglia di cui avverte criticamente la decadenza morale e intellettuale ma a cui si sente comunque "connaturata" (6). L'attrito è tra due componenti interne dell'individuo, l'essere e il voler essere: è un disagio esistenziale. Ma Valentina sembra ancora cercare una via d'uscita all'interno della stessa borghesia e della sua cultura; non ha ancora la coscienza che tutto è già cambiato, che per esempio non è più l'età dei "focolari domestici", neppure fuori dalla propria famiglia.

L'eclisse è rispetto ai due film precedenti il meno romantico e il più analitico da un punto di vista sociologico. La crisi vissuta da Vittoria trova una corrispondenza e forse anche una spiegazione in ciò che lei stessa può esplorare e capire durante quel suo lungo vagabondaggio che in sostanza è il film stesso: Vittoria vede, sente e comprende una crisi sociale che non è più soltanto legata agli accidenti dei sentimenti e delle relazioni interpersonali o familiari, bensì è evidentemente la conseguenza inesorabile di una modificazione dei valori e del modo di vivere. Le corde toccate da Antonioni nell'affrontare il tema della trasformazione della società in un momento di drastica transizione sono quelle costitutive dell'esperienza umana tout-court, le maggiori categorie antropologiche. Sotto osservazione sono infatti il nuovo senso del tempo (adesso "un minuto qua costa miliardi" dice Piero a Vittoria, in occasione del minuto di raccoglimento osservato in Borsa per la scomparsa di un operatore) e dello spazio (ma questo lo avevano già chiaramente presentito nel film precedente, nella dialettica architettonica tra vecchio e nuovo all'interno dello spazio urbano e nel confronto tra questo e la periferia (7)).

Se ne L'eclisse rimangono comunque in avampiano i rapporti sentimentali, il tema della trasformazione "totale" e delle sue conseguenze, svincolato da una precisa connotazione sociale, diventa centrale in DR, che può ben dirsi in questo senso, pienamente e senza enfasi, un film sul destino umano in un'epoca di mutamenti considerevoli. Il prevalere dell'interesse antropologico su quello sociologico è espresso dallo stesso Antonioni in un articolo del 1964: L'universo con cui i personaggi del film entrano in conflitto non è quello delle fabbriche. Dietro alla trasformazione industriale ce n'è un'altra che riguarda lo spirito, la psicologia umana. Il nuovo modo di vita condiziona il comportamento sia di quelli che lavorano in fabbrica sia di quelli che, all'esterno, ne subiscono le ripercussioni (8).

Il deserto di Giuliana

Il mutamento coinvolge l'uomo e l'ambiente. Le ripercussioni di questa rivoluzione silenziosa sono violente. Per adattarsi c'è bisogno di affinare quella che Antonioni stesso definisce (nel testo appena citato) una "nuova "tecnica" di vita", ma non è cosa da tutti, perché: ci sono persone che per loro natura, per la loro eredità morale sono alle prese con il mondo moderno e non riescono ad adattarsi. Così si verifica un fenomeno di selezione naturale: sopravvive chi riesce a stare al passo con il progresso, gli altri scompaiono inghiottiti dalle loro crisi. Perché il progresso è inesorabile, come le rivoluzioni. Allo stesso modo che certuni soffrono durante le rivoluzioni, esiste un disagio legato al progresso (9).

Naturalmente Giuliana è il caso più emblematico di chi "vive una profonda crisi per la sua incapacità di adattarsi", a differenza del marito assolutamente felice e di Corrado, a metà strada tra i due, sul limite della nevrosi, ma non pienamente coinvolto. Per Giuliana ormai il mondo è tutto un deserto perché sente benissimo, fin troppo, la desertificazione interiore a cui l'uomo sembra predestinato nel nuovo mondo: un grande vuoto morale e sentimentale che ha il suo correlativo oggettivo in un ambiente ridotto appunto a deserto, palude, ricettacolo di detriti industriali, e ossessivamente rappresentato da Antonioni con l'uso di colorazioni artificiali.

