Isolamento nello spazio e divaricazione del tempo in Elephant PDF 
di Giampiero Frasca (*)   

Gus Van Sant, con Elephant , ha impresso una decisa sterzata – iniziata già con l'essenzialità di Gerry , misconosciuto lavoro datato 2001 – all'interno della sua carriera e delle modalità linguistiche utilizzate. Abbandonato il lirismo metaforico della prima fase della sua filmografia, tralasciata momentaneamente la correttezza formale e la pacificazione dei contenuti del periodo hollywoodiano (e posto in un cantuccio lo sghiribizzo d'artista postmoderno che ha prodotto il ready made/remake di Psycho , 1999), Van Sant descrive un inesorabile intorpidimento dei sentimenti e delle aspirazioni umane, capace di trasformarsi in un annichilimento assoluto e in uno smarrimento sconfortante per i personaggi coinvolti. Elephant è la glorificazione del surrettizio e dell'inatteso, del subdolo e dell'irrazionale, ottenuta attraverso una messa in scena prosciugata che, pur nell'apparenza dell'attenta osservazione, fornisce elementi retorici di elevata complessità ermeneutica: la registrazione della quotidianità scolastica di una dozzina di studenti di un liceo di Portland, Oregon (città in cui Van Sant ha frequentato parte della scuola), è soltanto ad un primo livello di analisi la rappresentazione analogica del flusso palese della realtà e degli eventi mostrati. Van Sant non decide di raccontare una giornata particolare all'interno del liceo Whitaker (che è anche il luogo in cui si sono svolte le riprese), ma si limita a mostrare il pulsare esistenziale dei personaggi nell'inquietante calma che precede l'esplosione della tempesta: la scelta di non giudicare e di affidarsi all'osservazione di corpi, movimenti, atti ed evidenze è la presa d'atto di una severa fenomenologia che, pur non scavando nelle psicologie dei personaggi, penetra negli oscuri labirinti della psiche.

La macchina da presa di Van Sant pedina con interminabili e avvolgenti inquadrature gli studenti della scuola, non curandosi delle possibilità ellittiche che le eventualità narrative permettono e restituendo con freddezza la normalità quasi banale di una giornata come tante in un luogo sempre simile a se stesso. In questo modo sono resi i connotati di un trauma che si inserisce improvvisamente, allo stesso modo di una nuvola che inframmezzandosi tra la terra e il sole ne smorzi la luminosità. Van Sant si inabissa nella realtà della strage attraverso i personaggi, rifiutando l'assertività quasi consequenziale in questi casi, il moralismo o la superficiale analisi sociologica: la sua è un'autentica immersione in apnea all'interno di un incubo. I corpi osservati diventano la chiave di accesso per penetrare l'unicità dello spazio, la frammentazione delle prospettive dei personaggi offre la possibilità di leggere i diversi aspetti di una stessa realtà che soltanto attraverso una lettura policentrica si può proporre come accettabile, effettiva e veritiera. Gli atti quotidiani degli studenti, le loro attività, gli incontri, i dialoghi, i confronti, le aspirazioni, i problemi, le crisi sono l'immagine di verità che Van Sant offre per tentare una restituzione oggettiva di situazioni cicliche, registrate lungo vettorialità ottiche differenti, a volte opposte.

Anche il racconto si parcellizza fino a giungere quasi alla sua negazione, perché ciò che interessa è la voragine esistenziale, il baratro che si origina e che provoca la caduta, da esperire come centro nevralgico a cui conducono gli irradiamenti progressivi illustrati. L'abisso finale è l'annullamento della vitalità concentrica mostrata dagli studenti durante quella mattina: una filastrocca infantile proposta come countdown , un taglio nel montaggio, le caratteristiche nuvole nel cielo viste con effetto time-lapse e le note di un pianoforte che propongono Per Elisa di Beethoven. L'icasticità trova nella sottrazione dell'emozione la sua catarsi, per un annullamento che è totale ed investe vita, speranze, sentimenti ed auspici per il futuro. Van Sant ha messo in scena con rigore glaciale un'estinzione endogena delle coscienze, ma fra le pieghe di un racconto condotto attraverso l'adesione ai personaggi emerge una costruzione simbolica complessa e articolata che non si ferma alla semplice superficie e alla immediata restituzione iconica.

