L'uomo nero PDF 
Sabrina Colangeli   

A vent’anni di distanza dal film d’esordio, La stazione, Sergio Rubini torna alle sue origini, in un ideale percorso di presa di coscienza e maturità, che sembra essere la via migliore per esprimersi completamente e con sincerità: L’uomo nero appare, così, un’opera sentita e in qualche modo amata, frutto di un gran lavoro di squadra e di un ambiente stimolante e sereno.

Rubini è uno che ci sa fare con gli attori, grazie anche alla sua personale esperienza nel campo della recitazione, e il risultato si vede, sullo schermo e fuori, nei volti e nelle parole di chi partecipa ai suoi sempre interessanti, seppur talvolta criticabili (ma non è questo il caso), progetti. Il protagonista della pellicola, interpretato dallo stesso regista, è un uomo che di mestiere fa il capostazione, ma che ha un sogno nel cassetto: fare il pittore alla maniera di Cezanne. Tutto ruota, quindi, attorno ai suoi tentativi per essere riconosciuto ed apprezzato come artista, in un piccolo paesino dove è difficile superare i confini imposti, e nonostante spesso questo comporti delle mancanze come padre e come marito. A sostenerlo, criticarlo ed ispirarlo, la moglie (Valeria Golino), una donna antica e moderna allo stesso tempo, importante figura di riferimento e anello di congiunzione tra i componenti della famiglia. È infatti a lei che spesso si affidano il figlio Gabriele (Guido Giaquinto), un bambino sveglio e vivace, e il fratello, “farfallone” ma buono, Pinuccio (un simpatico Riccardo Scamarcio). Sviluppata come un lungo flashback, la storia parte dal ritorno di Gabriele, ormai adulto ed affermato (un intenso Fabrizio Gifuni), nel paese natale per l’ultimo saluto al genitore morente: solo in quel momento si renderà conto dell’estremo coraggio e della determinazione di quell’uomo che lo ha cresciuto ed amato, portando dentro di sé un segreto per tanti anni. Il punto di vista infantile ci conduce nella vita dei personaggi e nelle varie situazioni, trasformandoli spesso in apparizioni che sembrano uscite direttamente dalla penna di Collodi. L’incantevole colonna sonora, opera di Nicola Piovani, svolge meravigliosamente il compito di accompagnamento, amplificando quella specie di magia che regna tra i vicoli e nelle piazze della cittadina impeccabilmente ricostruita.

Rubini riesce a cogliere e donare emozioni semplici ed intime, con una pellicola vicina al cinema del passato, riprendendo quell’idea di “terra” già apprezzata nel suo precedente lavoro (La terra appunto) e strettamente connessa con l’arte e le sue sfumature (bellissima, a questo proposito, la scena in cui, guardando fuori dal finestrino del treno, i colori della natura sembrano mischiarsi). Ad aiutarlo nell’impresa un gran bel cast, dove oltre ai già affermati e bravissimi Golino e Scamarcio, esplode la promessa Giaquinto, ritratto perfetto del piccolo Gabriele, e i due compari che mettono in tutti i modi i bastoni tra le ruote al protagonista, Vito Signorile e Maurizio Micheli, magnifiche incarnazioni de “il gatto & la volpe”. L’ultima osservazione va alla non comune ed interessante abilità del regista di utilizzare e mostrare il cinema come strumento di unione tra dialetti (e quindi popoli) di diverse origini.

 


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