La morte delle pinete, il terribile inquinamento fluviale, la natura assoggettata agli interessi dell'industrializzazione: questo sconfortante panorama è ripreso spesso utilizzando il teleobiettivo, trasmettendo così, con l'appiattimento della prospettiva e la limitazione della profondità di campo, una cupa e claustrofobica sensazione di mancanza di spazio vitale. La fabbrica, ritratta come ordinata, ben curata, bella e sfavillante, è in forte contrasto iconico con la desolazione dei paesaggi naturali. Su questo sfondo Giuliana si muove senza naturalezza, con i movimenti nervosi dell'animale ferito, l'insicurezza di chi si sente estranea nel proprio ambiente e, vittima della nevrosi, decentrata anche da se stessa (10). Schiacciata tra un vecchio mondo di cui vanno scomparendo le tracce (11) e un nuovo mondo, rifiutato ma a cui non mancano aspetti di evidente bellezza e fascino, è lei l'antenna del regista, che infatti non la perde quasi mai di vista; tanto che si potrebbe leggere la "deformazione" dell'ambiente, conseguita di norma colorando direttamente i paesaggi piuttosto che la pellicola, come una sua soggettiva espressiva, allucinatoria; naturalmente non in senso stretto ma intesa come immedesimazione dello sguardo di Antonioni nei sentimenti di Giuliana (12), come focalizzazione generale del film. E infatti la sequenza della fiaba in cui Giuliana racconta un suo mondo ideale incontaminato è, per contrasto, l'unica in cui il colore naturale non sia stato modificato.

La nevrosi della cinepresa

Il gap tra Giuliana e gli altri è restituito vivamente dalla nervosa interpretazione della Vitti, unico esempio nel film di recitazione espressiva su più registri, esaltata dal confronto con i movimenti e le espressioni monocordi e "minimali" degli altri personaggi. Si pensi come esempio al continuo movimento delle mani e delle braccia di Giuliana e, di contro, alla quasi assoluta immobilità degli altri, quasi sempre ritratti in posizione neutra, come automi, con le mani in tasca o le braccia immobili, come il piccolo robot di Valerio, capace di un unico movimento di avanzamento e arretramento su una sola traiettoria predefinita. Giuliana invece si muove sulla scena con una libertà perfino eccessiva, per quanto siamo abituati ad aspettarci, determinando la costruzione di un inquietante spazio filmico a 360° e un'alternanza di découpage e montaggio interno, anch'essa dagli effetti sottilmente angoscianti.

Vale la pena a tale proposito soffermarsi sulla sequenza del primo incontro in privato tra Corrado e Giuliana, nel negozio vuoto di via Alighieri. La sequenza si può suddividere in tre segmenti, scanditi dall'alternanza di Esterno e Interno e composti rispettivamente da 8, 28 e 16 inquadrature:

I. L'inizio è su un campo vuoto: un muro dipinto di verde e scrostato. Corrado scende dall'auto, fa pochi passi in una strada (completamente spopolata) del centro storico di Ravenna. Le case sono colorate di grigio chiaro a sinistra e di un verde muffa a destra. Corrado si affaccia a una porta sulla destra e ne esce subito. Dopo pochi istanti dalla stessa porta esce Giuliana. C'è un breve dialogo in strada in cui Corrado fa capire di essere interessato a Giuliana (C: "Non vorrei cominciare con una bugia…"; G: "Cominciare che cosa?"). Giuliana interrompe il discorso e rientra.

II. L'interno del negozio è vuoto. Giuliana sta scegliendo i colori per le pareti ma non sa ancora cosa vendere. Impercettibilmente il dialogo si trasforma in un interrogatorio di Giuliana a Corrado. Ma è un dialogo assurdo per l'evidente stato di imbarazzo e confusione di Giuliana, che vi mette fine improvvisamente, lasciando l'interno.

