El Topo: il gioco sciamanico di Alejandro Jodorowsky PDF 
di Mattia Mariotti   

Alejandro Jodorowsky è il "clown mistico", il "ciarlatano trascendentale", il "professore di immaginazione", l'"imbroglione sacro" della storia del cinema. I suoi film sono sciamanici, provocatori, chiaroveggenti, blasfemi, poetici, irriverenti, politici, misterici. Le sue figure di celluloide possono essere racchiuse e intrappolate in un magico e invisibile mazzo di Tarocchi. Quelli che seguono sono i Tarocchi che si (ri)velano ne El Topo. (1)

I TAROCCHI DELL'AMORE

LA CARTA DELLO STUPRO
L'amore di coppia, l'amore incontrato, l'amore sensuale, l'amore vergine, l'amore tentazione, l'amore pace, sfocia, si incomincia, perdura nella figura (carta) dello stupro. La violenza è il primo approccio, il primo tentativo, il primo riconoscimento. Lo stupro è la sagoma di una donna tracciata con semi di grano sulla pietra dal Terzo Bandito. È l'impossibilità tacita di reagire, è la ribellione disegnata su pietra. Il Bandito si nutrirà dei semi (del corpo) con silenzio. La figura di donna sparirà, lasciando roccia incolore. Nel viaggio nel deserto, è lo stesso Cavaliere Errante a nutrirsi, attraverso lo stupro, della Donna. I vestiti vengono strappati, brandelli di stoffa e carne confusi con sabbie bollenti. Il Cavaliere Errante si impossessa della Donna, la Donna, come purificata dalla violenza, può ora legarsi nel profondo al Cavaliere Errante. La gestualità isterica e paralizzante dello stupro viene eletta a celebrazione purificatrice. Il corpo vinto diventa anello, cerchio di passi rimasti sulla sabbia intoccata del deserto. Lo stupro diventa rito, iniziazione, cerimonia matrimoniale. La Donna apre le braccia, la sabbia diventa per un attimo mare sterminato che accoglie la resistenza, l'urlo. La prevaricazione vigliacca si fa elevazione purissima, naufragando (sprofondando verso l'alto) nel miracolo. La Donna, attraverso la violenza intima e indecente del Cavaliere Errante, si concede il miracolo di trovare uova fresche nella sabbia, e acqua cristallina nelle rocce asciugate dal sole.

LA CARTA DELLA SOTTOMISSIONE
La relazione (amorosa, sensuale, umana, proibita, religiosa, sociale, politica) è, sempre, sottomissione. La sottomissione è vendita mercificante del proprio gesto carnale. Così il Primo Bandito lecca appassionatamente le scarpe rosa con un lungo tacco della donna che ha appena trucidato. Ne osserva le forme, si fa servo adagiato sul pensiero della carne vestita, imbellettata. Si sottomette, e per risarcire se stesso della sottomissione appena ammessa, esposta, consumata, trasforma le scarpe rosa con un lungo tacco in bersagli da poligono, equivalenti ad arrugginiti barattoli di latta cui sparare con precisione. La sottomissione crea pentimento, denudazione, rivalsa schiumosa nell'Uomo, indifferenza esibita, accettazione sorrisa, ruolo nella Donna. La Donna accetta il Colonnello, ne diventa oggetto, mobilio della sua piramide-tempio. Si fa lavabo, i capelli si offrono per asciugare le mani. La vestizione del Colonnello passa attraverso i gesti materni, carezzevoli, leccati della Donna. Essa docilmente se ne prende cura, resta sulle ginocchia, attende il richiamo, l'ordine dello sguardo. La sottomissione è non anticipazione dei desideri. La sottomissione è ruolo. La Donna è oggetto del tempio, è madre, è amante, è schiava, è sesso, è preghiera. La sottomissione diventa l'unico ruolo possibile, perché la paura non è per la punizione (la morte), ma per la sua mancanza. Così anche con l'UomofattosiDonna la relazione, l'amore, la seduzione è consumata attraverso l'esposizione sottomessa. La carne viene tagliata dalla frusta, le ferite sanguinano, ma solo per trasformarsi in baci, carezze, passione. L'amore prima della sottomissione è il frutto dolcissimo che si assapora con tenerezza, ma che ci viene gettato nella sabbia. Il coltello lo ha aperto, donato ai nostri sensi. Le dita ne hanno accarezzato i semi languidi. Ma ci è rifiutato. Così la sottomissione, come lo stupro, diventa la necessità, il primo sguardo, la prima volontà. La sottomissione diventa l'unico senso del concedersi all'altro, alla diversità, al mancante.

