L'uomo che non c'era PDF 
di Cinzia Chiaron   

Il semplice guardare cambia il fatto. Più guardi meno conosci, quindi non ha senso chiedersi cosa è successo. Da una parte la logica, dall'altra il fatto. Impossibile ricostruire la vicenda limitandosi a cercare la logica nei pochi dettagli che ci sono mostrati. Questa è la spiegazione del principio di indeterminazione, e la linea di difesa che decide di tenere l'avvocato-showman, Freddy Riedenschneider, assunto da Crane per difendere la moglie dall'accusa di omicidio. Il tribunale, per eccellenza il luogo deputato alla ricostruzione obiettiva dei fatti, diventa parte della messa in scena della commedia umana. Impossibile tentare di raggiungere l'obiettività interpretando e sbrogliando la matassa dai brandelli, dai dettagli che compongono ogni storia, reale o di finzione che sia. Questo il pensiero che sembra emergere dall'ultimo film dei fratelli Coen, The Man Who Wasn't There — premio della giuria nel 2001 a Cannes, ex-aequo con Mulholland Drive di David Linch.

Un'incursione nel noir degli anni quaranta e nelle storie di James M. Cain, come, ad esempio, Il postino suona sempre due volte o La fiamma del peccato. Ma anche un ulteriore tassello nel discorso estetico portato avanti dai due fratelli del Minnesota sulla fatalità della vita, sul destino dell'uomo medio di provincia. Il caso, nel cinema dei Coen, va per conto proprio e rotola sul mondo come un disco volante — il narratore di turno. È a lui che dobbiamo rivolgerci; ed è ad un'astronave che Crane, poco prima di essere giustiziato, rivolge il suo ultimo sguardo, mentre questo si allontana dalla Terra. Forse più che altrove, protagonista di questa storia è la presenza invisibile di un burattinaio, che dirige i fili dell'uomo comune. Come afferma lo stesso Crane: "La vita mi aveva servito delle mani perdenti, o io non avevo saputo giocarle".

Nella continuità stilistica che lega quest'ultimo film ai precedenti si apre una falda nella costruzione del personaggio. Infatti, a differenza, ad esempio, del precedente Fratello dove sei? (O Brother, Where Art Thou?, 2000), i Coen costruiscono il personaggio per sottrazione. Non più accumulo di dettagli, di tic che giungano a delineare l'esuberanza dei caratteri, la vitalità che ne connota l'essenza perennemente in movimento.

Il protagonista è un uomo senza qualità, che si confonde con le piastrelle del negozio di barbiere dove lavora; un personaggio che "fa tappezzeria". È lo stesso Billy Bob Thornton, Ed Crane nel film, a descrivere in un'intervista la difficolta ad interpretare un personaggio che non muove una mano quando parla, che non si agita, imperturbabile. Gli unici gesti che compie sono quelli di tagliare i capelli e fumare una sigaretta dopo l'altra. Gesti che contribuiscono a determinare quel senso di ciclicità temporale su cui insiste il film. Dove tempo reale e tempo irreale, tempo esteriore e tempo interiore continuamente si confondono, si intersecano, si contengono, diventando la rappresentazione del grado di falsificazione della realtà operato dai registi. Come è bene evidente, ad esempio, nella scena dell'incursione di Ed Crane in quella sorta di altrove dove ritrova la moglie, una villa, la provincia americana e gli squallidi personaggi che circondano l'universo coeniano prima del risveglio in quello che sarebbe dovuto essere il mondo reale. Quello che vediamo è un universo narrativo, né più né meno. Il paradiso dove Crane finisce per un momento è il racconto, o un altro racconto in cui sono contenuti personaggi usciti di scena e possibili combinazioni narrative di là da compiersi, che si muovono e interagiscono in attesa di entrare nell'universo della narrazione e di essere attualizzate o alla fine della loro partecipazione alle vicende.

Finzione nella finzione, come in una scatola cinese, l'uomo comune non gode più dell'illusione del libero arbitrio, nemmeno in una situazione limite come quella dell'omicidio, se subito dopo aver tolto la vita ad un uomo, incredulo di ciò che ha fatto, Ed si osserva le mani come se non fossero parte di sé.
Una presenza aliena che elimina ogni possibilità di scegliere, di cambiare un'esistenza incolore.

La scelta monocromatica, allora, non è dettata esclusivamente dal desiderio di seguire i canoni del noir più classico, ma è giustificata dal fatto che assistiamo alla storia di qualcuno che è trascorso sulla terra come un fantasma, un uomo che cammina fra la gente senza essere visto. È l'ammissione della soggettività dello sguardo — un po' come la successione all'indietro delle sequenze è il tentativo del tutto soggettivo di ricostruire e dare veridicità alla propria versione dei fatti accaduti nell'originalissimo Memento (2000) di G.Nolan.
È lo sguardo di un uomo che custodisce un segreto: ha compreso il disegno generale della (sua) vita, e come dice egli stesso: "guardare da lontano quel labirinto pieno di svolte, trabocchetti che conducono ad altrettanti vicoli ciechi, ti procura un senso di pace".

Anche il tentativo fallito di dare una svolta alla propria vita, un'esistenza di non-scelte trascorsa ad ascoltare le parole leggere delle persone che lo circondano, assume ora il giusto senso.
Come per tutti i personaggi dei Coen, il suo piano è destinato al fallimento, la sproporzione tra progetto e risultato è enorme. Con una differenza, però, rispetto al passato: questa sproporzione è sempre stata uno dei meccanismi comici più amati dai Coen, che lavorano da sempre sulla figura dello "stupido", mai innalzandolo alla condizione tragica del drammatico, sempre riducendolo a cosa tra le altre cose della Terra.
Ora lo "stupido" dimostra di aver acquisito quella matura consapevolezza sull'esistenza che gli consente di raggiungere uno speciale stato interiore di atarassia, e che permetterà a Ed Crane di ricongiungersi alla moglie là dove potrà finalmente dirle tutte le cose che qui, su questa Terra, non hanno parole.

 


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