III. I due escono in strada (ancora vuota). Fanno pochi passi. C'è tempo per una digressione filmica: a un foglio di giornale portato dal vento viene concesso un piano ravvicinato. Il selciato è innaturalmente pulito. Giuliana accusa un malore e si siede sullo sgabello di un fruttivendolo apparso improvvisamente col suo carretto sul lato della strada. Anche la frutta è colorata dal regista con un grigio-marrone "morandiano". Un paio di soggettive espressive di Giuliana ci mostrano un inquietante primo piano del fruttivendolo e un campo lungo della strada vuota. Mentre lei si alza e si incammina ancora in stato confusionale, Corrado si offre di accompagnarla casa.

Già nel primo segmento sono presenti diversi aspetti stilisticamente rilevanti, come il campo vuoto, la relazione tra personaggi e sfondo, la colorazione dell'ambiente e il suo rapporto con le diverse soggettive. C'è inoltre un interessante movimento di commento nella settima inquadratura, proprio all'inizio del dialogo in cui Corrado lascia intendere il proprio interesse per Giuliana. La m.d.p., tenuta ferma nelle 5 inquadrature precedenti, tramite un sensibile zoom in avanti, si avvicina dalla figura intera alla mezza figura di entrambi. Vista la posizione di Giuliana (di spalle in avampiano, quindi in semisoggettiva, con Corrado frontale davanti a lei), si ha la sensazione che il movimento di macchina corrisponda a una perceptio passionis suae di Giuliana, che si sente improvvisamente avvicinata, troppo esposta, nuda. Infatti nell'inquadratura conclusiva della scena, un controcampo della precedente, Giuliana fa un gesto che sottolinea la sua sensazione di imbarazzo e, senza attendere che Corrado termini la sua risposta, esce dallo schermo, lasciando l'inquadratura improvvisamente senza oggetto. È questa un'anticipazione del tema principale del segmento seguente, che mi preme maggiormente analizzare.

La seconda scena è costruita sull'alternanza di un incalzante découpage di brevi inquadrature a m.d.p. ferma (o con minime riquadrature) e di inquadrature più lunghe con sensibili movimenti di macchina. Se nel primo e nel terzo segmento la durata media delle inquadrature è rispettivamente di 12.25 e 8.31 secondi (13), nella seconda il valore scende a 7.78 secondi ma con un contrasto interno assai più marcato tra le quattro inquadrature dal maggior interesse drammatico (14) (lunghezza media di 21.5 secondi) e le altre ventiquattro (5.5 secondi). È un ritmo di montaggio sincopato che trasmette un'ansia palpabile e offre un'indiscutibile enfasi alle quattro inquadrature maggiori.

Per tutto il segmento il movimento di Giuliana è discontinuo. Si sposta nel negozio da un angolo all'altro, scivolando intorno a Corrado (quasi immobile per tutta la scena) come un animale intorno a qualcosa di estraneo, e ritraendosene fino a cercare protezione nelle pareti spoglie. L'interno, tra l'altro, non ci è mai presentato con un piano totale e mantiene per noi una connotazione di angosciosa estraneità; resta per tutta la sequenza uno spazio irriducibile ai nostri tentativi di farcene un'immagine precisa, di razionalizzarlo, anche per effetto dei numerosi scavalcamenti di campo e dei falsi raccordi. Proprio come risulta impossibile "prendere le misure" a Giuliana, che si sposta e si volta continuamente, dando ora la fronte ora le spalle alla m.d.p. o a Corrado. Un esempio è nelle inquadrature 3, 4 e 5: [3]. Corrado in semisoggettiva osserva Giuliana di spalle; lei si volta verso di lui e la macchina stacca in un controcampo a 180° [4] con Giuliana in avampiano (figura intera di spalle) che guarda Corrado solo un attimo, si volta e inizia un movimento di uscita dall'inquadratura (sul davanti a sinistra). Con un nuovo ribaltamento [5] Giuliana è recuperata nel suo lento procedere, di spalle, dall'entrata in campo (sul davanti a destra) fino al muro bianco sullo sfondo. Giunta a ridosso della parete, si volta di nuovo verso Corrado (e l'obiettivo) e finalmente si ferma.