Il predominio del quadro e i labirinti della psiche

L'enunciazione di Elephant è solo apparentemente constativa . Essa sembra limitarsi alla descrizione di una giornata nel liceo Whitaker all'inseguimento fedele di corpi e traiettorie indipendenti dalla macchina da presa. L'illusione è quella di restituire il passo conforme del reale, di aderire il più possibile fenomenologicamente alla verità quotidiana, ma la situazione, vista attraverso alcuni scarti evidenti, si mostra di tutt'altra natura.

Cortile del liceo, campo da football. Inquadratura fissa che mostra Michelle penetrare nel quadro dal fuori campo di sinistra. Michelle, dopo aver guardato in alto, esce dal campo visivo, lasciando l'inquadratura ad osservare il campo, senza un soggetto che ne occupi il centro. Il quadro si anima dal punto di vista sonoro, con le voci off dei ragazzi che giocano e si allenano, ad offrire una dinamica illustrativa che permetta di ancorarsi al contesto. Nell'inquadratura, sempre fissa, entra Nathan, s'infila una felpa e si incammina verso la scuola, seguito dalla macchina da presa alle sue spalle, improvvisamente animatasi.

Diegeticamente consequenziale, ma discorsivamente procrastinato da Van Sant in una ripetizione prospetticamente differente alcune sequenze dopo: Nathan compare all'interno dei corridoi del liceo, osservato con particolare interesse da Jordan, Nicole e Brittany. La macchina da presa, che in precedenza aveva seguito Nathan, ora lo ignora e si sofferma sulle tre ragazze, accompagnandole nel loro cammino in sala mensa e mostrandole, tramite un movimento verso sinistra, mentre si apprestano a scegliere le portate al banco del selfservice. Le ragazze si fermano per prendere una portata e l'obiettivo della macchina da presa, che sembrava restituisse il loro movimento, le supera per inseguire un inserviente che si reca nel retro per accendersi uno spinello e, solo dopo aver osservato altri due inservienti in camice bianco, si riconnette alle tre ragazze, che ora si stanno avviando alla ricerca di un tavolo. Lo spazio dell'inquadratura, in questi due esempi, entra in dichiarata relazione dialettica con quello delle figure. Ma l'intenzione non è quella di far assumere allo spettatore una superiore facoltà cognitiva relativamente a ciò che viene mostrato, e nemmeno quella di sottolineare un particolare ruolo demiurgico, laddove tale ipotesi è stata cancellata per quasi tutto il corso del racconto, bensì quella di manifestare un'artificiosità alla base del discorso, dissociando le varie componenti, i personaggi, lo spazio in cui si muovono, l'autonomia dell'inquadratura.
Quello che pareva il semplice spazio della restituzione dell'esistenza quotidiana si palesa nei suoi elementi discorsivi: l'universo narrativo è sopravanzato dalla sua propaggine significante e dimostra una lacerazione nella convinzione fedelmente descrittiva dell'assunto. Il protagonista diventa il quadro e le porzioni di spazio che decide di contenere al suo interno: le figure che compongono il mosaico che caratterizza Elephant slittano di gerarchia per diventare elementi contingenti, dotati dello stesso tenue respiro accidentale che assumeranno nel corso della strage. Scardinando l'unità delle singole occorrenze, Van Sant fa vacillare la costruzione referenziale: il corpo dei personaggi si trasforma da luogo privilegiato d'osservazione a veicolo per esplorare uno spazio ben definito, suscettibile di trasformarsi in allegoria di un mondo chiuso e senza speranza. Come sostiene Patrice Blouin, "ogni essere è un vettore solitario in possesso di un personale sistema di ascisse e ordinate, del suo ritmo e della sua misura. […] Non esiste altro mondo comune di quello che scopre il progressivo incrocio dei percorsi differenti" (1).

I personaggi di Elephant , infatti, non frequentano lo spazio del liceo, ma a causa dei margini dell'inquadratura che delimitano rigorosamente il loro campo d'applicazione all'interno dell'universo narrativo, appaiono come disgiunti dal luogo fisico in cui camminano: la loro presenza si giustifica esclusivamente all'interno del quadro di cui sono (spesso) i soggetti privilegiati, ma la stessa costruzione dell'immagine non offre una relazione con il contesto, il quale arriva a mostrarsi soltanto nel caso di un breve incontro, di un saluto quotidiano, di uno sguardo lanciato furtivamente. Il soggetto di Elephant è dissociato dal luogo di riferimento: i corridoi che percorre sono veicoli simbolici che rappresentano i meandri di una psiche chiusa in se stessa, gli anfratti retorici di un incubo già presente nel movimento da monade impazzita compiuto solcando decine di metri in (quasi) perfetta continuità. Contraddicendo John Donne, nel liceo Whitaker di Portland ogni uomo è un'isola, nessuno partecipa dell'umanità intera: lo spazio sociale è significato illusoriamente dall'esplosione di cieca violenza originata da Eric ed Alex, ma a ben guardare si tratta soltanto di rigidi e irriducibili spazi personali che entrano in mortale conflitto tra loro.

