Formatosi come attore, Bouli Lanners gode, sin dagli esordi alla regia, di un'attenzione particolare da parte del Festival di Cannes. Nel 2001 il suo primo cortometraggio, Muno, viene selezionato per la Quinzaine des réalizateurs, così come il suo secondo lungometraggio del 2008, Eldorado. Infine, nel 2011, è il suo terzo lungometraggio, Un'estate da giganti (Les Géants), ad incontrare la rassegna cannense, vincendo i premi Sacd e Art Cinéma. In Un'estate da giganti, tre ragazzini tra i 13 e i 15 anni, immersi nelle campagne belghe, trascorrono un'estate che gli cambierà la vita. In un crescendo di vicende, i tre si troveranno sempre più uniti tra loro, ma tagliati fuori dal loro mondo d'appartenenza e proiettati verso un “luogo-altro”, in cui li porterà solo la loro maturazione.
L'estate dipinta da Lanners dovrebbe consacrare a “giganti” i giovani, che vivono invece un incerto e classico percorso di maturazione. Seth, Zak e Danny sono piccoli e sempre circondati da immensi campi di granoturco, lunghe strade che scorrono per le praterie, instabili palafitte sull'acqua, in mano a una natura dominante. Ed è proprio da qui che si evince il profondo lavoro di messa in scena della pellicola sul rapporto tra uomo e natura. Esemplare, in tal senso, una delle scene iniziali. I due fratelli fuggono dalla polizia "tagliando" per un campo di granoturco. L’avanzamento nell’ignoto, dove le fronde fitte e alte non permettono di vedere nulla, è come la loro vita da adolescenti, che incede pretendendo di sapere dove andare e come farlo. L'urgenza dell'avanzamento è infatti il motore delle vicende della narrazione: i ragazzini sono sempre in movimento, a piedi, in autobus, in auto, in barca. Sempre in avanzamento, mentre le loro mosse sono scandite dagli “allora, cosa facciamo?”, più retorici che programmatici. L'altro grande tema affrontato da Lanners è l'adolescenza, con tutti i suoi topoi: la maturazione, il dolore, il distacco dalla famiglia, l'incoscienza e l'amicizia. I tre raggiungono una maturità quasi inconsapevole, non hanno autocoscienza ma semplicemente vivono l'urgenza di non fermarsi, di fuggire dalle loro tristezze, causate da una famiglia assente o violenta. Il legame, o meglio la perdita del legame, con la famiglia, è veicolata dal cellulare, sempre inspiegabilmente acceso e carico, che riceve le telefonate della madre dei due fratelli del gruppo, rappresentando l'ultimo contatto dei ragazzini con la famiglia. Non è infatti un caso che Lanners affidi a un gesto con il cellulare una delle scelte finali, decisive per il futuro dei ragazzini. Tuttavia, complessivamente, il rimando allo smarrimento giovanile in un mondo senza genitori, popolato da figure di adulti grotteschi, è fin troppo evidente, lasciando semplicemente lo spettatore di fronte a un percorso di crescita adolescenziale alquanto stereotipato.
Postilla finale d'obbligo è l'evidente rimando alla pellicola del 1986 Stand by Me, che, sebbene con un mood marcatamente americano, racconta la stessa storia, lo stesso percorso di crescita adolescenziale tra amicizie e paure. Persino le inquadrature rimandano spesso al lavoro di Rob Reiner: i campi lunghi sulle immense distese verdi in cui vengono immersi i personaggi, i raduni dei ragazzini nelle capanne a fumare, e lo spostamento costante rappresentato dalle rotaie in un caso, dai tanti mezzi di trasporto nell'altro.
Titolo originale: Les géants; Regia: Bouli Lanners; Sceneggiatura: Elise Ancion, Bouli Lanners; Fotografia: Jean-Paul de Zaetijd; Montaggio: Ewin Ryckaert; Scenografia: Paul Rouschop; Costumi: Elise Ancion; Musiche: The Bony King of Nowhere; Produzione: Versus Production, Haut et Court, Samsa Films, ARTE France Cinema, RTBF; Distribuzione: Minerva Pictures, in collaborazione con Atalante Film; Durata: 84 min.; Origine: Belgio/Francia/Lussemburgo, 2011
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