Nell'arco di 15" scarsi, la m.d.p. per non perdere di vista Giuliana è stata costretta a due scavalcamenti di campo, ne ha ripreso tre "piroette", un'uscita e un'entrata in campo insolite (sul fianco della macchina da presa). È qui eccezionalmente cospicua la dialettica tra filmico e profilmico, tra una m.d.p. che tende a limitare il più possibile i suoi movimenti e un personaggio che invece sfugge continuamente ogni volta che l'equilibrio dell'inquadratura si è ricostituito, come se avvertisse un pericolo o comunque un disagio. Infatti, la quiete raggiunta al termine di [5] dura ben poco. Si alternano quattro raccordi in campo-controcampo a m.d.p. immobile ma già all'inquadratura [9] Giuliana non può più resistere "sotto osservazione" e fugge di nuovo dall'inquadratura e nuovamente con un'uscita frontale (a destra) improvvisa, che costringe la m.d.p. a staccare dopo soli 2". È il preludio alla più enfatica inquadratura successiva.

Dopo otto brevi o brevissime inquadrature, la [10] si può considerare un long take con i suoi 25". La m.d.p., come sorpresa dalla brusca uscita di Giuliana nella [9], è costretta nuovamente a un ribaltamento di campo. Giuliana entra (ancora dal davanti) a sinistra e si dirige verso la sua borsetta, lasciando Corrado in avampiano sulla destra ad osservarla di spalle; mentre lui cerca di adeguarsi alla sua nuova posizione con un piccolo spostamento, Giuliana prende un taccuino dalla borsa, attraversa ancora una volta il piano, davanti a Corrado, ed esce dallo schermo a destra lasciando l'uomo solo al centro dell'inquadratura, a guardarla fuori campo, per ben nove secondi.

Questa fuga continua di Giuliana dal raggio d'azione della cinepresa è significante del suo precario equilibrio interiore e raggiunge l'apice nella penultima e più lunga inquadratura della seconda scena. Nelle inquadrature precedenti Giuliana ha preso a interrogare Corrado e a scivolargli intorno. Per la precisione il movimento di accerchiamento è cominciato nella [22]. Lei lo scruta fissamente mentre lui parla gettando sguardi a destra e a sinistra. Come se la m.d.p. avesse rinunciato a mantenere Giuliana come proprio oggetto preferenziale e ne avesse invece assunto lo sguardo, si insinua progressivamente in noi la coscienza di un forte legame vedente/visto in cui stavolta è Corrado al centro dell'attenzione. La macchina gli gira intorno, insieme a Giuliana.

La [27] inizia proprio con una semisoggettiva di Giuliana che, in primissimo piano di spalle a sinistra, osserva Corrado, in piano americano sulla destra. È lui adesso a compiere un lento attraversamento della stanza e a portarsi sul lato sinistro dello schermo, seguito da un movimento di macchina che tiene sempre al centro dell'inquadratura il primissimo piano di Giuliana (di spalle). La cinepresa si muove insieme con il suo sguardo e per un attimo vi si immedesima completamente: Giuliana scompare dietro l'obiettivo per pochi secondi. Lentamente la donna ricompare di spalle in avampiano. Corrado, sullo sfondo, è una macchia scura sul muro bianco, incorniciato in una rientranza della parete come a sottolineare la sua posizione "grammaticale" di oggetto dell'inquadratura. Sta parlando delle sue difficoltà ad adattarsi: "La verità è che non mi va più di stare né qui né là. E allora ho deciso di partire". Il legame soggetto-oggetto dell'inquadratura (e dell'interrogatorio) si fa ancora più saldo ed esplicito con la domanda di lei: "Dove va?". Ma Giuliana ha uno scatto inatteso. Senza attendere la risposta, si volta, si sposta sulla destra, prende il cappotto e abbandona così l'inquadratura di cui è il soggetto, lasciando solo Corrado al centro della scena. La nevrosi di Giuliana è qui completamente sublimata a livello stilistico: la sua confusione interiore genera una palpabile trasgressione delle norme cinematografiche. L'incapacità di trovare un posizione, un punto di vista adeguato per comprendere e accettare il mondo, rappresenta anche la sua crisi come soggetto della narrazione filmica.

