Il nuovo film di Gus Van Sant avrebbe dovuto essere l’esordio alla regia di Matt Damon, che poi ha rinunciato per precedenti impegni. Promised Land resta comunque in gran parte una creatura dell’attore, che insieme al collega John Krasinski, ha scritto la sceneggiatura, l’ha interpretato e prodotto. Il risultato è un’opera piena di mestiere e ideali politicamente corretti, in cui mancano però i guizzi sorprendenti del Van Sant migliore (quello di Elephant e Paranoid Park ma anche del piccolo e splendido Restless).
La sceneggiatura è un esempio perfetto di scrittura “da manuale”: protagonisti forti e ben caratterizzati, trama appassionante, colpi di scena, conflitti tra i personaggi, dialoghi brillanti. Steve Butler è l’abile agente di vendita di una grossa compagnia energetica incaricato di convincere gli abitanti di una piccola comunità rurale della Pennsylvania ad acquisire i diritti di estrazione del gas naturale dalle loro proprietà. Il tema è controverso, mette in gioco valori individuali e collettivi e permette una drammatizzazione efficace. Per gli agricoltori della zona accettare l’offerta significa salvarsi dal declino economico, ma anche esporre se stessi e la terra a rischi potenziali molto alti. Steve parla il loro stesso linguaggio perché proviene da una famiglia di agricoltori e il suo conflitto interiore, attraverso il confronto con alcuni gentili ma inamovibili cittadini, con la maestra Alice e con lo scaltro attivista ambientalista Dustin Noble, lo porterà a rivedere totalmente le sue convinzioni, la sua professione e la sua vita. L’abilità della coppia di attori-sceneggiatori è innegabile. Ogni scena è strutturata come se fosse una partita di poker tra i personaggi che si scrutano, si sfidano, mentono, rilanciano, vincono e perdono. In un gioco di mosse e contromosse, Steve cerca di vendere ai cittadini un futuro migliore, minimizzando i rischi della posta in gioco. E nello stesso tempo vende ai suoi capi la certezza di riuscire nella sua impresa. È un uomo abituato a rilanciare, nel lavoro come al pub (nella scena della scommessa alcolica con la barista). La sfida tra progresso e ecologia vede Steve scontrarsi con i personaggi del giovane attivista Dustin e del vecchio professor Yates. Il primo porta avanti il lato agguerrito della lotta ambientalista e nel colpo di scena risolutivo farà passare Steve dalla condizione di bluffatore a quella di bluffato. Il vecchio professore, fermo nel suo sincero buon senso, rispecchia il lato non politicizzato dell’ambientalismo, fatto non di slogan e bandiere ma di un sentimento profondo di vicinanza alla terra e contribuirà al radicale cambiamento del personaggio di Steve. La sfida diventa schermaglia negli arguti dialoghi tra Sue, la pragmatica collega di Steve interpretata da Frances McDormand, e il gestore dell’emporio Rob e nell’approccio sentimentale tra Steve e Alice. E diventa simbolo di onestà disinteressata nel dialogo tra Steve e la bambina che vende la limonata, che rimette il protagonista in contatto con la sua infanzia e i suoi valori.
La sceneggiatura funziona come un orologio e il suo difetto è forse proprio questo: tutto è molto meccanico, diligente e canonico. Il lavoro di Damon e Krasinski si concentra sulla forma della narrazione (colpi di scena, conflitti ed evoluzione dei personaggi), mentre rivela una mancanza di urgenza nel racconto dei contenuti. Il tocco di Van Sant è discreto e discontinuo, ma sembra emergere nella descrizione della piccola comunità e del paesaggio in cui è immersa. Lì il testo passa finalmente in secondo piano rispetto a un contesto fatto di empori, fattorie, camicie a scacchi, scarponi e limonate. Lo sguardo del regista è empatico e solidale nei confronti della fiera dignità di chi resiste alle lusinghe delle leggi del mercato come dell’ingenua speranza di chi cede a qualche soldo facile nel sogno di un futuro migliore.
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