Slow Food Story PDF 
Felicia Buonomo   

Politica e cibo. Un connubio che, in alcuni lembi di terra del nostro Belpaese, appare più che naturale. Ma Slow Food è qualcosa di più. “È un modello di società - sono le parole del regista di Slow Food Story, Stefano Sardo -, un modello di economia dove la politica è in qualche modo una deminutio”. Una storia di provincia, è stata già battezzata la pellicola. Un documentario in cui Sardo, attraverso le parole di chi era al fianco di Petrini (fondatore del movimento), “salda il debito con la sua provenienza”, dove si racconta la nascita di Slow Food, oggi organizzazione mondiale ma che trae le sue origini da Bra, piccolo paese della provincia di Cuneo. Ma è qualcosa di più che una semplice storia di provincia, perché Carlo (Carlin) Petrini, il fondatore di questo impero del “buon vivere, mangiando”, è ormai una figura che tocca la sensibilità mondiale. Perché Carlin ha ragione quando dice che “noi siamo quello che mangiamo, ma il modo in cui mangiamo sta uccidendo il nostro pianeta. Per fortuna c'è chi resiste”. Petrini ha resistito e questa sua ardita cognizione del cibo è diventata un sapere, un sapere deperibile, non accademico e forse per questo più difficile da comprendere. Non a caso l'autore ha deciso di aprire la pellicola proprio con queste parole, che racchiudono il senso di tutto il movimento (e della stessa pellicola).

Sardo ha tentato di restituire, nel suo documentario, proprio il concetto di sapere legato al cibo, raccontando l'idea di sostenibilità sposata da Petrini e quel diritto al piacere “come atto di civismo, probabilmente un vero atto rivoluzionario”, afferma l'autore nel presentare il suo lavoro. Un lavoro non facile, soggetto a condizionamenti personali. Sardo nasce proprio a Bra, la piccola capitale di Slow Food; il padre, Piero, è tra i fondatori del movimento, i fratelli Renato e Sebastiano hanno lavorato molti anni per il movimento di Petrini e lui stesso lo ha fatto tra il 2000 e il 2001, occupandosi della creazione del sito del movimento (per poi trasferirsi a Roma dove ha iniziato una carriera come sceneggiatore e, oggi, di regista). Probabilmente sarà la voglia di raccontare con “distacco” che l'ha portato a scegliere di parlare del movimento dando voce (diretta) solo a chi affiancava Petrini e non allo stesso Petrini (di cui si possono ascoltare e vedere, tuttavia, numerosi interventi nelle varie convention in giro per il mondo). Una scelta che, non si può negarlo, appare come la “parte mancante”, capace di far credere che il documentario non sia altro che il ritratto edulcorato di un movimento e dell'uomo che l'ha fondato. Non si dimentichi che Petrini non è esente da critiche, molti lo hanno tacciato di essere il fondatore di una sorta di “multinazionale” che fa il bello e il cattivo tempo rispetto a ciò che è giusto o sbagliato mangiare. E, in effetti, nella pellicola manca la controparte, che se inserita avrebbe di certo equilibrato il racconto documentaristico.

Siamo nel 1986, a Bra, una cittadina di 27mila abitanti: è lì che Petrini fonda l'associazione gastronomica ArciGola, passano solo tre anni e a Parigi lancia lo Slow Food, il movimento internazionale che nasce come resistenza al fast food, che oggi esiste in 150 paesi. È la storia di un gruppo di amici di provincia che trasformano la passione culturale e l'approccio divertito alla vita in qualcosa di diverso, in un modello di vita e di “resistenza” in cui la gastronomia si fonde con i macro-temi dell'ambiente, del lavoro, del rispetto delle tradizioni. Alla pellicola si deve riconoscere la fluidità del racconto, che ben si sposa con le scelte operate in post-produzione: un montaggio video centrato, che si amalgama con le grafiche utilizzate per presentare la pellicola e per passare da un “capitolo” all'altro. Una storia necessaria, con qualche “omissione” narrativa, ma pur sempre “essenziale”.

 


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