Se soltanto successivamente, a livello di contenuto, il suo decentramento dal mondo e da se stessa raggiungerà picchi di particolare gravità e chiarezza, la "malattia" di Giuliana è già stilisticamente tutta espressa in questa sequenza: nei "salti mortali", nelle trasgressioni, negli "errori" a cui è costretta la cinepresa per osservare e capire meglio il personaggio; per mettere a nudo la nevrosi di Giuliana, la cinepresa ha finito per esserne contagiata.

(1) Si include il film ad episodi I vinti (1952), ma non Amore in città (1953), di cui Antonioni firma soltanto uno dei sei episodi (intitolato Tentato suicidio).
(2) Del 1965, un anno prima di Blow Up, è Il provino. Si tratta ancora di un episodio in un film collettivo, I tre volti: trittico che il produttore Dino De Laurentiis aveva voluto per il lancio della bella principessa persiana Soraya.
(3) Giorgio Tinazzi, Michelangelo Antonioni, Il Castoro Cinema, Milano 1994, p. 86.
(4) Qui e altrove, quando non indicato diversamente, traggo le citazioni dei dialoghi da M. Antonioni, Sei film, Einaudi, Torino 1964.
(5) Credo che si possa individuare il preciso momento in cui il processo di identificazione prende vigore (tematicamente e forse anche nell'inconscio del personaggio) nella scena in cui Claudia indossa una parrucca nera che la rende molto simile ad Anna. Ciò avviene nella villa dei principi Montaldo, subito prima delle ricerche a Troína e Noto, durante le quali Claudia si calerà definitivamente nel ruolo di amante di Sandro.
(6) Dice Valentina a Giovanni, che le parla della sua crisi creativa: "Perché mi dici queste cose? Potrei non capirti. In fondo mi piace il golf, il tennis, le macchine, i parties…"
(7) Gli esempi potrebbero essere infiniti, a partire dalla sequenza iniziale, ma si veda in particolare tutta la flânerie di Lidia e il dialogo con Giovanni che la va a riprendere al termine del suo lungo vagabondaggio (Giovanni: "Qua non è cambiato niente"; Lidia: "Cambierà presto"). Le battute che cito, tra l'altro, non si ritrovano nella sceneggiatura del film e costituiscono quindi un cospicuo esempio del modo istintivo di lavorare sul set di Antonioni, pronto a svincolarsi da ogni premeditazione.
(8) Michelangelo Antonioni, Il deserto rosso, in "Humanitè dimanche", 23 settembre 1964, adesso in Id., Fare un film è per me vivere, Marsilio, Venezia 1994, pp. 251-54.
(9) Ibidem.
(10) Si pensi, come esempio di esplicita dissociazione, alla storia della clinica raccontata in terza persona da Giuliana a Corrado in casa dell'operaio di Ferrara.
(11) Un residuo simbolico del vecchio mondo è il panino dell'operaio, su cui Giuliana in una delle prime sequenze del film si avventa con istinto animale, per poi correre a mangiarselo al riparo di una siepe, assediata però alle spalle dagli sbuffi di una ciminiera. La sequenza trasmette un inquietante senso della persecuzione e introduce abbastanza chiaramente alcuni temi principali del film.
(12) Sono letteralmente soggettive allucinatorie invece le inquadrature del soffitto in cui compaiono macchie di colore viola, durante l'incontro in albergo tra Giuliana e Corrado.
(13) Ma se scorporiamo dal primo segmento la lunga inquadratura introduttiva (36"), che ha anche il compito di presentare l'ambiente e segnalare l'ellissi dalla sequenza precedente, la durata media delle inquadrature nei due segmenti è decisamente omogenea: 8.86 e 8.31 secondi.
(14) Le numero 10 (durata 25"), 19 (16"), 23 (14") e 27 (31").

 


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