Mostra Internazionale del Cinema Nuovo di Pesaro PDF 
di Roberto Manassero   

La 39° edizione della Mostra Internazionale del Cinema Nuovo di Pesaro ha confermato quelle che da sempre sono le sue linee guida: militanza, impegno, essenzialità, dove queste tre parole, in particolare la seconda, l'impegno, hanno, purtroppo o per fortuna, l'accezione che spesso acquisiscono quando si parla di cinema d'autore.

L'idea che il direttore Giovanni Spagnoletti ha di un festival, infatti, non è certo quella del semplice accumulo di titoli, ma quella assai più coraggiosa e rischiosa di un luogo di scoperta e sperimentazione, chiusura pressoché totale alle esigenze del pubblico medio e apertura (ma è una chiusura anche questa: una specie di circuito autoalimentato) alle esigenze di appassionati e studiosi.

Pesaro non è certo un festival che fa sconti: non è tanto il risultato della "critica al lavoro", come si è detto il mese scorso a proposito del Bergamo Film Meeting, quanto l'ambizioso sforzo di ricercare uno sguardo "critico" sul cinema, macchina dei sogni investita di responsabilità etiche ed estetiche, per cogliere la realtà nel suo farsi.

Il problema di un simile approccio, vista la condizione del cinema contemporaneo, non è quello delle sale mai troppo piene o della classica cattedrale nel deserto, ma semmai che, a voler oggi puntare su un cinema politico e militante, si rischia sempre di voltarsi all'indietro e di parlare di modernità grazie agli autori del passato. Un paradosso, questo, che a Pesaro si è verificato più volte, dal momento che era abituale, dopo un quarto d'ora di film sperimentale francese contemporaneo, sentir dire che sarebbe stato meglio ripiegare su un film della retrospettiva dedicata a Ermanno Olmi o a John Sayles.

Ma un festival che sa offrire ampie possibilità di fuga allo spettatore inquieto non è certo cattiva cosa. Anzi: la varietà della proposta, quand'anche fosse troppo chiaro l'intento intellettualistico, è segno di vitalità e varietà, espressione di un'idea di cinema vasta e complessa. Dopotutto, questo è il solo punto di vista che abbia ragione di contare nel giudicare un festival del cinema, e dalla panoramica sul cinema francese contemporaneo ai documentari di Stephen Dwoskin, dal cinema sperimentale di Zbig Rybcczynski ai lavori televisivi di Flavia Mastrella e Antonio Rezza, passando per alcune piacevoli scoperte (l'ultimo di Recha Le Mains vides, il collage visivo Imitations of Life di Mike Hoolboom o la retrospettiva sul regista spagnolo José Luis Guerin), Pesaro non ha davvero deluso alcuna aspettativa.

Resta il fatto che nei giorni passati a Pesaro, senza sapere se sentirsi in errore o meno, la curiosità e il dovere di cronaca hanno sempre ceduto il passo alle tentazioni del già visto o, almeno, del conosciuto. E, torniamo a ripetere, di fronte alla novità o alla sperimentazione di qualche giovane autore veniva davvero spontaneo alzarsi dalla sedia e dirigersi laddove il cinema, forse perché digerito dal tempo, è davvero studio e analisi del reale – dalle parti dei lavori televisivi di Olmi o da quelle di uno qualsiasi dei film di Sayles, autore forse troppo pulito e lineare, ma, in quanto ad approccio e visione del mondo, politico come pochi altri.

 


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