L'emergere conflittuale di differenti realtà

L'inferno è già cominciato. I liceali del Whitaker cercano di sfuggire alla sequela di colpi sparati all'impazzata da Alex ed Eric. Fra questi anche Nathan e Carrie, due persone, un'unica realtà legata dal sentimento. I due compaiono in primo piano, avvertono il sopraggiungere del pericolo alle loro spalle e fuggono lasciando l'inquadratura vuota della loro presenza, immobile, libera di osservare il sopraggiungere della minaccia dallo sfondo. La minaccia è evidente ma non definibile nel soggetto portatore: si tratta di Alex o di Eric? Lo studente armato appare sfocato e l'obiettivo a focale molto lunga utilizzato da Harris Savides non permette la sua identificazione, quasi non si trattasse del motivo per cui Nathan e Carrie sono fuggiti precipitosamente: soltanto giunto nella stessa posizione in cui i due fidanzati comparivano un istante prima di uscire di campo, Alex si guadagna la dignità della nitidezza nell'inquadratura. Nessuna correzione dell'obiettivo a mostrare il soggetto della minaccia, in modo da soddisfare i postulati logici della narrazione e della ricezione spettatoriale, ma una semplice attesa, quella dell'ingresso di Alex nello spazio deputato di Nathan e Carrie e del momento in cui li sostituirà all'interno del quadro. Nel massacrante gioco di individualità imprigionate nei rispettivi corpi messo in mostra in Elephant , il conflitto e la crisi nascono quando le differenti realtà dei personaggi si incontrano fra di loro: Alex, arrivando dallo sfondo indistinto, penetra nel personale universo di Nathan e Carrie assumendo la pienezza della visibilità, la considerazione del primo piano e originando la crisi del personale sistema cartesiano che ogni personaggio si è creato all'interno del liceo Whitaker. Alex sostituisce, di fatto, con la sua esclusiva (e disturbata) realtà quella affettuosa e incantata di Nathan e Carrie: i due fidanzati sono relegati in un fuori campo che Van Sant sceglie di rendere irriducibile mentre il loro compagno li tiene sotto tiro scandendo un'amara filastrocca.

Tutto Elephant potrebbe leggersi come una parabola sull'isolamento, con il quadro a gestire i brandelli di singole realtà, incapaci di entrare in relazione fra loro se non causando una nuova e traumatica dimensione atta a generare l'annullamento definitivo. Si pensi al segmento in cui John telefona al fratello Paul per dirgli di recarsi a scuola a prelevare il padre sbronzo e al sopraggiungere del preside che intende stigmatizzare il ritardo del biondissimo studente: nonostante la coerenza narrativa esiga che il nuovo arrivato nell'inquadratura si mostri distintamente per motivare sul piano visivo la sua importante presenza (ribadita dalle battute di dialogo che rivolge al ragazzo), il preside rimane fuori fuoco, escluso dall'evidenza iconica di un quadro che invece continua a concentrarsi su John. Ma si pensi anche all'incontro tra John ed Elias (che Van Sant decide di mostrare per tre volte da altrettante prospettive) che si salutano, discutono, si mettono in posa nell'attesa che uno dei due scatti una fotografia, mentre radente al muro di destra passa Michelle di corsa, sfocata. Cambiando la prospettiva, il risultato non muta: successivamente la macchina da presa segue Michelle che corre, mentre John ed Elias interagiscono fuori fuoco, esterni rispetto alla realtà personale dell'impacciata ragazza. Le realtà soggettive sono totalmente dissociate dalle sfere di interesse altrui: così come il preside è estraneo al dramma mattutino di John, così Michelle da una parte, lo stesso John ed Elias, dall'altra, risultano vicendevolmente separati, ognuno all'inseguimento del suo esclusivo individualismo. Estraneità che si condensa in una totale scissione dalla realtà effettiva nel momento in cui Alex ed Eric cominciano la loro carneficina all'interno della biblioteca (2), poiché i corpi che cadono ad uno ad uno si intravedono sullo sfondo, indistinti, avulsi e indifferenti come le sagome da abbattere di un assurdo e inquietante videogame.

