L'ultima tempesta - Peter Greenaway PDF 
di Lorenzo De Nicola   

Il cinema ha sempre saccheggiato volentieri la produzione di Shakespeare per trarne adattamenti dagli esiti non sempre felici. Di certo le opere del drammaturgo inglese oltre ad assicurare un successo d'incassi, rappresentano vere e proprie sfide per chi vi si avvicini e, soprattutto, per coloro che intendono fornire una propria interpretazione. Ed è una sfida in piena regola quella che lancia Greenaway con la personale messa in scena de La tempesta.

L'ex-pittore, sempre attento a far confluire nei suoi film tutte le forme artistiche, anche in questo caso non delude. Se da un lato utilizza una struttura prettamente teatrale che influenza lo svolgimento narrativo, legandolo al testo attraverso l'inserimento di stralci dell'opera (la visualizzazione della scrittura è una delle costanti del suo cinema), dall'altro affetta anche lo spazio dominato e imprigionato nella costruzione di scenografie indagate e penetrate da una macchina da presa i cui movimenti sono affidati a lunghe carrellate. Ma non bisogna lasciarsi trarre in inganno. Molti di questi set sono stati realizzati con strutture mobili (creando un effetto non molto diverso da quello di un disegno di Escher), in modo da agevolare lunghi piani sequenza, che così si trasformano in vere e proprie esperienza conoscitive e informative.

E insieme alla cinepresa si muovono centinaia di comparse (quelle che si vedono nel primo piano sequenza rappresentano cento personaggi storici e mitologici, le cui vicende hanno avuto un rapporto con l'acqua). Ma, affinchè la fluidità sia completa, queste danzano, a volte seguendo dei tappeti sonori, altre volte liberamente, come nel caso del dinoccolato Calibano ("Da molto tempo pensavo che Calibano dovesse essere un danzatore, ancor prima di scegliere Michael Clark per incarnarlo. Se si guardano tutti i disegni, le tavole, le immagini che rappresentano Calibano, si può constatare come sia sempre differente, cosa che ci lasciava liberi di immaginarlo come volevamo").

Ma se teatro, danza, musica, scenografie "esplosive" e virtuosi movimenti di macchina potrebbero già essere sufficienti a creare una dimensione onirica e trascendente, il regista non si accontenta e va oltre. Così (ri)costruisce il film attraverso un elaboratissimo lavoro di post-produzione. Dissolvenze incrociate di più immagini, multiple screening e animazioni computerizzate (che danno vita alle illustrazioni dei ventiquattro libri di Prospero) trasformano ogni singola immagine in un oggetto plurisignificante. L'inquadratura non è più una singola parola dotata di senso, ma contiene in sè un'intera frase, coadiuvata anche dal tripudio di citazioni che domina ognuna di queste.

Ma Greenaway non veste i panni del prestigiatore ("Ho potuto giocare con la tecnologia. Mi sono sentito Méliès e George Lucas insieme") solo per mettere in gioco un cinema in cui egli inconsciamente non crede. Al contrario vuole smascherare il meccanismo cinematografico inteso come creatore di sogni e visioni fittizie. E per fare questo segue un procedimento che, invece di annullare l'artificio per mostrare le nude strutture che lo sottendono, lo sfrutta per creare un sovraccarico percettivo e visivo che si autodenuncia durante il suo svolgimento.

Non è un caso che la festa di nozze tra Miranda e Ferdinando, uno dei momenti più visionari del film, venga praticamente interrotta al suo apice da Prospero/Greenaway per avvertire lo spettatore del valore effimero della rappresentazione a cui sta assistendo.

E' evidente come L'ultima tempesta generi un complesso narrativo-linguistico che, a stento, si afferra ad una prima lettura. Quella di Greenaway è un'esplicita provocazione intellettuale volta a costruire un nuovo linguaggio, che principia dalla sintesi di tutti gli altri linguaggi. Una operazione che ha spaccato la critica a metà, nella quale il regista si serve di tutti gli "spiriti" della comunicazione per creare quest'isola che, indubbiamente, costituisce un'esperienza visiva e formale senza precedenti.

Se infatti il 90% del film è stato girato nel tradizionale formato cinematografico (il 35 mm), le animazioni tridimensionali delle figure contenute nei libri sono realizzate con le sofisticate tecnologie dell'alta definizione, in grado di produrre immagini di ottima risoluzione nel formato 16/9 e con un elevato numero di pixel, cioè di unità minime di informazione visiva.
Le immagini digitali così ottenute sono state poi modificate utilizzando gli effetti grafici e cromatici del Paintbox della Quantel, uno strumento che permette con una "paletta" elettronica di animare, sovrapporre, mischiare e scomporre le figure in 17 milioni di colori differenti, metodologie comunemente usate nella realizzazione di videoclip o spot pubblicitari.

(De Gaetano - "Il cinema di Peter Greenaway" - Lindau)

 


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