LA CARTA DELL'ABBANDONO
Lo stupro e la sottomissione assumono senso e compiutezza solo di fronte all'abbandono. La carta dell'abbandono è la fagocitazione del sacrificio donato (lo stupro) e la giustificazione inconscia della privazione volontaria (la sottomissione). Il Colonnello (in negativo), il Cavaliere Errante (in positivo) patiscono l'abbandono. L'amore si esaurisce, si illumina, si perpetua attraverso di esso. L'amore costringe soli, rinasce per mezzo della solitudine, della vittima tradita. L'abbandono è la condizione per lo schiudersi del nuovo mistero. La lotta, l'inganno, il tentativo, il potere, vengono scrostati, privati della loro lamina di tempo e spazio proprio dall'abbandono: il Cavaliere Errante sconfigge i quattro Maestri del Deserto, il Colonnello costruisce il suo tempio-piramide, ma entrambi vengono ridicolizzati (puniti?) dal restare soli. L'abbandono è una sorta di tradimento amorale, di sconfitta annullatrice di ciò che si è cercato di essere fino a quel momento. Il Cavaliere Errante si schiude a nuova vita (a un nuovo film, quasi) proprio nel momento dell'abbandono: il Cavaliere Errante ha succhiato la sua essenza, ha infranto la sua immagine di un tempo orizzontale. L'abbandono rende concentrico (ma non circolare) il tempo, impossibilitato (ma non impossibile) l'amore.

LA CARTA DELLA LASCIVIA
Il contrappasso dell'amore è la lascivia, il ventre basso, le mani nodose e arrugginite spalmate verso il desiderio. La lascivia sono le Donne del Villaggio accudite da irresistibili e lucidi corpi di schiavi neri, è la loro bramosia insopportabilmente colante, il loro trucco nauseato e incancrenito, i loro pizzi sformati e sfilacciati dalle mollezze di flaccidi movimenti. I fremiti tardivi e ripugnanti delle Donne del Villaggio sono il coro del loro ritardo, del loro tempo marcito in bocche senza labbra, occhi senza colore, seni senza profumo. Ma la lascivia sono anche i boccoli biondi dello Sceriffo, le carezze omosessuali su epe ingolosite dal potere sanguinolento della legge umana, i vestiti bianchi strappati dalle schiene di fanciulli-schiavi tenuti in prigionia. La lascivia è la concezione borghese dell'amore, che esorcizza il sesso con la croce dell'apparenza morale, della Legge e della punizione. La frustrazione borghese è esclusa dall'amore perché strozzata dall'istinto per l'indecenza, la noia, il divieto. La lascivia sono solo i rimasugli infangati di rossetto di cui il borghese può ancora abbuffarsi (senza vergogna o pentimento) attraverso la sopraffazione, la minaccia, la Legge.

I TAROCCHI DELLA VIOLENZA E DELLA MORTE

LA CARTA DEL BORGHESE SENZA VOLTO ("AUGUSTO")
Il Borghese senza Volto, o, per Jodorowsky, l'"Augusto", è il corpo, il simbolo stesso della violenza e della morte. Il Borghese senza Volto si eccita di fronte alla schiavitù (le Donne del Villaggio si contraggono di fremiti orgasmici di fronte agli schiavi marchiati a fuoco come bestiame), sotto le sue unghie si incancrenisce il disprezzo, la lascivia stropiccia la sua carne flaccida, il potere resta poltiglia da ruminare senza sosta. Il Borghese senza Volto ha bisogno di villaggi in muratura, di confini artificiali tracciati nella terra, di immobilità. Il multiforme, il cangiante, costringono al disorientamento. Il simbolo del Villaggio è infatti un triangolo (forma chiusa, violentemente pacificante, regolarizzata) che circoscrive un occhio aperto ma senza palpebre (un occhio che non si chiude mai, che resta morbosamente spalancato e smaccatamente insensibile di fronte all'orrore). L'isolamento approfittatore del Borghese senza Volto è sterile, polveroso, abitudinario. Non germoglia vita (il Villaggio è praticamente senza bambini), non conosce senso: l'unica funzione sociale del Villaggio sembra essere la semplice e cruda perpetuazione della violenza (le stesse Donne appaiono in perfetta sintonia con armi, cappi, torture). La religione del Borghese senza Volto è anch'essa esibizione spettacolosa e spettacolistica della morte: la Messa diventa il "gioco" della roulette russa, in cui il Miracolo è non essere trapassati da una pallottola caricata a salve. La religione è stendardo amatoriale, appiattimento incolore sui lineamenti del potere, esibizionismo effettisticamente miracolistico. Il Borghese senza Volto non può che sterminarsi in pozzanghere di sangue, in mucchi di corpi crivellati e lasciati a disseccare nella solitudine e nell'assenza di nomi.