Note a margine di un'evidente anacronia

Già avvezzo a frantumare la linearità cronologica (l'esempio più lampante della filmografia del regista è Da morire (3)), Van Sant in Elephant racchiude un nucleo narrativo composto da eventi che si svolgono in un tempo facilmente circoscrivibile e lo dilata destrutturando ordine, durata e frequenza del racconto. L'anacronia delle situazioni narrate è quindi evidente, visto che frantumata la vettorialità del discorso, messi in ellissi alcuni passaggi logici dell'azione, rallentate diverse inquadrature e addirittura ripetute talune scene cambiandone la prospettiva, il risultato è un complesso rapporto tra la storia e le modalità discorsive utilizzate per esibirla. Durata della storia e durata del racconto non si equivalgono a causa dell'intensificazione del secondo: l'ipotesi fenomenologica – che ormai si affacciava soltanto come congettura originatasi dalle tendenze di ripresa e restituzione dei personaggi in cammino per la scuola – è annullata dall'assenza di qualunque aderenza ad una linearità omogenea e continua. Il nucleo temporale del racconto è estremamente compatto: Van Sant si serve di un personaggio come riferimento per segnare il trascorrere del tempo all'interno della storia. Il biondo John, visto all'inizio del film mentre sopraggiunge a scuola (in ritardo a causa del padre ubriaco), è presente in tutti gli snodi narrativi decisivi del racconto, è il fulcro attorno al quale si svolgono le frequenze ripetute mostrate da Van Sant, ed è colui che chiude di fatto la vicenda incontrando nuovamente il padre, rimasto nei paraggi (nonostante il ragazzo raccomandasse telefonicamente al fratello Paul di sbrigarsi perché il padre avrebbe potuto allontanarsi), durante la carneficina concertata da Alex ed Eric. John è protagonista di tutte le connessioni decisive della vicenda e sancisce, con la sua presenza, il trascorrere effettivo del tempo all'interno della storia, determinato dall'inizio (in ritardo) della mattinata scolastica, dall'incontro con Acadia (che si recherà ad un gruppo di discussione sulle minoranze sessuali, riunione che sarà interrotta tragicamente dall'esplosione della tragedia), dal colloquio con Elias nei corridoi (visto da tre prospettive differenti), dall'uscita di John all'esterno della scuola, da un momento di tenerezze con un cane (riferimento importante perché consente di ancorare il preciso istante alla prospettiva di Jordan, Brittany e Nicole, le quali vedono la scena dall'interno della sala mensa), dall'incontro con Alex ed Eric che sopraggiungono armati (e che le tre ragazze non scorgono, situandosi in una posizione di drammatico svantaggio cognitivo), dalla fuga per avvisare più gente possibile dell'imminenza del pericolo, e dal definitivo incontro con il padre durante l'esplosione di violenza all'interno del liceo.

Elephant rappresenta un caso particolare di struttura narrativa, perché il tempo trascorso a livello della storia è superato da quello rappresentato sul piano del discorso: la messa in parallelo delle prospettive e delle diverse individualità ribadisce anche sotto l'aspetto cronologico la netta chiusura di ogni singolo personaggio in se stesso e nei confronti del contesto circostante, caratterizzato da diverse verità e peculiari realtà che solo in una dimensione soggettiva possono essere indagate e, forse, comprese.

(1) Patrice Blouin, Plume d'éléphant , "Cahiers du cinéma" n. 583, octobre 2003, p.14.
(2) Non è un caso che il massacro abbia il suo punto di tragico inizio all'interno della biblioteca come simbolo di un particolare sonno della ragione, della morte di qualunque afflato culturale: Van Sant nel passato, soprattutto in Drugstore Cowboy (1989) e in Da morire (1995), aveva sempre apertamente accusato i "figli della televisione" della violenza e delle aberrazioni viste in diverse occasioni nelle sue pellicole; in Elephant i figli della televisione sono anche nipoti di internet, visto che il web è l'armeria virtuale in cui Alex ed Eric si procurano le armi della strage.
(3) Elephant rappresenta un caso particolare di struttura narrativa, perché il tempo trascorso a livello della storia è superato da quello rappresentato sul piano del discorso: la messa in parallelo delle prospettive e delle diverse individualità ribadisce anche sotto l'aspetto cronologico la netta chiusura di ogni singolo personaggio in se stesso e nei confronti del contesto circostante, caratterizzato da diverse verità e peculiari realtà che solo in una dimensione soggettiva possono essere indagate e, forse, comprese.

(*) Per la pubblicazione del presente saggio ringraziamo la rivista di cinema Millimetri

 


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