Nella casa PDF 
Elisa Mandelli   

Germain, scrittore mancato, insegna letteratura in un liceo di provincia. Uno studente, Claude, racconta in un tema di come abbia fatto amicizia con il suo compagno Rapha solo per entrare nella sua casa, una bella villetta borghese, e conoscere la sua famiglia apparentemente perfetta. Catturato dal talento narrativo del ragazzo e incuriosito dal finale aperto della sua storia (le cui successive puntate appassionano sempre più lui e la moglie), Germain lo incontra dopo la scuola per aiutarlo ad affinare le sue tecniche di scrittura, incoraggiandolo a tornare nella casa per trovare ispirazione. A contatto con il coetaneo Rapha e il padre dallo stesso nome, frustrato dal lavoro ma sempre presente per il figlio, e con la madre Esther, attraente casalinga annoiata da tutto fuorché dall’arredamento di interni, la fantasia del ragazzo intesse una narrazione dai risvolti imprevedibili, mentre il confine con la realtà si fa via via più labile, fino a divenire indistinguibile.

Ozon si ispira liberamente alla pièce teatrale El chico de la última fila di Juan Mayorga per mettere in scena una vicenda che riflette sull’atto stesso della creazione, sul talento e sulla frustrazione della sua assenza, sul delicato equilibrio tra verità e finzione su cui sta in bilico ogni (buona) storia. E mentre la narrazione di Claude si dispiega con l’andamento sempre più serrato di un thriller (alleggerito però dai toni della commedia), è come se il ritmo della narrazione filmica si modellasse su quello del processo creativo colto nel suo farsi, con le sue spinte in avanti e le sue impasses, le sue svolte improvvise e i suoi ripensamenti. Al punto che è il racconto nel racconto (Claude e la famiglia di Rapha) a scandire in modo sempre più evidente l’andamento di quello principale (Germaine e Claude, Germaine e la moglie), erodendo via via, fino a metterla definitivamente alla berlina, la vana presunzione del professore di poter controllare le doti del ragazzo, di trovare nel proprio ruolo di pigmalione una sorta di rivincita per le proprie aspirazioni deluse. E nello stesso tempo parlandoci di noi stessi in quanto spettatori, mettendoci di fronte la nostra malcelata dipendenza dalle storie (vere o di finzione) degli altri, il nostro essere in balìa di quei puntini di sospensione che ci promettono un piacere sempre nuovo e senza conclusione definitiva, in un percorso che dal feuilleton ottocentesco arriva senza soluzione di continuità alla serialità contemporanea, passando per finestre sul cortile di hitchcockiana memoria.

Nell’esplorare i meccanismi del racconto in bilico tra cinema e letteratura - o piuttosto nel loro punto di intersezione -, Ozon ci trascina in una girandola di citazioni più o meno esplicite che intreccia con intelligente ironia Flaubert e Pasolini, Celine e Woody Allen, La Fontaine e Rohmer, senza esimersi dal volgere uno sguardo sarcastico alle derive concettuali dell’arte contemporanea. Ne deriva una pellicola originale e intrigante, in cui la tensione verso l’astrazione metalinguistica e autoriflessiva è bilanciata da una struttura drammaturgica avvincente e ben oliata. Proprio nel mostrare la corda dei meccanismi narrativi, Ozon riesce a rilanciarne tutto il fascino.

 


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