George Best si era già incontrato con il cinema in un locale à la page di Los Angeles, ai tempi in cui giocava ormai nella neonata National Soccer League: un Michael Caine alticcio aveva offeso l'appariscente signora che accompagnava Best, e di fronte al rifiuto dell'attore di porgere le doverose scuse, l'ex fuoriclasse del Manchester lo aveva colpito con un violento uppercut mandandolo dritto per terra privo di sensi. Tutta la vita di George Best, bizzoso talento del Manchester della fine degli anni Sessanta, è stata così. Genio e sregolatezza, si dice, richiamando alla memoria giocatori del calibro di Diego Maradona, 'Gazza' Gascoigne, Jimmy Greaves, ma George Best è diventato nell'empireo del calcio una sorta di figura antonomastica relativa a tale concetto.
Tanto s'è detto in prossimità dell'uscita del film di Mary McGuckian che ormai molto si sa di un campione inarrivabile, capace di andare a rete per ben sei volte nella stessa partita (con il Northampton, F.A. Cup), giocando in modo quasi annoiato e concessivo dopo una sospensione di sei settimane dalla prima squadra, ma anche di andare a letto contemporaneamente con sei donne differenti, tutte belle e sensuali. Un giorno Best disse: "se fossi nato brutto avrei offuscato Pelé", ed è proprio questo uno dei punti nodali per il quale il film non funziona. George Best, un destino scritto nel nome, era veramente bello, quasi fosse diventato un calciatore per sbaglio: capello lungo alla moda dell'allora imperante Swinging London, occhio chiaro e furbetto, accattivante fossetta sul mento. Non Bobby Charlton o Nobby Stiles (di cui i giornali scrivevano che era la migliore pubblicità del negozio di pompe funebri del padre), ma Best, il migliore, in tutti i sensi. E John Lynch (che per il grande pubblico è Paul Hill, l'amico di Gerry Conlon/Daniel Day-Lewis in Nel nome del padre di Jim Sheridan), autoproclamatosi interprete nella parte del fuoriclasse, bello non è. E non dispone nemmeno di un grosso stile calcistico. Profilo aspro, tratti molto marcati e allungati, laddove proprio dell'armonia Best faceva il suo punto di forza. Come rendere credibile al grande pubblico la fama di grande donnaiolo del giocatore nato a Belfast nel '46? Soltanto con il denaro e la grande capacità di sperperarlo? No, nel caso di Best c'era dell'altro, c'era una vera e propria disposizione, una sorta di magnetismo animale che fu la croce di sir Matt Busby, la cui frase più famosa, la mattina dell'allenamento, era "Where is George?".
Ma il film della McGuckian (sceneggiato insieme allo stesso John Lynch) non funziona nemmeno a livello della restituzione calcistica. È vero che il calcio è lo sport più difficile da rappresentare sul grande schermo (pochi i risultati apprezzabili – forse i soli Fuga per la vittoria di Huston e Fimpen di Bo Widerberg), però la McGuckian aveva la possibilità di servirsi delle immagini di repertorio di Best, che già da sole erano pura poesia del movimento: tunnel, scatto bruciante sull'avversario intontito, dribbling sul portiere, appoggio nella porta sguarnita ed esultanza. Invece l'accoppiata McGuckian/Lynch frustra l'armonia della perfezione delle azioni, interpolando nelle sequenze documentarie piani di John Lynch/George Best che fa ciò che gli è possibile fare da fermo, ossia un tiro sgraziato che intenderebbe raccordarsi sul movimento dell'azione effettuata all'epoca dal vero Best. Il risultato è uno squallore squilibrato che da un movimento flessuoso e altamente elegante passa a un altro abbozzato e rozzo, quasi trattenuto nell'impossibilità di replicare la classe inarrivabile dell'originale. Questo è l'aspetto che delude l'amante (calcistico) di Best, ma anche la scelta di organizzare una storia intorno al tratto forte della dissipazione del talento a causa dei propri vizi non fa decollare questa pellicola, che rimane nel novero dei biopic scontati, privi di scelte contenutistiche che abbiano il coraggio di porsi al di là della pura elencazione progressiva di atteggiamenti, situazioni e scelte che illustrino un crescente tragitto verso il nulla.
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