Prodotto nel 2010, Blue Valentine di Derek Cianfrance è apparso sui grandi schermi del nostro paese solo nei giorni dell'ultimo San Valentino, dopo essere stato in questi tre anni un piccolo oggetto di culto per una frangia di cinefili abituati a navigare anche oltre gli orizzonti della nostra distribuzione. Il film fu decisivo per la carriera di due interpreti di primo piano della nuova generazione di attori hollywoodiani, entrambi arrivati al traguardo dei trent'anni proprio in quell'annata: ha infatti confermato il talento di Michelle Williams, già celebre grazie a Dawson's Creek, e che aveva già dato prova della sua versatilità lavorando per registi come Wim Wenders e Ang Lee, e ha definitivamente lanciato Ryan Gosling, da quel momento in poi una delle punte di diamante dello star system di questi primi anni dieci (sia come talento che come sex symbol). Il film, infatti, è totalmente sulle loro spalle e i pochi altri personaggi presenti hanno un ruolo marginale e strumentale. L’efficacia interpretativa dei due divi in erba assume quindi un valore assoluto; semmai, come vedremo, sono alcuni elementi filmici a poter essere considerati come effettivi co-protagonisti, in particolare la fotografia e la colonna sonora.
A essere raccontata è una storia comunissima e quotidiana, a forte rischio banalità, ma che, proprio a causa della sua ineluttabile frequenza, costringe inevitabilmente le grandi narrazioni ad affrontarla continuamente, sfidandole a non cadere nel già visto: l’implosione di un amore, lo strappo di un legame negli anni fattosi sempre più debole e sfilacciato. Michelle e Ryan sono una coppia in crisi, con lei che non prova più nulla e lui che si crogiola in una quotidianità senza sbocchi, che nel giro di pochi giorni finisce per arrendersi all'inevitabile necessità di separarsi. Ai giorni della fine si alternano quelli felici dell'inizio, in un continuo salto temporale che costituisce una costante contrapposizione, anche per i diversi significati e le opposte atmosfere con cui sono rappresentati gli stessi gesti e le stesse azioni: a partire dalle scene di sesso. Disperata e malinconica quella della fine, resa quasi irreale dal blu di una pacchiana camera futuristica in un motel ad ore dove si è cercato di riaccendere la fiammella dell'amore: raramente come in questo caso il sesso ha assunto un così efficace valore metaforico della fine della magia di una relazione e dello smarrimento degli affetti, sostenuto anche dall’improvvisa interruzione della colonna sonora, con la canzone simbolo del loro amore che si interrompe bruscamente proprio all’inizio del rapporto.
Il continuo salto passato-presente è reso con grande naturalezza, senza lasciare il sapore di artificiosità narrativa, ma lasciando anzi la sensazione che il passaggio dalla gioia dell’inizio al dolore della fine sia inevitabilmente nell’ordine delle cose, come un risultato logico di un processo che non può lasciare scampo. Così come sono nell’ordine delle cose i sogni abbandonati, i lavori non amati e i talenti dimenticati nel cassetto, decisivi nel far scoccare l’amore all’inizio, e la cui sparizione è altrettanto importante nel decretare la sua fine. Ci troviamo di fronte ad un iperrealismo dei sentimenti, parallelo all’iperrealismo stilistico: la macchina da presa, spesso a mano, pedina i due protagonisti, concedendo molto spazio ai loro primi piani, isolandoli così dal contesto o, più precisamente, rendendo il contesto strumentale alle loro emozioni e alla caduta del loro rapporto. Da questo punto di vista, importante risultano le scelte della fotografia, sempre realista e poco lucida, ma dominata dalle sfumature grigie e più monocolore nei giorni della crisi, e invece dominata dalle tonalità più calde e più variegate nei giorni della felicità di inizio innamoramento. La fotografia diventa così lo strumento più partecipe della storia raccontata, tanto da costituire in un certo senso l’unico altro reale personaggio del film. La stessa cosa si può dire della colonna sonora, significativa e significante, e in cui le medesime canzoni e musiche assumono significati e creano atmosfere quasi opposte a seconda del momento in cui sono ascoltate.
Blue Valentine merita senza dubbio lo status di culto (pur non essendo quel capolavoro esaltato da alcuni) che ha assunto in questi anni in certe frange di cinefili. È un peccato che, nel nostro paese, sia stato condannato da scelte distributive non felici a essere un successo di nicchia, non solo e tanto per il fatto di essere stato lanciato sul mercato dopo tre anni, quando buona parte di chi sarebbe andato a vederlo l’aveva in un modo o nell’altro già visto, quanto per il fatto che sia stato fatto uscire senza il minimo sostegno pubblicitario che andasse oltre il passaparola di chi lo aveva amato.
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