Il segreto dei suoi occhi PDF 
Marco Doddis   

Un quarto di secolo dopo Luis Puenzo e il suo La storia ufficiale, l’Argentina si è riportata a casa l’Oscar. Lo ha fatto, a dispetto dei pronostici, con Il segreto dei suoi occhi, pellicola di quel Juan Josè Campanella già noto alle nostre latitudini per il pluripremiato Il figlio della sposa.

Come ventiquattro anni fa, il paese del Tango ha conquistato la massima ribalta cinematografica raccontando al mondo la sua Storia. Il golpe, la dittatura, i desaparecidos: pare proprio che gli argentini non riescano a chiudere i conti con la pagina più drammatica del loro recente passato, impegnati ancora oggi a tamponare il sangue di una ferita tutt’altro che rimarginata. Una ferita profonda, capace di segnare il volto della nazione in maniera indelebile, perché riguardante il privato di ogni singolo argentino. La forza del film, quel suo essere drammaturgicamente solido ed esteticamente compatto, risiede proprio nel perfetto equilibrio tra il piano privato e quello pubblico, tra la storia individuale dei protagonisti e quella generale di un popolo. Campanella, sulla scorta del romanzo La pregunta de sus ojos di Eduardo Sacheri, riesce a innestare felicemente in un preciso e tristemente riconoscibile contesto storico una vicenda sentimental-poliziesca. Non solo: davanti alla sua cinepresa, quella vicenda qualunque si fa man mano paradigmatica, assurgendo sineddoticamente a fatto collettivo. Insomma, siamo dinanzi a un bell’esempio di storia che sa insegnare la Storia, quella ufficiale, con la S maiuscola.

Il racconto muove dall’anno 1999. Ne è protagonista Benjamìn Esposito (un bravissimo Ricardo Darìn), ex assistente del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Buenos Aires, impegnato nella travagliata stesura di un romanzo su un fatto realmente accaduto e di cui è stato testimone diretto. Nel 1974, con il colpo di Stato di Videla in procinto di realizzarsi, Benjamìn si era cimentato con il misterioso caso di omicidio ai danni di una ragazza. Nel corso delle indagini, aveva avuto occasione di collaborare con la segretaria del Pubblico Ministero, la bella Irene (una toccante Soledad Villamil), di cui si era segretamente innamorato e grazie alla quale aveva trovato e condannato il colpevole dell’efferato delitto. Purtroppo, però, la vicenda non aveva avuto un epilogo lieto: l’assassino, rimesso in libertà, era stato arruolato nelle nascenti “squadracce” del nuovo regime e se ne erano perse le tracce; il fido amico-aiutante Pablo (l’irresistibile Guillermo Francella) era stato ucciso in circostanze misteriose; e Benjamìn stesso era stato costretto ad abbandonare l’Argentina (l’omicidio di Pablo era stato il frutto di uno scambio di persona: la vittima doveva essere Benjamìn) e a rinunciare per sempre all’inconfessato amore per Irene. Dopo venticinque anni, la scrittura del romanzo diviene un pretesto per riaffrontare un passato irrisolto e per fare finalmente chiarezza con i propri sentimenti.

Dunque, la memoria come farmaco, la parola scritta come catarsi: su questi capisaldi si erge la costruzione narrativa del film di Campanella. Lo spettatore, identificandosi spontaneamente con Benjamìn, viene condotto per mano attraverso quegli anni bui, confusi, plumbei come la fotografia, azzeccatissima, di Félix Monti. In questo processo pare di compiere un viaggio parallelo, sospesi tra la ricerca della verità sull’omicidio (le affannose indagini di Benjamìn) e lo sprofondamento progressivo nel terreno culturale su cui germogliò il regime. La convivenza di più generi (sentimentale, thriller, socio-politico) è resa felice dagli scivolamenti tonali impressi dal regista, che, senza fatica né forzature, passa dai momenti drammatici a quelli  più riflessivi senza rinunciare a qualche opportuno intermezzo comico (assai gustosi i siparietti tra Benjamìn e Pablo). Il tutto, come detto, viene impacchettato con il robusto ricorso al tema della memoria, autentico fil rouge della pellicola. Pesa come un macigno, a tal proposito, la battuta pronunciata dal marito della vittima, Ricardo Morales, in un frangente delle sue vane ricerche del carnefice: “È il ricordo o il ricordo del ricordo che mi rimane?”. All’interrogativo, l’interlocutore Benjamìn non sa certo dare risposta, intrappolato com’è nella ragnatela del tempo e di un amore impossibile.

Oltre che dal dramma sentimentale, Ricardo e Benjamìn sono accumunati da un altro elemento, se è possibile ancor più significativo: i due rappresentano le due facce di una medesima medaglia di nome Giustizia. La loro contrapposizione esplicita al massimo grado quel tentativo operato da Campanella di raccontare la Storia argentina attraverso una vicenda tutto sommato comune. Benjamìn è la giustizia ufficiale, quella dei codici e dei tribunali; Ricardo, con la sua sete di vendetta alla fine placata, è il volto di una giustizia sommaria, personale. Un tipo di giustizia che, almeno in uno Stato di diritto, non dovrebbe albergare. Ma, alla fine del secolo scorso, l’Argentina fu tutto fuorché uno Stato di diritto. Il castigo privato ordito da Ricardo costituisce proprio la risposta alla latitanza della giustizia pubblica, all’inutile burocrazia (non di rado, la macchina da presa scova gli impiegati del tribunale in mezzo a castelli di scartoffie polverose). Insomma, i cittadini argentini potevano sopperire all’assenza di una legge equa con una giustizia “fatta in casa”. E il caso di Ricardo ne è un luminoso esempio. La conclusione del film, con lo scioglimento del mistero sulle sorti dell’assassino, porta lo spettatore dritto dritto al cuore della questione.

Volendo essere severi, proprio il finale, inappuntabile sul piano dell’effetto emozionale, risulta leggermente forzato nei toni, per lo meno rispetto all’armonia che lo aveva preceduto. È come se il regista, consapevole di aver tirato le fila con un pizzico di ritardo, avesse calcato la mano per recuperare l’attenzione di qualche spettatore, marcando un po’ troppo, sul piano strettamente filmico (inquadrature, movimenti di macchina, musica), la resa dei conti. Si tratta comunque di piccoli nei che non intaccano la sensazione di essere dinanzi a una grande pagina di cinema, come attestano anche un paio di sequenze che rischiano già di diventare antologiche per la loro concezione e realizzazione. La scena dell’interrogatorio dell’assassino e, soprattutto, quella dell’inseguimento nello stadio (Benjamìn e Pablo scovano il colpevole durante una partita di calcio, mischiato tra i tifosi del Racing Avellaneda), un ardito e magnifico piano sequenza di cinque minuti, hanno il potere di riconciliare con il cinema.

TITOLO ORIGINALE: El secreto de sus ojos; REGIA: Juan José Campanella; SCENEGGIATURA: Juan José Campanella, Eduardo Sacheri; FOTOGRAFIA: Félix Monti; MONTAGGIO: Juan José Campanella; MUSICA: Federico Jusid; PRODUZIONE: Spagna/Argentina; ANNO: 2009; DURATA: 129 min.

 


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