Killer Joe PDF 
Marco Doddis   

Un lustro dopo la sua ultima fatica, Bug, William Friedkin torna dietro la macchina da presa con un’opera spiazzante, che conferma, qualora ce ne fosse bisogno, quanto Hollywood abbia ancora un profondo bisogno della sua vecchia guardia. Presentata nel corso della penultima edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, Killer Joe è una pellicola forte, girata con la classe propria del vecchio maestro, e capace forse di scrivere un capitolo importante nell’evoluzione del noir americano. Stupisce, invero, che un film così accattivante, con almeno un paio di attori di richiamo e per nulla riservato a palati fini, abbia ottenuto in Italia una distribuzione così tardiva e ridotta: poco tempo, poche sale e la prospettiva di diventare un piccolo cult da home-video.

Killer Joe Cooper è un poliziotto che, per arrotondare, si dedica agli omicidi a pagamento. Assoldarlo non costa poi così tanto (25000 dollari), e lui è in grado di garantire un servizio efficiente e rapido al committente di turno. Sorta di cowboy post litteram, il nostro (anti)eroe incappa in una scombinata famiglia texana composta da - è proprio il caso di dirlo - uomini che odiano le donne. Chris (il sempre più maturo Emile Hirsch) e il padre (un irresistibile Thomas Haden Church) tramano di uccidere la donna che è madre dell’uno ed ex moglie dell’altro, per - solido refrain tipico del genere - intascare i soldi dell’assicurazione, darne una parte al “buon” Joe e usare gli altri per tirarsi fuori dalle rispettive vite di stenti e di debiti. Vista l’impeccabilità del sicario, sembra trattarsi di un progetto facile facile. Tuttavia, i due scalcinati mandanti non hanno tenuto conto di un piccolo particolare: Killer Joe non è un imprenditore italiano abituato a essere pagato a 60, 90 e più giorni; anzi, egli pretende di sistemare in anticipo la questione economica o, quantomeno, di ricevere un adeguato deposito cauzionale. Per questo, non essendo, nonostante le apparenze, un cavaliere d’antan, pretende il prestito del corpo della conturbante Dottie, sorella poco cresciuta di Chris. Sebbene l'omicidio venga compiuto con puntualità, non tutto fila per il verso giusto: i creditori di Chris, l'amante della defunta e una improbabile promessa di matrimonio tra Dottie e Joe Cooper fanno letteralmente saltare il banco della storia.

Tratto da una pièce teatrale del Premio Pulitzer Tracy Letts, il film di Friedkin si presenta come un brillante condensato di humour nero, ribaltamenti parodistici e vera disperazione. Il tutto è mantenuto legato da una brillantissima sceneggiatura, in cui si adagiano dei dialoghi a tratti memorabili, e viene fotografato, nei suoi colori più vividi, dall'esperta macchina da presa di Caleb Deschanel. La storia, come detto, non stupisce per originalità: di assassinii su commissione e di premi assicurativi sono infatti piene le fosse. E neppure il tono, sospeso tra la parodia, il pulp e il grottesco, si segnala come qualcosa di mai visto. Piuttosto, a meravigliare, è la freschezza, l'assoluta disinvoltura con cui il regista americano si impadronisce di un modo di fare cinema del tutto contemporaneo (parafrasando il Poeta: c'è qualcosa di Tarantiniano nell'aria, anzi di Coeniano) e ne esplori le risorse attraverso la propria, particolarissima lente di ingrandimento. Come si fa a non pensare che il Nostro non intenda aggiornare la propria presenza nei libri di cinema? Se, fino a oggi, il suo cognome era sinonimo di originalità nel modo di filmare inseguimenti ed esorcismi, oggi lo si può accostare alla rappresentazione, per esempio, del cowboy postmoderno o dell'atto sessuale parossisticamente degradato. Nel Texas di Killer Joe vige la legge di un cavaliere strampalato, in cui si incrociano movenze alla Eastwood e monologhi alla Jarmusch (davvero assurdo, per esempio, un soliloquio in cui Joe ricorda i momenti lieti della pesca in Oklahoma durante l'infanzia). Non solo. Il Nostro, sguazzando nel fascino (in)discreto di una working-class americana sempre più alla deriva (ecco saziati anche gli appetiti di chi, un po' ingenuamente, cerca solo l'apologo sociale), squarcia i residui veli di ipocrisia, svezzando a suo modo una vergine complessata e inscenando un incredibile rapporto orale con la matrigna di Chris. Nel finale, la donna viene infatti costretta con violenza a erotizzare una zampa di pollo davanti alla famiglia al completo. È questa, senza dubbio, la scena più cruda e memorabile di tutta la pellicola, sia perchè rappresenta il climax del processo narrativo sia per le scelte registiche effettuate.

E noi? Come ci comportiamo noi spettatori dinanzi alla visione di una pellicola del genere, in cui sono messi in scena sentimenti perversi, pestaggi e omicidi? Beh, noi, per buona parte della durata del film, sghignazziamo e basta. Si tratta di sorrisetti sempre mascherati, e forse ce ne vergogniamo anche un po'. Dopotutto, il "gioco" qui è molto meno esplicito di quello che potrebbe ritrovarsi in un'opera, per esempio, di Tarantino. Eppure, ridiamo. E su questo, certamente, Friedkin ci invita a riflettere. Siamo forse diventati troppo cinici? Siamo forse come il cane della nostra famiglia texana, lasciato precauzionalmente fuori ma ben consapevole di quanto accade all'interno? Le nostre risate sono come i suoi latrati: pazze, irrazionali. Ci serve il profilo tremendo e austero del killer per zittirci. Lui, la bestia, smette di abbaiare e contempla spaventato l'assassino. Noi smettiamo di ridere e contempliamo ammirati un attore straordinario. Già, perchè, tra le altre cose, questo Killer Joe è "solo" il miglior Matthew McConaughey che si sia mai visto. Anche per questo, grazie Friedkin!  

Titolo originale: Killer Joe; Regia: William Friedkin; Sceneggiatura: Tracy Letts; Fotografia: Caleb Deschanel; Montaggio: Darrin Navarro; Scenografia: Franco-Giacomo Carbone; Costumi: Peggy A. Schnitzer; Musiche: Tyler Bates; Produzione: Voltage Pictures, Picture Perfect (I), Worldview Entertainment, ANA Media; Distribuzione: Bolero Film; Durata: 102 min.; Origine: USA, 2011

 


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