Cirkus Columbia PDF 
Tiziano Colombi   

Danis Tanovic torna a casa, in Bosnia, prima della guerra. Il regista, premio Oscar al suo esordio con No Man’s Land, è al suo quinto lungometraggio, dopo 11'9"01 September 11 (2002), L'enfer (2005) e Triage (2009). Già documentarista di buon livello, Tanovic aveva lasciato da parte le sue radici cinematografiche per una sortita, non troppo fortunata, tra le lusinghe hollywoodiane. Con Cirkus Columbia tenta di riannodare il filo della sua storia e di quella della sua terra.

Il film, tratto da un testo teatrale, è la storia di Divko Buntić, esule in Germania per un ventennio, che fa ritorno nel suo villaggio natale con la giovane moglie/trofeo per fare la “guerra” alla vecchia famiglia. Caccia moglie e figlio di casa e si pavoneggia al bar manco fosse Onassis. Non pago, rileva il negozio di parrucchiere dove lavora l'ex moglie, costringendola ad abbandonare anche il suo impiego. Intanto i Balcani vanno in pezzi, i serbi si ricordano di essere serbi, i croati croati, i musulmani musulmani. La battaglia della famiglia Buntić diviene una metafora poco velata dell’imminente conflitto tra vicini di casa che sarà uno dei tratti distintivi del conflitto che sbriciolerà la Jugoslavia. Qualcosa del genere, ma con altri ingredienti, lo aveva fatto Saverio Costanzo in Private (2004), raccontando il conflitto israelo-palestinese. Non manca, poi, qualche cenno al comunismo che viene giù con il muro di Berlino e la grottesca e tagliente ironia sugli ormai vetusti busti di Tito (il vecchio sindaco comunista si porta a casa una scultura del dittatore per sottrarlo alle pisciate notturne che gli riservano i giovani oppositori). La regia è geometrica, limpida, forse un tantino sotto ritmo. Tanovic aspetta, libera il racconto con il contagocce. Niente poesia compiacente o fracasso alla Kusturica, manca persino la battaglia. Cirkus Columbia è un film che attende e chiede pazienza, il silenzio prima della tempesta. Sembra di osservare qualcuno mentre contempla il disastro imminente e si sforza di capire come diamine è stato possibile arrivare a mangiarsi il cuore gli uni con gli altri.

Un prequel, ecco la giusta definizione: eravamo un popolo zoppo ma non fratricida, fino a quando Caino non ha deciso di fare la festa ad Abele. Tra le mille storie che ci sono state raccontante sulla guerra dei Balcani questa è forse la meno efficiente. Non denuncia, non compiace, non indugia sull’orrore. Semplicemente mostra la vita e le meschinità di una piccola famiglia che ritrova la pace quando comprende che una guerra più grande incombe. È come scegliere di mettere da parte le cronache dei reporter per affidarsi agli albi a fumetti di Joe Sacco (Gorazde Area Protetta. La guerra in Bosnia 1992-1995). A molti questa scelta non piacerà, specie in tempi in cui si cercano nemici da impiccare (vedi la cattura di Ratko Mladić, libero di scorrazzare per un decennio nel cortile di casa prima di concordare la sua cattura per ragioni di stato) e i morti diventano numeri per le econometrie di guerra. L’ultima scena con Divko e il suo primo amore felici, per un attimo, sulla giostra della loro infanzia mentre i serbi cominciano a bombardare è una carezza feroce che ferisce quanto un pugno. Poi ci saranno i mortai, il sangue, la barbarie. Ma questo, sembra dire Tanovic, già lo avete visto e non è servito a deporre le armi.

TITOLO ORIGINALE: Cirkus Columbia; REGIA: Danis Tanovic; SCENEGGIATURA: Danis Tanovic, Ivica Djikic; FOTOGRAFIA: Walther van den Ende; MONTAGGIO: Petar Markovic; MUSICA: Christoph Blaser, Steffen Kahles; PRODUZIONE: Gran Bretagna/Francia/Germania/Belgio/Slovenia/Bosnia-Herzegovina/Serbia; ANNO: 2010; DURATA: 113 min.

 


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