L'Enfer PDF 
Francesca Druidi   

L’enfer c’est les autres. L’inferno sono gli altri, diceva Jean-Paul Sartre. E  proprio la condizione di conflittualità lacerante con l’altro, ma prima di tutto con se stessi, è indagata da L’Enfer, seconda opera – dopo Heaven di Tom Tykwer – tratta dalla trilogia di sceneggiature pensata da Kieslowski e Piesiewicz sulle tre cantiche dantesche di Inferno, Paradiso e Purgatorio. Così dopo il Paradiso, girato in Italia, Danis Tanovic, acclamato regista premio Oscar per No Man's Land, qui al secondo lungometraggio, prende in carico il capitolo dell’Inferno realizzandolo, come previsto dal progetto originario, in Francia. Sfidando la maledizione che in qualche modo accomuna le pellicole d’oltralpe che portano questo titolo. A partire dal leggendario L’enfer d'Henri-Georges Clouzot, lavoro datato 1964 e rimasto incompiuto dopo che le riprese, rivelatesi già piuttosto problematiche, furono interrotte per un malore dello stesso regista, passando per l'interpretazione che Claude Chabrol ha dato della sceneggiatura di Clouzot nella pellicola del 1994, intitolata sempre L’Enfer, che resta tuttavia una delle opere minori e forse meno riuscite del regista di Grazie per la cioccolata. Interprete principale nel ruolo che era stato di Romy Schneider nel film di Clouzot era Emmanuelle Béart, casualmente presente anche nel film di Tanovic. Ed è proprio di destino e di coincidenza che si parla nel film, come vuole l’inconfondibile materia artistica manipolata dal compianto Kieslowski.

Nello script firmato da Piesiewicz e dallo stesso Kieslowski sono tre sorelle della borghesia parigina a fare i conti con le sorti del fato, in un mondo che conosce ormai solo drammi e non più tragedie, e dove quindi la dimensione dell’intervento divino, la dimensione religiosa nel suo senso più generale, è ridotta, contratta ai minimi termini di fronte alla solitudine, alla secolarizzazione che caratterizza la vita degli esseri umani oggi. E soprattutto la vita delle famiglie, le quali rappresentano microcosmi incandescenti e vulnerabili, universi regolati da dinamiche proprie e animati da sentimenti forti e spesso conflittuali. L’Enfer segue i percorsi paralleli di Celine (Karin Viard), Sophie (Emmanuelle Béart) e Anne (Marie Gillain), le cui strade, che hanno inizialmente preso direzioni opposte, sono destinate a rincontrarsi in un passato che non si sono mai lasciate definitivamente alle spalle. A cambiare per sempre il corso della loro esistenza era stata la scoperta da parte della piccola Celine, in compagnia della madre (Carole Bouquet), del padre colto apparentemente in flagrante in un episodio di pedofilia. Denunciato dalla moglie, l’uomo era finito in carcere e, una volta rilasciato, si era suicidato, resosi conto dell’impossibilità di recuperare il rapporto affettivo con la propria famiglia. Il suicidio, di cui le tre bambine sono testimoni, le accompagnerà come una spada di Damocle, una ferita che non vuole saperne di rimarginarsi. Le tre sorelle, crescendo, prendono strade diverse, accomunate però dalla stessa incapacità di vivere in maniera serena una storia d’amore. Celine vive proprio nell’assenza di amore, frustrata in un’esistenza chiusa e isolata, scandita dagli automatismi: è l’unica ad andare con regolarità a trovare la madre ormai paralizzata e muta nella casa di riposo di cui è ospite, dorme sempre durante il viaggio in treno che la conduce da lei, porta tutti i giorni pane e quotidiano all’anziana, ficcanaso, vicina di casa. Una routine quanto mai dolente, che pare non conoscere possibilità di svolta. Sophie, invece, si trascina in un rapporto di odio-amore ormai prosciugato di ogni senso con il marito fotografo e fedifrago, un rapporto del quale – come del resto era successo a lei e alle sue sorelle – sono testimoni inermi i due figli della coppia. Anne, da parte sua, cerca forse il padre sul quale non ha mai potuto contare nel suo amante Frederic, suo professore della Sorbona, molto più grande di lei, sposato e per giunta padre della sua migliore amica. A gettare una nuova luce sul passato che tanto ha compromesso la vita delle tre donne penserà un misterioso giovane uomo (Guillaume Cantet), che inizialmente sembra essere interessato a Celine e che invece porta con sé una verità quanto mai sconvolgente.

Danis Tanovic firma un’opera non consolatoria, nonostante l’indubbia eleganza formale, un’opera non riconciliata, ma anzi aperta nel suo finale. L’Enfer è un film che solletica dubbi e lancia degli interrogativi sul senso di colpa e sull’ineluttabilità del destino, sulle fiamme dell’inferno che ardono dentro di noi e in chi ci sta più vicino, ma senza avere la pretesa di rispondere con verità assolute. L’inferno prende di volta in volta forma e sembianze dei segreti inconfessati e poi svelati, delle bugie travianti, dei tradimenti, delle insoddisfazioni più cocenti. Non occorre, insomma, andare molto lontano dalla propria quotidianità per conoscere la sensazione di trovarsi all’inferno, non occorre necessariamente trovarsi in un contesto bellico, scenario esplorato da Tanovic sia in No Man's Land che nell’ultimo Triage. A livello visivo, inoltre, il film propone soluzioni interessanti, anche se non per questo può definirsi un lungometraggio completamente riuscito, e non solo perché non sembra decollare mai sotto il profilo del ritmo, mostrando qualche difficoltà anche sul fronte della capacità di innescare una reale partecipazione emotiva, ma soprattutto perché procede in maniera sin troppo schematica e convenzionale. In particolar modo nel tracciare i profili delle storie riguardanti Sophie e Anne, che seguono e ricalcano modelli di comportamento visti realmente già troppe volte per riuscire a toccare in modo profondo i temi che si intendono toccare. Non meno prevedibile, ma dotato di più sfumature, è il percorso di Celine, che in definitiva si fa carico del compito maggiormente impegnativo e doloroso, ossia quello di ricucire i legami spezzati nella propria famiglia, offrendosi la possibilità per iniziare una nuova vita.

Il film è volutamente “congelato”, teso a evidenziare la spietatezza delle situazioni rappresentate, ma risulta forzato il ricorso a una poetica sin troppo strutturata, dove convergono riflessioni sulla tragedia greca affiancate da teorie sulla differenza tra coincidenza e destino. Resta comunque da apprezzare il talento visivo del regista, evidente nei caleidoscopi iniziali e finali e nelle inquadrature avvolgenti dei personaggi che richiamano il motivo della spirale. Davvero suggestivo in questo senso, anche per il sottofondo musicale, è la sequenza in cui Sophie pedina il marito in uno dei suoi incontri extra-coniugali con l’amante, quando si trova in un edificio che rievoca prepotentemente l’immagine dei gironi infernali. Anche le inquadrature colgono spesso le protagoniste dall’alto, (come nella sequenza che conclude il film) a richiamare di nuovo il complesso leitmotiv del destino.

TITOLO ORIGINALE: L’Enfer; REGIA: Danis Tanovic; SCENEGGIATURA: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz; FOTOGRAFIA: Laurent Dailland; MONTAGGIO: Francesca Calvelli; MUSICA: Dusko Segvic, Danis Tanovic; PRODUZIONE: Francia/Italia/Belgio/Giappone; ANNO: 2005; DURATA: 98 min.

 


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