LA CARTA DEL SACRIFICIO
La morte è sempre sacrificio. Il sacrificio può essere subìto, costretto, desiderato, scelto, mistificato, mistico. Il sacrificio consente l'annullamento delle impurità carnali, e lo schiudersi di una nuova era fattasi sapere. L'ultimo dei quattro Maestri del Deserto non sceglie il duello, ma il sacrificio, la forma più alta di consapevolezza e superiorità umana. Attraverso il sacrificio del Maestro, il Cavaliere Errante potrà trasformarsi nella figura del Cristo Sofferente. Il sacrificio (dis)perde il corpo, ma l'anima (il sapere ultimo racchiuso nella carne) la dona al corpo sempre manchevole che viene dopo. Così anche il Cavaliere Errante (divenuto Clown) si sacrifica, si immola di fronte al Borghese senza Volto. E la sua eternità animistica schiude nuova vita, nuova salvezza, nuovo tempo per la Donna Nana (fisicamente, letteralmente manchevole). Il sacrificio, anche se in modo incompleto, consente il raggiungimento del Graal (la vita pura e cosciente, il sapere) paradossalmente proprio attraverso il suo essere morte, cancellazione definitiva di tutto ciò che è vitale, corporeo, presente. Il Graal non sarà sollevato dalle nostre mani (divenute terra) ma da quelle di chi ha bevuto nel nostro sacrificio. Il sacrificio, perciò, non è mai riscatto (il Clown non può riscattare il Borghese senza Volto, nemmeno attraverso l'Apocalisse di pallottole), ma semplice dono da immergere nell'altro, cessata ormai la nostra presenza.

LA CARTA DELLA SEPOLTURA
Nella sequenza che apre il film, il Bambino del Cavaliere Errante seppellisce il suo orsacchiotto di peluche nella sabbia bollente del deserto, insieme al ritratto sbiadito della madre. La sepoltura diventa dimenticanza, spoliazione conscia delle relique-suppellettili della nostra anima, prima che della nostra carne. La sepoltura non è mai perdita in un tempo circolare, quanto piuttosto non ritorno in un tempo orizzontale, che mai si recupera, che mai concede. Il seppellimento è una spaccatura sacrificale donata all'oblio, costretta alla solitudine. Il Clown, dopo il sacrificio finale, viene seppellito sotto piccole pietre comuni strappate al deserto. Il suo ritorno-disfacimento alla terra lo lascerà solo (la Donna Nana se ne andrà con il figlio per non tornare mai più), la sua tomba non è per ricordare-ammonire-significare, ma per essere sparpagliata al vento del deserto (anche il film si seppellisce, termina, proprio sotto quelle pietre, per lasciarci al buio). Prima però mille api volano, si posano sui quei sassi mortuari. Come se le pietre diventassero irresistibili fiori di campo, da succhiare inebriandosi. Come se, nonostante l'oblio, la sepoltura lasciasse migliaia di pistilli dolcissimi, miele alato da portare lontano.

LA CARTA DELLA RESURREZIONE
La resurrezione è un inganno. Nessun personaggio ritorna, nessun Cristo si sacrifica sapendo/volendo risorgere. Resta sempre il nulla, la morte è più potente, la sepoltura-cancellazione è l'unico rito possibile. Il Cavaliere Errante conosce la resurrezione, ma sempre per cancellazione di ciò che viene prima. Il Cavaliere Errante si annichilisce (attraverso l'abbandono-solitudine e la folgorazione di fronte ai Malformati) in Cristo Sofferente, il Cristo Sofferente (attraverso l'espiazione, il tempo che sfiora l'eternità, la contemplazione nelle profondità della Grotta dei Malformati) si dona in Clown. Ognuno ha il compito di svanire per sempre, e svanendo di partorire (con disperazione) la resurrezione incosciente. Solo schegge e rimasugli di sé risorgeranno nel nuovo corpo, ma non saranno più ricomponibili, rintracciabili, ascoltabili. L'incarnazione non porta (non può portare) mai i segni (carnali o spirituali) del corpo che lo ha germogliato, che lo ha visto e vissuto fino a quel momento. Esattamente come la farfalla non serba ricordo né segno alcuno della crisalide che l'ha schiusa. Il Clown è l'ultima incarnazione: avrà sacrificio, donerà vita, ma non potrà risorgere-annullarsi in un nuovo corpo. Il Clown è il momento ultimo, la farfalla con universi nelle ali, ma destinata a vivere un giorno solo.

