Taxi to the Dark Side PDF 
Tiziano Colombi   

Svanito l’effetto Michael Moore i documentari tornano nelle piccole sale, per di più proposti con colpevole ritardo. È il caso di Taxi to the Dark Side del regista Alex Gibney, già autore di Enron. L’economia della truffa (2005), racconto di uno dei più grandi scandali finanziari americani. Film che avrebbe dovuto fungere da monito per quanti rimangono, oggi, sconvolti dal cataclisma finanziario in atto. Per restare in tema, se qualcuno avesse dubbi sullo scenario futuro, nel malaugurato caso in cui i nostri governanti non si decidessero a dare una svolta legalitaria alla gestione economica degli stati occidentali, è consigliata la visione di un altro documentario di analisi, titolo The Take. La Presa (2004), autori Avi Lewis e Naomi Klein.

Taxi to the Dark Side è stato premiato al Tribeca Film Festival di New York e ha vinto un Oscar. Nessuna di questi attestati è però bastato a evitare alla pellicola il depotenziamento dovuto alla pervicacia della cronaca. “L’informazione non sopravvive al momento in cui era nuova” sosteneva Walter Benjamin, figurarsi le immagini. I cittadini hanno già avuto modo di assumere il ruolo di spettatori (televisivi) delle efferatezze compiute dai militari americani nelle prigioni di Abu Ghraib e Guantanamo. Per quanto concerne il secondo caso si può fare riferimento al film di Michael Winterbottom Road to Guantanamo (2006). Gibney, dunque, perde il treno della denuncia a sangue freddo. Il suo film parla a un pubblico educato preventivamente, impegnato, nel migliore dei casi, a interrogarsi sulle decisioni prese dall’amministrazione Obama riguardo la pubblicazione dei “memo” segreti della CIA, la chiusura di Guantanamo bocciata dal Senato e le scorribande televisive dell’ex vicepresidente Cheney impegnato a difendere il suo operato e quello di Bush jr. Certo il lavoro di Gibney ha il merito di portare alla luce dati interessanti: i primi episodi di tortura riscontrati nella prigione afgana di Bagram, base operativa nella quale verranno reclutati alcuni dei soldati di Abu Ghraib, l’altissima percentuale (circa l’80%) di detenuti venduta agli americani da delatori più o meno affidabili in cambio di denaro, l’intrico giuridico messo in piedi dai consiglieri legali di Bush per evitare al Presidente e agli alti comandi militari qualsiasi tipo di incriminazione, le leggi varate ex post, gli studi fatti in Canada da scienziati comportamentali sulle privazioni sensoriali capaci di distruggere la mente di un uomo in meno di quarantotto ore una miriade di particolari più o meno efferati che finiscono però per perdersi lungo le due ore della proiezione.

L’effetto per lo spettatore è certo disturbante ma finisce col diventare indignata alienazione. Redacted (2007) di Brian De palma, altro film rimasto per lungo tempo lontano dalle sale, risentiva del medesimo difetto. Anche in quel caso il materiale assemblato dal regista era di seconda mano, eppure l’operazione messa in piedi dall’autore de Gli intoccabili (1987) tentava la scossa sentimentale della denuncia. Gibney e De Palma credono nella possibilità del cinema di stimolare una riflessione differita, una moviola dello sdegno che alimenti la ribellione dei cittadini. Il punto è capire se riorganizzare immagini che tutti hanno già abbondantemente visto e (purtroppo) metabolizzato nell’incessante flusso televisivo e telematico sia utile a tale scopo. Il presente non sembra fornire indicazioni positive. L’overdose di immagini di cui è vittima lo spettatore non trova rimedio in film come Taxi to the Dark Side i quali, piuttosto, assumono la valenza di documentari storici girati nel presente. Un ossimoro visivo, i cui effetti, forse, sarebbero reali se mostrati al pubblico degli sconfitti. Alle genti irachene e afgane che certamente hanno bisogno di vedere per raccontare la loro sofferenza, per fissare nelle menti dei sopravvissuti le immagini simbolo dei loro martiri uccisi dal nemico. E qui viene il bello. Quanti registi sarebbero disposti a regalare le loro opere alla causa di quelli che oggi sono i nostri avversari? Quali sarebbero le conseguenze? Con tutta probabilità verrebbero tacciati di terrorismo cinematografico al pari dei combattenti che mostrano al mondo lo sgozzamento di un occidentale ripreso senza stacchi con una piccola telecamera digitale.

In guerra c’è sempre una metà oscura e oscurata. Nessuna delle decine di immagini laceranti dei bombardamenti su Dresda durante la Seconda Guerra Mondiale è mai diventata emblema dell’antimilitarismo e della pace come fu per le foto del massacro di May Lai. Perché? Per il semplice motivo che i morti non sono tutti uguali, come d’altronde non lo sono i feriti e i vivi. L’Occidente pretende il monopolio della giustizia, si muore perché giustamente puniti nelle guerre contro il “primo” mondo. “Non possiamo trasmettere da Falluja perché ne siamo stati cacciati” ripetevano i reporter di Al Jazeera durante l’offensiva americana in Iraq. Chi subisce la distruzione non ha la facoltà di mostrarla a sé a gli altri. Produciamo arnesi visivi raccontandoci la frottola della denuncia quando in realtà assomigliano a sedute di terapia a colori. Servono a scacciare l’idea di aver avvallato, con la nostra indifferenza e disattenzione, comportamenti allucinati come quelli di Abu Ghraib e Guantanamo. Abbiamo paura di quello che potrebbe accaderci come di ciò che siamo capaci di infliggere agli altri.

Tenendo buona questa prospettiva, la visione di un film come Taxi to the Dark Side potrebbe tornare utile tra qualche tempo, quando saremo in procinto di combattere un’altra guerra. Gibney e gli altri autori stanno girando un nuovo genere di film, realizzati inseguendo la cronaca e destinati agli scaffali degli archivi storici del Primo e, se avremo coraggio, del Terzo mondo. Le telecamere riprendono quanto è già stato visto per rivederlo nel futuro. Psicovisioni della rimembranza.

TITOLO ORIGINALE: Taxi to the Dark Side; REGIA: Alex Gibney; SCENEGGIATURA: Alex Gibney; FOTOGRAFIA: Maryse Alberti; MONTAGGIO: Sloane Klevin; MUSICA: Ivor Guest; PRODUZIONE: USA; ANNO: 2007; DURATA: 105 min.

 


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