Nonostante il titolo, Son frère del francese Patrice Chérau, noto come autore di Intimacy vincitore dell'orso d'oro a Berlino nel 2001, è più un toccante documentario sulle devastazioni fisiche prodotte da una strana forma di leucemia che una cronaca familiare. La scelta di girare gran parte della pellicola in un ospedale vero con tanto di lettini, strumenti, personale paramedico, e degenti straziati da tagli rasature e iniezioni ne fa una sorta di originale sequel del precedente lungometraggio del regista, ambientato in una Londra cinerea, algida e nei suoi interni più anonimi e squallidi: ambulatorio e metropoli, sfondo cupo e alienante per microstorie di tutti i giorni e di tutti, là incontri di solo sesso senza dolcezza e senza domani, qui un morbo nel sangue senza speranza di guarigione.
Amore e morte dunque nascosti da abiti ed educazione nello stesso corpo: si è nudi, da moribondi o quando il desiderio disperato dell'altro ci rende fragili e indifesi; nell'apice del piacere o nell'agonia delle ultime ore cerchiamo con lo stesso gesto la mano solidale dell'amante o del fratello. Chéreau spoglia i suoi interpreti da abiti e civilizzazione e fa recitare non loro, ma i loro corpi, ed è attraverso di essi che i suoi personaggi si raccontano. La sua filmografia è uno straordinario banco di prova per un attore ed è ammirevole in Son frère l'espressività e la professionalità tutte istintive di Bruno Todeschini (Thomas) e di Eric Caravaca (Luc), ancora quasi esordienti sul grande schermo.
In un corridoio affiora come un fantasma il volto scavato di un diciannovenne che scoprendosi la giacca del pigiama fa entrare Luc, il protagonista sano di "son frère", nell'intimità straziante di un petto dilaniato più volte dal bisturi; e tutto il film è in ultima analisi esattamente la storia di questa dolorosa ricognizione della sofferenza fisica da parte di un uomo, dotato vanamente di cultura e sensibilità. Le lacrime inconsolabili dell'adolescente estraneo incontrato per caso in corsia non vogliono parole di comprensione, da nessuno mai trovate, ma solo la vicinanza momentanea dell'abbraccio di un fratello, quello che alla fine Luc riuscirà a dare anche a Thomas, il suo vero fratello malato. Un nucleo familiare, sconvolto dalla tragedia, perde la propria identità e ne acquisisce un'altra più autentica, solidificata non dalla parentela ma dalla complicità nell'angoscia del dolore.
La tematica fa venire in mente Cronaca familiare, il romanzo di Vasco Pratolini trasposto sullo schermo nel '62 da Zurlini, o Mio fratello della scrittrice di origine cairabica Jamaica Kincaid, ma qui l'approccio è totalmente diverso, potremmo dire antipsicologico e antiletterario, una "natura morta", stando alla stessa definizione del regista. Vero centro propulsore della pellicola è in effetti il corpo martoriato di Thomas: da esso si dipano in centri concentrici la resa fino all'inerzia, graduale e dilaniante, del giovane ammalato, la confusione e lo smarrimento dei genitori e della fidanzata, l'impotenza partecipe e la frustrante quotidianità del male di medici e infermieri, la riscoperta in sé delle proprie radici affettive di Luc.
Il rapporto fra Thomas e Luc nella sua complessità è però quello che ha i momenti più intensi e più riusciti: dal loro dialogare scarno, in cui traspare la capacità di concentrare il dramma in frasi scheletriche da parte di un cineasta proveniente dai palcoscenici di un teatro, affiorano un passato di incomprensioni e differenze invalicabili ma anche il legame indissolubile della condivisione di un'infanzia e il riconoscimento di una reciproca appartenenza: "tu mi hai salvato" dice Luc, il più giovane , all'altro, intontito sul lettino d'ospedale per uno dei tanti inutili interventi, e gli ricorda un episodio della loro fanciullezza, quando Thomas, più grande, lo ha sottratto a uno sciame di api, lo ha preso sulle spalle e lo ha fatto volare, correndo per le strade fino a casa. E adesso tocca a lui, il minore, sollevarlo sulle sue spalle sane e portarlo nell'ultimo volo, verso il mare, immagine metaforica celeste del nulla eterno in perenne attesa, là dove sceglierà di immergersi, anteponendo la pace a un simulacro di esistenza, proprio là nello stesso punto dove, ricorda un vecchio marinaio nella sequenza iniziale, la tempesta di solito infuria e le barche fanno naufragio, ma i corpi non si disperdono , la corrente li riporta indietro, perché siano ritrovati…
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