La pratica dei viaggi nel tempo, in un futuro non molto lontano, sarà resa possibile, ma anche dichiarata illegale. E’ questa la premessa di Looper di Rian Johnson (Brick, The Brothers Bloom), che qui ritroviamo a dirigere Joseph Gordon Lewitt (Il cavaliere oscuro - Il ritorno, Inception) e Bruce Willis (c’è bisogno di presentazioni?), oltre a Emily Blunt, Piper Perabo e Jeff Daniels. Osare aggiungere altro materiale alla filosofia del genere fantascientifico legato al time travel, dopo che il tema è stato trattato, sviscerato e dato in pasto al pubblico del grande schermo grazie a opere quali Ritorno al futuro, Terminator o L’esercito delle 12 scimmie, non era impresa semplice. Ragion per cui, in questo film, si è voluto aggiungere un profilo da action movie a tratti decisamente violento, particolarmente crudo nei particolari ed estremamente serrato nel ritmo.
Un breve e doveroso accenno alla trama va fatto, riagganciandosi alla premessa e aggiungendo che i viaggi nel tempo verranno utilizzati per mandare indietro uomini da eliminare - spesso criminali più o meno pericolosi, ma la cui eliminazione nel presente sarebbe cagione di grossi problemi -, per mano di assassini specializzati chiamati loopers. Joe (Gordon Lewitt), uno dei loopers, tuttavia, si ritrova davanti lui stesso invecchiato di trent’anni (Willis), e non sa cosa fare. Da qui in poi il film si snoda su scenari alternativi, che cambiano a seconda della scelta da parte del protagonista di porre fine o meno all’esistenza del se stesso del futuro. Criminali sociopatici (Jeff Daniels, il boss dei loopers) e prostitute di locali notturni (l’apparizione quasi fulminea della Perabo ne rappresenta l’elite) sono i personaggi "metropolitani" della pellicola. Il vecchio Joe, che nel corso degli anni è uscito dal giro dei loopers e ha trovato la donna della sua vita, una volta rimandato indietro, farà di tutto per cambiare il futuro. Ed è proprio quest’aspetto che aggiunge diversità al film: una volta consapevoli della possibilità di viaggiare nel tempo, di cosa saremo capaci pur di cambiare il corso della nostra vita? Nel complesso di questa storia si inserisce anche la presenza di una madre (una superba Emily Blunt, la bistrattata Emily de Il Diavolo veste Prada) e del suo bambino con doti fuori dal comune, forse una futura minaccia: la strada del protagonista si intreccia con la loro, e il loro incontro determinerà scenari imprevedibili.
Il rischio di assistere a uno sliding doors elevato al cubo era alto, eppure, con un fine lavoro di intrecci e cura dei risvolti emotivi, si è riusciti a evitare di rendere il tutto banale e scontato. Gli interpreti, poi, sono riusciti a dare una prova forte sia nel complesso che a livello individuale: li si apprezza riconoscendo i tratti del killer spaccone e superficiale in Gordon Lewitt, del criminale cinico e molto risoluto in Willis e della genitrice appassionata e fragile nella Blunt (ancora una nota di merito per questa attrice che riesce a dare spessore e qualità ad ogni ruolo che le viene affidato). Lo spettatore troverà soddisfazione se riuscirà a intuire, sin dalle prime sequenze, l’impossibilità del lieto fine, perché non esiste un finale degno se teniamo conto di quello che può realizzare un essere umano per salvare se stesso, o per porre rimedio ai propri errori. Qual è la via da intraprendere? E’ questo l’ultimo interrogativo, oltre che l’unica presunzione, che si riesce ad evincere dalle intenzioni del film, che non sarà di certo ricordato come il più bello tra quelli che costituiscono il genere, ma di sicuro tra i più coinvolgenti e originali, sotto ogni aspetto.
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