I TAROCCHI DEL SAPERE

LA CARTA DELLA PEREGRINAZIONE
La peregrinazione è sentiero spirituale nel suo svolgersi casuale, è disfarsi senza inizio, è proclamazione del continuare ad abbandonarsi. La peregrinazione non sceglie: si è asse di legno in balia di onde troppo grandi. La peregrinazione dovrebbe essere la porta per il Graal, ma ciò che si raggiunge è sempre il posto da cui si proviene, e quindi il nulla. Lo sfondo non muta mai: il deserto porta al deserto, la roccia alla roccia, i muri bianchi ai muri bianchi. E intorno solo violenza, inganno, morte. Ciononostante la peregrinazione resta anche l'unico atto davvero vitale, consapevole, puro. L'immobilismo (come per il Villaggio del Borghese senza Volto) ristagna l'odore dell'insignificanza, incancrenisce anima e ricerca. La peregrinazione è pura ma non purificatrice. Il viaggio non spezza i lacci che ci tengono ancorati pesantemente a terra, ma ce li attorciglia ancora più stretti al collo, ai polsi, all'anima. Il Cavaliere Errante da Dio giustiziere e vendicativo (lo sterminio del Colonnello e dei suoi sgherri per liberare la Missione francescana e la Donna) precipita, attraverso la peregrinazione, ad Eroe sanguinario e crudele (i duelli con i Quattro Maestri). Quando i lacci intessuti dalla peregrinazione (che si attorciglia su se stessa con moto spiralizzato) si fanno troppo stretti, il Cavaliere Errante si annulla, ricorrendo alla reincarnazione. Tutto è un inganno disvelato, senso divelto, naufragio nell'orrore. Il Graal non lo si può raggiungere né con il trascorrere dei corpi (la reincarnazione), né con il trascorrere degli spazi (la peregrinazione).

LA CARTA DEL MAESTRO
I Maestri sono Quattro: il Maestro Cieco, il Maestro dalle Mani Divine, il Maestro dei Cento Conigli, il Maestro Eremita. Ognuno ha raggiunto, attraverso l'acciaio delle pallottole, la perfezione del gesto, la trasparenza della carne, l'esattezza del tempo. I Quattro Maestri sono il Graal, la reliquia spirituale da cui si vorrebbe bere per sfiorare la consapevolezza dell'essere, per ritrovarsi armonia e senso e cerchio rivelatore. Ma i Quattro Maestri non possono donare, illuminare, salvare. Sono il Graal che si può raggiungere ma non afferrare, per nutrirsi in un al di là del corpo. Tutti, infatti, sono circondati da un recinto che si supera senza fatica, ma al cui interno si può solo donare morte. La Torre Bianca del Maestro Cieco crollerà, l'Isola di Sabbia del Maestro dalle Mani Divine se la mangerà l'acqua, il recinto del Maestro dei Cento Conigli prenderà fuoco, e il Deserto senza Fine del Maestro Eremita (che è il recinto più bello) sparirà nel vento. Allo stesso modo il Duello (che dovrebbe permettere, tramite la morte sacrificale, l'avvento del mistero) non si rivela che inganno becero, che morte data alle spalle, che misero architettamento sanguinario. Il Cavaliere Errante sconfiggerà (sacrificherà) i Quattro Maestri, ma nessun mistero si disvelerà: solo la consapevolezza del proprio essere che, esangue, si sta sfibrando in una nuova immagine. Mentre i Quattro Maestri, mangiati dalla terra, hanno solo socchiuso il loro mistero, che sta in musica che legge l'anima e in figure diamantine di steli di legno che il nostro sguardo basterebbe a distruggere e in una rete per farfalle che ancora resiste al ferro delle pallottole.

LA CARTA DEL CRISTO SOFFERENTE
La vittoria-sconfitta del Cavaliere Errante sui Quattro Maestri non schiude misteri, ma punisce nel sacrificio-annullamento. Il Cavaliere Errante sta perdendo la sua immagine, un nuovo corpo (figura, ciclo) lo sosterrà. Stigmate formate da pallottole provano a purificare la carne insanguinata, la debolezza lo piega sulle ginocchia, sulla polvere, come in una preghiera forzata e forzosa. Sono i Malformati (ultimi nel corpo, abituati al buio, piagati nell'esistente) a sorreggere, salvare, accudire il Cavaliere Errante perché divenuti Cristo Sofferente. Nella loro Grotta senza luce il corpo-icona del Cristo Sofferente si cristallizza, paralizza il tempo tutt'intorno, attende. Le stigmate d'arma da fuoco si sono ricomposte, il corpo nudo sembra aver sorvolato meditazioni lontanissime, la vita si è fatta trasogno semi-inconscio. E l'infinito lo attenderebbe, se il bacio della Donna Nana non distruggesse dolcemente e in un attimo, quasi fosse stata solo carta sottile, l'icona raccolta del Cristo Sofferente, per riportarlo alla vita. Che è unghie che sanguinano contro la roccia, corpo pesante che sogna la luce, illusione che la fine della Grotta potrà essere la fine dell'orrore.

LA CARTA DEL CLOWN
Per Jodorowsky "i clown, proprio come le logiche non-aristoteliche, come i quadrati di carta, hanno la possibilità di mutare, sono capaci di deformarsi, di far da struttura, di avere un pensiero multiplo." Il Clown è l'illusione della salvazione, il Graal senza sapere di esserlo, l'euforia che libera dalle prigioni di sbarre d'acciaio, il dono di purezza (che Jodorowsky fa coincidere visivamente con il cinema delle origini) che verrà rifiutato, sputacchiato, irriso. I Malformati (l'illusione eterna del riscatto) lo seguiranno fuori dalla Grotta, per essere sterminati, il Borghese senza Volto (l'impossibilità atavica del riscatto) lo aiuterà attraverso l'umiliazione del lavoro, per non provare ad essere salvato. Il Clown è il giocoliere che fa intrecciare nell'aria frammenti di verità, il gesto incontaminato e ritmico di antichi cantastorie, l'epica in cui le gesta sono un piccolo bacio o una carezza. Ma l'orrore, che per un attimo aveva allargato le sue maglie intorno al Clown, come sospendendosi, ritorna ineluttabile, strappando in mille pezzi quelle magie trasparenti. Il Clown si annullerà (dopo l'Apocalisse di pallottole per trucidare il Borghese senza Volto) strappandosi la carne col fuoco, perché nessun segno del suo attraversamento debba restare. Il Clown vinto ritorna in sé, allaga la sua purezza di cenere da sperdere al vento, urla il fallimento in un impercettibile silenzio. Perché la miseria dell'uomo, nel suo rotolare sommesso nel tempo, non lascia dietro di sé ali colorate, ma solo fango impastato di frammenti di carne e pozzanghere di sangue in cui non si riflette il cielo.

Note:
(1) Cercare di riassumere la trama de El Topo è impresa ardua. Un misterioso pistolero (definito in seguito Cavaliere Errante, interpretato dallo stesso Jodorowsky) libera una missione francescana tenuta in ostaggio da un pericoloso bandito (che si fa chiamare il Colonnello) e la sua banda di sgherri. Dalla missione libera anche un'enigmatica donna, che decide di seguire il pistolero nelle sue peregrinazioni nel deserto. Su incitamento della donna il pistolero sfida a duello e uccide (con l'inganno) i Quattro Maestri del deserto, con l'illusione di acquistarne potere e gloria. Ma terminata l'impresa, la donna lo abbandona, fuggendo con un altrettanto misterioso personaggio (definito in seguito l'UomofattosiDonna) conosciuto durante il viaggio nel deserto. A questo punto la figura del pistolero scompare, e al suo posto, nella Grotta dei Malformati (in cui vengono forzatamente tenuti tutti gli storpi del villaggio) compare il personaggio in seguito definito Cristo Sofferente (sorta di santone contemplativo). Anche questa figura viene meno e lascia spazio ad un nuovo personaggio (in seguito definito Clown), che si assumerà il compito di liberare dalla Grotta i Malformati, per ricondurli al villaggio da dove sono stati cacciati. Ma ancora una volta è un fallimento: gli abitanti del villaggio, esseri sanguinari e malvagi (racchiusi nella figura collettiva in seguito definita Borghese senza Volto), sterminano i Malformati a colpi di fucile appena questi entrano nel villaggio. Al Clown (dopo aver sterminato a sua volta tutti gli abitanti) non resta che morire, dandosi fuoco. Resterà solo la Donna Nana, che, con in braccio il frutto del suo amore con il Clown, si avvia verso l'orizzonte.

 


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